Salone del Libro: Salman Rushdie, per la prima volta in Italia dopo l’attentato

Protagonista indiscusso della seconda giornata del Salone del libro di Torino lo scrittore Salman Rushdie, per la prima volta in Italia dopo l’attentato che gli è quasi costato la vita. Un’ora e mezza di coda per le rigide misure di sicurezza per i fortunati che sono riusciti a prenotare un posto nell’Auditorium del Lingotto. A dialogo con lo scrittore angloindiano Roberto Saviano, interlocutore più che mai appropriato per parlare della libertà d’espressione degli intellettuali, nonché amico fraterno.

Per chi si aspettava un incontro dai toni cupi si è dovuto ricredere. D’altronde Rushdie quando fu colpito dalla fatwa di Khomeini nel 1989 per il romanzo “I versi satanici” non ha mai permesso in trent’anni che la sua vita si trasformasse in un calvario o che la sua creatività venisse mutilata per trasformarsi in un’attivista dei diritti degli intellettuali o un opinionista delle questioni in Medio Oriente, riuscendo ad eludere via via le aspettative che l’opinione pubblica gli cuciva addosso.

Saviano chiede subito a Rushdie di partire dalla ricostruzione del suo tentato assassinio il 12 agosto 2022 a Chautauqua, una cittadina dello Stato di New York, al centro del suo ultimo romanzo “Coltello. Meditazioni dopo un tentato assassinio”. Certo, i racconti drammatici non mancano, visto che nel terribile incidente ha perso un occhio ed è stato più volte pugnalato ad un braccio e al viso, ma sono affrontati con la levità e l’ironia che lo contraddistinguono e avvolti dalla tenerezza nei confronti della moglie Eliza, sempre al suo fianco nel duro percorso di ripresa. Saviano stesso fa notare come il libro sia pieno di digressioni ironiche, come quando racconta che al momento di constatare quanto fossero profonde le ferite, Rushdie era più preoccupato per il vestito nuovo che dovevano tagliare. E in fondo traspare dall’intervista come tutto il romanzo sia un inno alla vita e un omaggio all’amore e alla letteratura.

Saviano chiede a Rushdie come sia riuscito a rimanere scrittore dopo la condanna della fatwa e a tenere alto lo standard dei suoi libri senza cedere davanti agli attacchi ricevuti anche dagli altri scrittori e Salman racconta di come ha scoperto di essere più forte di quanto pensasse: “Mio figlio all’epoca aveva 10 anni e mi chiese perché non scrivessi libri che potesse leggere lui. Io gli risposi che finito di scrivere il libro a cui mi stavo dedicando (era I versi satanici), avrei scritto un libro che gli sarebbe piaciuto. Poi è diventato impossibile. Però avevo fatto una promessa e così ho scritto “Harun e il mar delle storie”. Ecco, il mio ritorno alla scrittura è stato questo: scrivere una favola per un bambino. Ci potevano essere molti modi con cui distruggere la mia carriera: la paura, la rabbia, la vendetta, ma queste cose mi avrebbero distratto dalla mia arte. Mi sono detto: ho scritto cinque libri, continua a stare sulla tua strada e segui quella. Volevo che i miei libri vivessero di vita propria.”

Saviano:“Come hai fatto per vent’anni a vivere con il peso di una minaccia di morte e l’ostilità dei media e anche di molti intellettuali?”

Rushdie: “Beh, tu ne sai qualcosa, anzi penso che per te sia stato ben peggio di quanto lo sia stato per me. Ho pensato che se stavo ad aspettare che andasse tutto bene quel giorno non sarebbe mai arrivato. Certo, mi sono fatto guidare dai servizi segreti. Vivo da 25 anni a New York e per 23 anni ho vissuto in modo normale, senza problemi. Poi questo tipo ha pensato che la questione non fosse chiusa. Ho avuto un ventennio di vita buona e ora ne voglio altri venti così, che mi faranno arrivare a 97 anni. Sto già pensando alla mia festa dei 100 anni e deve essere una festa da ballo con un dj attempato” osserva ridendo.

Saviano nel ringraziare Rushdie per la solidarietà espressa il giorno precedente nei suoi confronti nella disputa con Giorgia Meloni, gli chiede come mai i giornalisti e gli intellettuali vengano percepiti dai ministri come dei rivali politici e come vede il problema della libertà di espressione nei governi populisti. “Trump ha sempre considerato i giornalisti come “nemici del popolo”, strano senire una frase stalinista pronunciata dal presidente più capitalista. Ma non è niente di nuovo, io sono stato citato in giudizio da Indira Gandhi quando ho scritto “I figli della mezzanotte”, quindi non sei il primo” risponde Rushdie sorridendo, “ è un brutto momento per la libertà di espressione, dobbiamo ricominciare a combattere.”

Sulla sua tenacia nel sopportare i gossip che lo criticavano di essere frivolo nonostante pesasse su di lui una condanna, Rushdie ha dichiarato: “ Non è stato facile, pensavano dovessi rimanere nascosto per non risultare superficiale, quindi me ne andavo nei night. Adesso non riesco a rimanere sveglio fino a tardi per andare a divertirmi in discoteca” e aggiunge in tono ironico “ ho anche scritto 22 libri, non so quando li ho scritti con tutte queste feste! Interessante notare come dopo l’aggressione tutta questa gente sia sparita.”

Di fronte alla domanda su quale sia il rapporto che Rushdie ha attualmente con I versi satanici risponde così: “ogni libro deve trovare la sua strada nel mondo. A un lettore che mi chiedesse da dove iniziare a leggere i miei libri gli risponderei di non partire da quello, ed è un peccato perché credo sia un buon libro. La cosa strana è che non riguarda molto la religione ma piuttosto la città di Londra. Credo che quelli che hanno sferrato critiche no lo abbiano letto. Se penso che Ulisse di Joyce è stato accusato di pornografia e Nabokov è stato accusato di essere pedofilo per Lolita…A pensarci bene mi fa sentire meglio essere in compagnia di Joyce e Nabokov.”

Nel romanzo non nomina mai il suo giovane attentatore che, quando gli è stata gettata addosso la fatwa, non era ancora nato. È un mistero come a questo ragazzino del New Jersey dalla fedina penale pulita sia saltato in mente di aggredirlo. Nel ricostruire la sua vita cerca di renderlo più convincente di quanto non lo sia nella realtà. È un modo di farlo suo, dice, “la mia reale vendetta è stata quella di inventarlo nei buchi che non tornano”.

Infine Saviano chiede a Rushdie se è vero che dal dolore si esce migliori, perché lui ha sempre pensato il contrario e Rushdie replica che ad ogni modo bisogna trovare la forza e la speranza di andare avanti, nel suo libro spesso ricorre l’imperativo “Vivi!”, come un ordine che dà a sé stesso e poi aggiunge: “guardarci poi qui a dirci cose gentili l’un l’altro, abbiamo un solo problema io e te: o impari tu l’inglese o io l’italiano.”

Un caloroso applauso in una standing ovation accompagna i due autori che si abbracciano e si allontanano.

Giuliana Prestipino 

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