L’arte della tariffazione

IL PUNTASPILLI di Luca Martina

Al suo ritorno alla Casa Bianca nel gennaio 2025, il presidente Donald J. Trump ha riportato al centro della sua azione politica “America First”, uno dei pilatri della sua prima presidenza.
Al cuore di questa strategia vi è una profonda revisione della politica tariffaria statunitense, volta a limitare le importazioni, rilanciare la produzione nazionale e riaffermare la supremazia americana nel commercio globale.
Il nuovo regime tariffario propugnato da “Tariff man” (come Trump stesso si era definito in un post su Twitter nel dicembre 2018) ha trasformato le dinamiche del commercio internazionale, generato tensioni diplomatiche e acceso un intenso dibattito sulle sue conseguenze economiche.
Gli obiettivi perseguiti attraverso la minaccia iniziale e la successiva imposizione di dazi elevati sono molteplici:
  1. Generare entrate per il governo degli Stati Uniti: i dazi mirano a raccogliere fino a 600 miliardi di dollari all’anno, da destinare a tagli fiscali e alla riduzione del debito pubblico.
  2. Proteggere e rilanciare la manifattura statunitense: rendendo le importazioni più costose, Trump intende incentivare la produzione interna e reindustrializzare l’economia americana, in particolare nei settori dell’acciaio, dei semiconduttori e dei prodotti farmaceutici.
  3. Ridurre i disavanzi commerciali bilaterali, soprattutto con la Cina: l’obiettivo è ridurre lo squilibrio commerciale scoraggiando le importazioni e favorendo le esportazioni.
  4. Contrastare pratiche commerciali sleali: i dazi vengono utilizzati per reagire a trasferimenti forzati di tecnologia (pratica commerciale in cui un’azienda straniera è costretta a condividere brevetti, know-how, software, processi produttivi) con un’azienda locale o con il governo del Paese ospitante, come condizione per poter operare in quel mercato), furti di proprietà intellettuale ed esportazioni sovvenzionate (attraverso sussidi, agevolazioni fiscali, prestiti agevolati o rimborsi.
  5. Rafforzare la sicurezza nazionale ai sensi della Sezione 232 del Trade Expansion Act: i dazi hanno l’obiettivo di proteggere settori critici (come acciaio e alluminio) considerati vitali per la difesa e la sicurezza nazionale.
  6. Strumento di pressione nei negoziati globali: i dazi fungono da leva per spingere altri Paesi a ridurre le proprie barriere commerciali e ad utilizzare standard statunitensi in ambiti come tecnologia ed energia.
  7. Ridefinire gli equilibri di potere globali: la politica mira a riaffermare la leadership americana nel commercio mondiale, riducendo la dipendenza da istituzioni multilaterali e privilegiando un approccio più transazionale e bilaterale.
  8. Combattere il traffico di droga: Trump sostiene che i dazi possono esercitare pressione su Paesi come Messico e Canada affinché contrastino il traffico di fentanyl verso gli Stati Uniti.
  9. Affrontare la sopravvalutazione della valuta: i dazi sono visti anche come uno strumento per contrastare la (presunta) sopravvalutazione del dollaro, rendendo le esportazioni statunitensi più competitive a livello globale.
Per attuare la sua politica tariffaria, Trump si è basato nel 2025 su tre principali fonti giuridiche:
  1. International Emergency Economic Powers Act (IEEPA) – Utilizzata per giustificare i dazi in risposta a emergenze nazionali, come il flusso di fentanyl e le questioni migratorie. Trump è il primo presidente ad aver usato l’IEEPA per imporre dazi.
  2. Sezione 232 del Trade Expansion Act del 1962 – Invocata per proteggere la sicurezza nazionale imponendo dazi su importazioni ritenute dannose per le industrie interne. I critici sostengono che la definizione di “sicurezza nazionale” sia stata estesa eccessivamente, includendo prodotti come automobili, rame e farmaci, che potrebbero non rappresentare minacce reali. Sebbene tribunali e Congresso tendano a dare credito alle affermazioni presidenziali in materia di sicurezza, ciò ha sollevato preoccupazioni riguardo all’esercizio i incontrollato del potere presidenziale.
  3. Sezione 301 del Trade Act del 1974 – Applicata per affrontare pratiche commerciali sleali, con particolare attenzione ai settori dei semiconduttori e della logistica cinese. I critici sostengono che azioni unilaterali basate sulla Sezione 301 minino i meccanismi dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio e le norme del commercio globale, causando disagi alle catene di approvvigionamento e aumentando l’incertezza per le imprese.
Ad oggi, solo l’International Emergency Economic Powers Act (IEEPA) è stata seriamente contestata nei tribunali statunitensi.
