La lezione valdostana e il ruolo dei cattolici per risanare il sistema democratico

Caro direttore,
L’attenzione generale dopo le elezioni regionali avvenute domenica scorsa si è concentrata sulla regione Marche ed i suoi risultati che indubbiamente molto dicono dello status quo di un sistema polarizzato, quello della sedicente seconda repubblica, che mostra tutta la sua crisi se li si legge con attenzione: aumenta ulteriormente l’astensione scendendo a quel cinquanta per cento di votanti che è come un sintomo di una malattia, la febbre sul termometro, alta, che dovrebbe indurre ad una riflessione, a cui si unisce il fatto che i due maggiori partiti, FdI e Pd, messi insieme faticano a rappresentare almeno la metà di quella metà. E’ chiaro che tale crisi impone di guardare in faccia la realtà con più attenzione a partire dall’insufficienza della riflessione se si guarda solo alla partecipazione staccata dalla rappresentanza e dalla socialità col rischio di una mera retorica o peggio di cedimenti ideologici con la facile trasformazione nel parteggiare delle proprie rispettive tifoserie: anche i cattolici in questo hanno una responsabilità che deriva dall’irrilevanza (cfr. il discorso dell’Arcivescovo di Milano Mons. Delpini al Simposio nazionale dell’MCL e Traguardi Sociali presso l’Università Cattolica di Milano del 9 luglio c.a.) e dalla sconfitta, oltre che di una classe dirigente imbelle che ha disfatto un’organizzazione, culturale in questa seconda repubblica nata con la realizzazione della loro divisione e il presidio di una polarizzazione che li vuole divisi “curandone” la frattura insana tra cattolici della morale e cattolici del sociale (cfr. Papa Leone XVI contro la polarizzazione) anche a volte andando a richiamare vecchi scontri ormai passati d’epoca per sobillare vecchie pance. Da questo punto di vista sarebbe interessante riprendere l’importante discorso che Papa Francesco fece alle autorità, alla società civile e al corpo diplomatico ad Atene il 4 dicembre 2021 in cui parlò dello “scetticismo democratico” e del rimedio ad esso, la buona politica e della direzione di questa che indica citando un padre fondatore dell’Europa, il democratico cristiano Alcide De Gasperi: “si pala molto di chi va a sinistra o a destra, ma il decisivo è andare avanti e andar avanti vuol dire anche andare verso la giustizia sociale”. La citazione dei cattolici è importante perchè è una questione che sta tornando rilevante, obbligando a uscire dalla polarizzazione e tornare ad avere a che fare con la complessità della realtà ma è da un quarto di secolo esclusa dal sistema polarizzato con il suo migliore e autonomo pensiero politico, il popolarismo, che, va ricordato, è sturzianamente centrista non semplicemente espressione di una vaga politica di centro.
Dunque non si può parlare di partecipazione senza politica e senza il popolo e la sua saggezza. Da questo punto di vista va rimarcata la poca considerazione che viene data alle elezioni regionali della Valle d’Aosta che, per l’analisi della crisi, invece potrebbero essere molto più interessanti. Tre indicazioni innanzitutto, l’affluenza al 63%, un turno complessivo che ha riguardato il consiglio regionale e 65 consigli comunali, il sistema proporzionale e l’elezione da parte del consiglio del Presidente della Regione. Come si vede tre elementi che rendono il sistema valdostano originale, con una domanda che dovrebbe insinuarsi: più partecipazione perchè più rappresentativo, quindi più democratico? Guardare alla Valle d’Aosta, obiettivamente, aiuta a riscoprire la centralità degli enti locali e quella sana autonomia che si radica nel miglior municipalismo, che varie riforme, fuori dalla regione a statuto speciale, hanno indebolito togliendo spazi di rappresentanza e rappresentatività (diminuzione del numero dei consiglieri comunali e delle competenze dei consigli comunali, cancellazione dell’elezione diretta dei consigli provinciali, città metropolitane con cittadini di serie A e serie B per il fatto che il Presidente, coincidendo col sindaco della città capoluogo, viene eletto solo dagli elettori della città, leggi elettorali che non tengono conto della rappresentanza delle aree interne, salendo fino ad arrivare all’errore della riduzione della rappresentanza parlamentare con il taglio dei parlamentari): insomma la risposta alla domanda non può che essere positiva, i valdostani godono di maggiore democrazia perchè non hanno rinunciato a quel necessario dinamismo di essa di cui parlava Aldo Moro. Vanno poi considerati alcuni altri aspetti: innanzitutto il sistema proporzionale, che necessita di maggiore consapevolezza per il legame eletto/elettore, permette anche significative novità nel panorama politico, proprio come in questa tornata elettorale e quindi ha una migliore e più naturale capacità di ricambio della classe dirigente; va poi considerato che tale sistema richiede, legato al territorio e ai comuni, di realtà politiche radicate, non elettoralistiche e transitorie e tale radicamento aiuta la partecipazione perchè contribuisce con la rappresentanza vera, che nasce da dibattito politico concreto, che sta nelle comunità, vedasi l’Union Valdotaine che, grazie a ciò supera una difficile crisi degli anni precedenti e riprende il ruolo guida in consiglio regionale arrivando al 32% dei voti. Va poi fatto emergere l’indicibile per i guardiani dell’artefatto bipolarismo all’italiana sia di destra che di sinistra, ossia che il sistema proporzionale, che si innesta sulla centralità dell’assemblea e non del Presidente, garantisce una dialettica politica che mette in gioco le identità e le alleanze programmatiche piuttosto che inscindibilità pre-stabilite di coalizioni che la polarizzazione dalle altre parti riduce per incatenare pezzi politici dentro un clima di scontro perenne trasformando ad esempio le opposizioni in minoranze senza speranza e Presidenti e Sindaci in simil Podestà: in Valle d’Aosta, invece, ogni voto vale e può giocare un ruolo nella dinamica del consiglio regionale, sentito fortemente nel suo ruolo dai valdostani, garantendo alle istituzioni la necessaria capacità di sussumere le istanze politiche, sociali, economiche, presenti comprese le eventuali tensioni così messe a terra. Non sarebbe questo il livello da cui partire per curare la nostra democrazia? Torna il discorso dei cattolici perchè è stretto il legame tra l’autonomismo valdostano, riandando ad uno dei suoi padri, Mons. Jean-Joconde Stevenin e il pensiero di Sturzo e De Gasperi, che, naturalmente, porterebbe anche a seguire l’esempio e porsi all’opposizione dello stato delle cose: se non loro che hanno ricostruito l’Italia e sognato l’Europa, chi stante la cattiva prova data da desta e sinistra per 30 anni? A noi giovani popolari Bodrato parlava della necessità del popolarismo che arrivasse ad un partito dei consigli comunali, ossia del territorio, della rappresentanza, delle palestre di democrazia più vicine ai cittadini: abbandonando ciò che ha fallito e/o non serve più, urgerebbe ragionare di questa sfida.
Cordialmente,
GIANCARLO CHIAPELLO
segreteria nazionale Popolare/Italia Popolare
C/o l’ultima sezione popolare sturziana d’Italia, “Alfredo Rista” dei Popolari di Moncalieri
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