Dipinti e disegni in mostra alla “Fondazione Giorgio Amendola” di Torino
Fino al 28 febbraio
Avrebbe potuto utilizzarlo come titolo alla sua nuova personale subalpina.”A tutti i miei incontri con persone, animali e cose” è invece l’originale dedica che Stefano Levi Della Torre (Torino, 1942) scrive, in apertura di catalogo, a tutti i “protagonisti” (persone, animali e cose per l’appunto) raccontati in una ricca antologica ospitata, fino a martedì 28 febbraio nelle sale espositive della “Fondazione Giorgio Amendola” di Torino. Una sessantina i dipinti esposti, accompagnati ad alcune pagine grafiche di rapida puntuale cifra stilistica, datati fra il 1985 ed il 2022. Quarant’anni di intensa attività artistica, praticata a compendio e prezioso collante ai tanti altri “mestieri” portati avanti negli anni da questo raffinato intellettuale torinese, saggista e studioso della tradizione e della cultura ebraica, nonchè docente alla “Facoltà di Architettura” del Politecnico di Milano, scrittore e, soprattutto, pittore. “Credo – sottolinea Levi Della Torre – di pensare molto per immagini… Penso che per me la pittura sia la guida anche della scrittura”.
Qualche giorno fa, ho visitato la sua mostra alla “Fondazione” di via Tollegno. Poco dopo, ci siamo sentiti per telefono. Stefano Levi Della Torre è uomo di grande cordialità, la voce pacata, pochi sorrisi appena accennati, una dolce mitezza. Il tutto mi ha ricordato l’incontro nel 1987 con il di lui zio materno Primo Levi. L’occasione, un’intervista, pochi mesi prima della sua tragica fine, al grande autore delle pagine di “Se questo è un uomo”, voluto dal “bisogno irrinunciabile di raccontare agli altri, di fare gli altri partecipi” dell’Inferno di Auschwitz. Fra i due, assonanze comuni. Il cui riferimento, credo, l’artista abbia gradito, inviandomi dopo poco un suo scritto sullo zio (“piuttosto lungo, se non ha tempo di leggerlo– cortese ironia – non mi offendo”) con in esergo le illuminanti parole di Kafka: “Una volta gettato, un ponte non può smettere di essere un ponte senza precipitare”.
Ed eccolo, in parete, “Primo Levi che guarda nel buio”, olio su tavola del 2022, fra le opere più suggestive presenti in mostra. Avvolto nella cupezza di grigie rossastre tonalità, lo scrittore pare congedarsi dal mondo reale, gli occhi rivolti a un buio infinito, l’immagine palesata dal biancore del volto, della barba e dei candidi capelli. Per lui, la fine di un tormento, di un lungo martoriante incubo, raccontato nell’opera a fianco: il grande “Diluvio” (1985) che distrugge, avvolge in un abbraccio mortale cose, animali, esseri viventi trascinati nel gorgo del non ritorno. Metafora della condizione umana. Sono i “Sommersi” della Shoa, che il lager non ha risparmiato e verso cui i “Salvati” nutrono forti “sensi di colpa” per esser loro sopravvissuti; sono gli infuriati, terrorizzati e mordaci “gallinacei” dal becco rosso reclusi, nell’agitazione di forme ed espressionistici colori, nell’“Allevamento” del ’91. Disposizione non casuale, non effettuata in base a date, “ma – sottolinea l’artista – a seconda di come i quadri si parlano e si richiamano l’un l’altro”.
Stefano Levi Della Torre ama il colore. La pennellata avvolgente ed inquieta che, senza trasgredire al figurativo, gioca con la materia, libera nel gesto, nella sovrapposizione di toni in cui l’immagine trova rapida, nervosa e perfino imprevista e imprevedibile caratterizzazione. E’ la grande eredità lasciatagli da un altro importante zio (di parte paterna), quel Carlo Levi, il “torinese del sud” del “Cristo si è fermato a Eboli” e dei “Sei di Torino”, il cui buen retiro estivo, sulla prima collina di Alassio (“Benedetto chi viene a casa Levi” la scritta in ebraico sovrastante la porta d’ingresso), il giovane Stefano ebbe probabilmente modo di frequentare con una certa assiduità, assorbendo l’amore dello zio per la natura rigogliosa del grande parco di casa. E da lui apprendere a trasgredire, nei limiti concessi, le regole di una pittura comunque e sempre “spontaneamente figurativa”. Suggestiva e, a tratti, intrigante la carrellata dei personaggi che hanno fatto la storia, più o meno grande, del “libero pensiero” torinese del Novecento e d’oggi: dal suo pacato “Autoritratto” del ’96, a un giovane Carlo Ginzburg del’94, fino all’elegante figura di Giovanna Galante Garrone in posa a strimpellare la chitarra. Notevoli, per linguaggio e capacità introspettiva, i ritratti dell’indimenticato Norberto Bobbio e della moglie Valeria Cova Bobbio, scomparsa nel 2001, tre anni prima del marito, di cui era stata la più stretta collaboratrice.
Gianni Milani
“Stefano Levi Della Torre. Dipinti e disegni, 1985 – 2022”
Fondazione Giorgio Amendola e Associazione lucana Carlo Levi, via Tollegno 52, Torino; tel. 011/2482970 o www.fondazioneamendola.it
Fino al 28 febbraio
Orari: lun. – ven. 10/12,30 e 15,30/19; sab. 10/12,30
Nelle foto:
– “Villa Levi ad Alassio”, olio su tela, 2006
– “Primo Levi che guarda nel buio”, olio su tavola, 2022
– “Norberto Bobbio”, olio su tela, 1993
– “Diluvio”, olio su tela, 1985
– “Allevamento”, olio su tela, 1991
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