Sebbene una corte d’appello abbia stabilito il 29 agosto che la maggior parte dei dazi imposti da Trump è illegittima—affermando che l’IEEPA non conferisce al presidente l’autorità per imporli—i dazi resteranno in vigore fino al 14 ottobre, per consentire un eventuale ricorso alla Corte Suprema. Quest’ultima, massimo organo giuridico in materia costituzionale e federale, dovrebbe esaminare il caso durante la sua “long conference” del 29 settembre, e potrebbe decidere di affrontarlo poco dopo.
Considerando che l’attuale Corte Suprema ha una maggioranza conservatrice di 6 a 3, con sei giudici nominati da presidenti repubblicani—di cui tre da Trump stesso—è piuttosto improbabile che la Corte si pronunci contro il presidente. Tuttavia, non si può escludere del tutto, poiché ciò è già accaduto nel recente passato in casi riguardanti i poteri delle agenzie governative federali  (come l’EPA , Agenzia per la protezione dell’ambiente o la  FDA, Agenzia del farmaco), e l’immigrazione.
Vale la pena notare che la strategia negoziale e tariffaria di Donald Trump riflette almeno sette degli undici principi esposti nel suo libro del 1987 The Art of the Deal (L’Arte della Negoziazione), scritto insieme al giornalista Tony Schwartz:
  1. Pensare in grande: “Se devi pensare, tanto vale pensare in grande.”
    I dazi estesi—tra cui uno del 145% sui beni cinesi—dimostrano l’approccio audace e ad alto rischio di Trump, sempre orientato al massimo impatto, anche a costo di reazioni economiche negative.
  2. Usare la propria leva: “La cosa peggiore in una trattativa è sembrare disperati.”
    Trump ha sfruttato il deficit commerciale e la potenza economica degli Stati Uniti come leva per costringere altri Paesi a rinegoziare i termini commerciali. I dazi non sono solo strumenti economici ma vere e proprie armi strategiche.
  3. Massimizzare le opzioni: “Tengo sempre aperte molte possibilità.”
    La sua amministrazione ha aperto più fronti commerciali contemporaneamente—Cina, UE, Canada, Messico, India—mantenendo le trattative fluide e imprevedibili, creando punti di pressione su scala globale.
  4. Conoscere il mercato: “Faccio i miei sondaggi e traggo le mie conclusioni.”
    Trump ha spesso ignorato i consigli economici tradizionali, affidandosi all’istinto e al giudizio personale. Le sue decisioni tariffarie hanno spesso sfidato il consenso economico dominante.
  5. Reagire con forza: “Quando mi trattano ingiustamente, reagisco con forza.”
    I dazi ritorsivi, in particolare contro la Cina, sono stati presentati come risposte a pratiche commerciali sleali. Trump ha preferito intensificare le tensioni piuttosto che fare marcia indietro.
  6. Farsi sentire: “La stampa è sempre alla ricerca di una buona storia.”
    Ha utilizzato la teatralità mediatica per amplificare le sue mosse commerciali definendo il 2 aprile “Giorno della Liberazione”, rilasciando dichiarazioni audaci e presentando i dazi come atti patriottici. Questo ha contribuito a plasmare la percezione pubblica e a raccogliere consenso.
  7. Puntare in alto: “Punto molto in alto e poi continuo a spingere.”
    Il suo stile negoziale è stato aggressivo e tenace, iniziando spesso con richieste estreme e cedendo solo sotto forte pressione. Questo è evidente nei livelli iniziali dei dazi e nella sua riluttanza a scendere a compromessi.
Detto ciò, Trump non ha sempre seguito coerentemente tutti i principi della sua filosofia negoziale. Spesso ha ignorato i rischi, nonostante la sua dichiarata volontà di “proteggersi dai potenziali contraccolpi negativi”. Ha mostrato una flessibilità limitata, pur sostenendo l’importanza di mantenere aperte più opzioni e sebbene affermasse di “conoscere il mercato”, molte sue decisioni sembrano aver trascurato le conseguenze economiche più ampie.
In sintesi, è evidente che Trump, attraverso la sua strategia tariffaria, mira a perseguire una serie di obiettivi, perfettamente in linea con la sua agenda MAGA.
Il suo approccio ha seguito in gran parte i principi esposti nel suo libro The Art of the Deal, ma non sono certamente mancate contraddizioni e frequenti cambi di rotta che hanno sollevato dubbi sulle sue reali intenzioni.
I mercati finanziari si sono, tra alti e bassi, dimostrati moderatamente ottimisti sulla possibilità che POTUS raggiunga i suoi obiettivi ma il verdetto finale, e non parliamo solo della Corte Suprema, è ancora in sospeso
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