IL PUNTASPILLI di Luca Martina
Le prospettive economiche rimangono quantomai incerte ma da qualche tempo è iniziato a filtrare un certo ottimismo da parte degli investitori, degli analisti e degli economisti.
Ultime, ma solo in ordine di tempo, sono giunte le previsioni del Fondo Monetario Internazionale (FMI).
Secondo l’FMI il rallentamento sarà inferiore alle attese e si passerà da una crescita del PIL del 3,4% nel 2022 al 2,9%.
A patire le peggiori conseguenze saranno i Paesi industrializzati, destinati nel loro complesso a dimezzare la crescita dal 2,7% all’1,2%.
L’Europa, epicentro degli eventi scatenati dalla guerra in Ucraina, pagherà il prezzo più salato e l’area dell’euro sarà in virtuale stallo (+0,7%) per tutto l’anno appena iniziato.
Note più liete sono riservate dall’FMI all’Asia emergente che, trainata dalla Cina dovrebbero crescere di più del 5%.
Ma se quanto sopra era in una certa misura atteso quello che sorprende forse di più sono le previsioni sulla Russia, vista in miglioramento (dopo una discesa del 2,2% nel 2022) sia quest’anno (+0,3%) che il prossimo (+2,1%).
In effetti il regno di Putin ha sinora subito delle conseguenze tutto sommato modeste dall’embargo dei Paesi occidentali.
Com’è possibile, ci si chiede, che un Paese che dipende quasi esclusivamente dall’esportazione di petrolio e gas naturale possa fare fronte alla perdita dei suoi più importanti clienti (i principali Paesi europei) senza subire un tracollo della sua economia.
La risposta sta nei dati che consentono di fare luce sulla destinazione dei flussi di greggio: da questi appare evidente che a compensare il netto calo della domanda europea ci abbia pensato l’Asia.
Basti pensare che, dall’inizio della guerra, un anno fa, le importazioni cinesi di petrolio russo sono quasi raddoppiate e sono pressoché esplose (moltiplicandosi di 14 volte) da parte dell’India (che ha quasi appaiato Pechino come primo cliente di Mosca).
Non desta sorpresa, poi, che, sebbene assai meno importanti, anche la Turchia e la Bulgaria abbiano approfittato delle “offerte speciali” (greggio a prezzo scontato) del supermercato russo.
Meno ovvia è stata la crescita delle importazioni di petrolio russo da parte del nostro Paese, raddoppiate nel corso del 2022.
La situazione paradossale si spiega con la presenza della raffineria russa, della Lukoil, ad Augusta, in Sicilia.
Prima della guerra, infatti, solo il 30% del petrolio raffinato in Italia dalla Lukoil era di provenienza russa ma dopo l’imposizione delle sanzioni le banche italiane hanno chiuso le linee di credito “costringendo” la raffineria ad approvvigionarsi al 100% con petrolio domestico (importato dalla Russia).
Vedremo nei prossimi mesi se le misure ulteriormente restrittive sulle esportazioni di greggio via mare, a fine anno scorso, e di prodotti raffinati, dal 5 febbraio, finiranno per sortire gli effetti sperati (togliere ossigeno alla macchina da guerra russa).
Per ora possiamo solo convenire con quanto sosteneva l’economista statunitense Jeremy Rifkin: “Il regno dei cieli potrà anche essere fondato sulla giustizia ma i regni terrestri sono fondati sul petrolio.”