“Demolition”, un lutto per distruggere la casa e rinascere

Pianeta Cinema a cura di Elio Rabbione

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Un incidente d’auto, una macchina che piomba su quella di una coppia mentre gli occupanti stanno tranquillamente discutendo di incidenti casalinghi, del frigorifero della cucina che perde acqua e che andrebbe subito riparato. La donna muore in ospedale, il marito David, investitore di successo nella finanziaria del suocero, si rintana in un asettico dolore, in una annebbiata esistenza che lo lascia lontano, assente dal dramma che la vita gli fa attraversare. Con la moglie morta poche camere più in là, lui s’affanna a far scendere dal distributore quella merendina che ha scelto e, insoddisfatto, a rimpiangere quel dollaro e rotti che la macchina s’è mangiato. Tutto diventa banale, quasi incomprensibile chi attorno a lui si dispera per la perdita, lui torna immediatamente a occupare la propria scrivania e a rintanarsi in ufficio, mentre qua e là prendono forma immagini della defunta, frettolose, senza reale importanza, dei flash presto dimenticati. Innegabile che qualcosa covi all’interno dell’uomo, una ribellione, un accanimento ancora inspiegato: inizia a scrivere lettere di protesta, esigendo il rimborso di quegli spiccioli catturati dalla macchina, all’ufficio reclami della ditta che fornisce quei distributori, allargando a macchia d’olio su quelle pagine brani di una vita, il proprio disagio, l’esistenza ammaccata, il tempo andato quanto soprattutto il vuoto del presente. Come inizia a demolire una vita precedente, vista attraverso le imperfezioni o la noia o la volontà della scoperta dei tanti oggetti che gli stanno attorno, oggi il frigorifero dell’innocente discordia, domani una macchinetta del caffè o un computer, domani ancora l’intera cucina o la casa.demoli2

La fisicità prende il sopravvento sulla tranquillità e sul vuoto del trauma, sulla stessa domanda se davvero nel passato abbia conosciuto un amore vero, una lotta con se stesso – e una conoscenza – che trova l’appoggio della donna che ha ricevuto le sue lettere e di suo figlio, giovane ribelle con il tarlo ossessivo della propria omosessualità. Un modo per liberarsi dei fantasmi, di andare oltre, di dare un nuovo assetto ad una nuova esistenza.

“Demolition”, sgravato tout court di una disturbante appendice dell’edizione italiana (“amare e vivere”), è il nuovo film di Jean-Marc Vallée, regista canadese che Hollywood vede di buon occhio e che tre anni fa ha acclamato per “Dallas Buyers Club”. Ancora un bel ritratto umano, una regia attenta nel condurre avanti il dramma interiore, capace di calibrare certi aspetti più forti chiedendo aiuto ad un fantasma femminile, con certi sognanti intermezzi che rispecchiano una giostra a cavalli di antiche memorie o le note e la voce di Aznavour e della sua “Bohème”, o con insperati tratti di humour, il tutto ad alleggerire quella furia distruttiva che come un uragano agguanta il protagonista. Quello che non corre nella storia, nella sceneggiatura scritta da Bryan Sipe, o ha ilfilm-demolition fiato a ben vedere corto, è l’affastellarsi di una eccessiva simbologia che carica a negativa dismisura il racconto (l’albero sradicato, le chiacchiere di un uomo che a volte appare più che altro completamente fuori di sé, il mobilio preso a calci e ben oltre) come finisce con il nuocere raccontare ogni cosa – disperazione, linguaggio, atteggiamenti, azioni di ogni giorno, fughe nella ribellione – sfacciatamente sopra le righe, senza quei binari che la renderebbero assai più credibile.

In questo zoppicare, ancor di più s’apprezza la prova di eccellente maturità che offre Jake Gyllenhaal, in una vastissima gamma di sentimenti, nascosti o immediati, tra la confusione e l’annichilimento, tra il dolore lontano e il rendersi conto di verità tenute nascoste. Attorno a lui Naomi Watts, Chris Cooper disperato suocero e la rivelazione Judah Lewis, sboccato, unghie laccate, sfrontato quanto basta ma con un dolore dentro che solo al protagonista, a quell’uomo caduto in casa sua chissà da dove, può essere rivelato.

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