Amalia, una grande donna di inizio ‘900. Origini, passioni e delusioni

 

L’amicizia con Gozzano, iniziata nella Società della Cultura, fece molto scalpore tra i contemporanei. Amalia, molto sensibile, raffinata ed elegante, incarnava il modello di donna colta e sofisticata secondo la moda parigina dell’epoca. Durante i mesi del loro breve rapporto, lui scelse la libertà personale e la solitudine come sostituti dell’amore man mano che la salute gli veniva a mancare, contrastando i desideri di Amalia. La poetessa riuscì ad avere con Gozzano una amicizia letteraria e, nonostante fosse ispirata da motivi anche scabrosi, fu apprezzata mantenendo con lui una buona corrispondenza.
I due scrittori non erano certo a conoscenza delle loro comuni origini della Valstrona. Il poeta discendeva da un esponente emigrato ad Agliè da Luzzogno alla fine del XVI° secolo; Amalia discendeva da una famiglia di artigiani originaria di Sambughetto della stessa Valstrona ed era sicuramente a conoscenza della storia dei suoi nonni. La sua origine è stata tratta dall’archivio parrocchiale di Sambughetto emersa grazie alle ricerche di Giuseppe Femia. Il trisavolo Giacomo Antonio e la moglie Antonia Maria Vittoni erano i capostipiti. Il bisnonno Pietro, ottavo dei nove figli di Giacomo, passato a Cravanzana nelle Langhe, si trasferì a Torino nel 1851 ed abitò nella centralissima via Cappel Verde nella zona di piazza San Giovanni. Fu inventore della famosa borraccia in legno per il Regio Esercito. Pietro, con il fratello primogenito Nicola e Giovanni Beltrami, un tornitore di Casale Corte Cerro, si erano presentati all’accademia delle scienze di Torino nel 1826 per ottenere un brevetto sostenendo di essere riusciti a far muovere un carro definito volante composto da leve meccaniche e ruote dentate, sostituendo così la forza animale. Tentativo fallito.
 Il dottor Ernesto, originario di un’altra famiglia Guglielminetti, fu l’inventore dell’attuale asfalto stradale. Rimasta orfana del padre a soli cinque anni, Amalia fu accolta con la mamma Felicita Avezzato e i fratelli Ernesto, Emma ed Erminia nella casa dei nonni Lorenzo (terzogenito dei sei figli di Pietro) e Monnalisa Monza. Sui Guglielminetti è utile consultare quanto pubblicato da Maria Chiara Acciarini, moglie di Marziano (figlio di Giovanni Amabile, quartogenito di Pietro) professore di storia e letteratura italiana, direttore del centro studi Gozzano dell’università di Torino e prefatore del manoscritto “La via del rifugio” di Gozzano, in contatto con il poeta monferrino Piero Ravasenga di Borgo San Martino. La signorina Amalia, cugina di Marziano, furba, ammaliatrice, emancipata e seducente ma molto lontano dalla mediocrità femminista, si oppose fermamente di stare all’ombra di un solo uomo padrone assoluto.
L’amica Lyda Borelli, regina del cinema muto, interpretò alcune scene tratte da una pubblicazione provocante di Amalia, mandando in visibilio il salotto “Donna di Torino”. Il giornalista ebreo Pittigrilli, di dodici anni più giovane di lei, brillante torinese legato alla polizia fascista e collaboratore letterario rifiutato da Giorgio Almirante, fu un amante turbolento di Amalia, vicenda giudiziaria di pubblico dominio. Di questa sua avventura, Gozzano scrisse: “Ecco una delle sue solite crisi di bontà, meglio rimanesse perfida”. Lasciò come da testamento il patrimonio allo Stato, poi rinunciato dalla Finanza, vincolandolo a due condizioni, l’istituzione di un premio annuale di poesia classica a lei intitolato e l’erezione del suo monumento funebre a forma di piramide egizia. Amalia non voleva riposare per terra ma in alto e la piramide doveva misurare cinque metri sia alla base che in altezza.
Scelta non causale, dato che il numero cinque simboleggia esotericamente la volontà, l’intelligenza, l’individualità, la genialità e l’ispirazione. L’ultima casa in via San Donato, dove iniziò la fortuna economica dei genitori, fu ereditata dai fratelli mentre la sua ultima residenza fu l’albergo Principi di Piemonte. Amalia, graffiante e spigliata, non era certo la signorina Felicita ovvero la ricerca della felicità, immobile come le bambole di ceramica o nelle vesti campagnole di un tempo. La sua immagine di poetessa fu deteriorata, dimenticata e nessuna delle sue volontà fu rispettata. Non ebbe miglior fortuna nell’amore, anche se sicuramente fece il possibile per piacere ai suoi amanti, ricchi di opposti entusiasmi. Ma D’Annunzio l’aveva ben valorizzata, definendola “L’unica poetessa che oggi abbia l’Italia”. Anche la città di Torino non la dimenticò, intitolandole una via nel quartiere di Santa Rita.
Armano Luigi Gozzano
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