Pensavamo che la malapianta del populismo fosse ormai arrivata al capolinea.
Invece non è così. Qualcuno si era illuso del voto del 25 settembre. Ovvero, essendosi più che dimezzati i consensi dei 5 stelle rispetto alle lezioni del 2018, molti pensavano che la deriva populista, qualunquista e demagogica ritornasse ad essere marginale. Invece, appunto, era solo una illusione. Il populismo, invece, è ancora presente, radicato e addirittura in crescita. Lo dicono i sondaggi ma, soprattutto, si trova la conferma negli orientamenti della pubblica opinione. E l’ultima manifestazione pacifista di Roma lo ha persin platealmente confermato. Certo, non ci sono più gli insulti triviali e squallidi del passato ma il verbo populista viene declinato in modo ancora più pericoloso. Perchè adesso sappiamo come si manifesta concretamente riproponendo, del resto, tutti i tasselli che caratterizzano questa malapianta politica, culturale ed etica.
E cioè, il populismo non ha una cultura politica. Non ha una connotazione nè di destra, nè di sinistra e nè di centro. Non a caso, oggi i 5 stelle hanno scoperto di essere una “sinistra per caso”, avendo sposato un impianto seccamente assistenzialista e pauperista. Non avendo una cultura politica definita e chiara – questo è l’aspetto decisivo di ogni populismo – anche nella politica estera possono assumere decisioni originali e disinvolte. E, ad esempio, dopo aver condiviso e votato convintamente tutti gli atti parlamentari finalizzati ad aiutare concretamente il popolo ucraino, adesso riscoprono una forte venatura pacifista. Senza battere ciglio, come ovvio e scontato. Senza alcuna discussione e senza alcun approfondimento politico. Ovvero, una politica estera “à la carte”. Per non parlare delle alleanze e della costruzione delle varie coalizioni. E questo sia per il livello locale e regionale e sia per quello nazionale. Tutto è reversibile e tutto è mobile. E qui interviene un altro tassello fondamentale del populismo: ovvero la prassi trasformistica come criterio di fondo per ogni scelta politica inerente, ad esempio, la definizione delle alleanze. E anche su questo versante è appena sufficiente prendere atto del comportamento concreto che il partito di Conte e di Grillo hanno mantenuto nella scorsa legislatura. Appunto, a destra come a sinistra e con i tecnocrati non c’è alcuna differenza politica, culturale e programmatica. Le alleanze, cioè, sono intercambiabili e prive di alcuna valenza politica.
Gli esempi si potrebbero moltiplicare ma è del tutto inutile per rendere l’idea. Il populismo, cioè, vive come prima e forse più di prima. Quello che conta rilevare è che esiste un massiccio segmento di opinione pubblica che condivide una prassi politica che mina alla radice la qualità della nostra democrazia, la credibilità delle istituzioni democratiche e l’efficacia della stessa azione di governo. Una prassi e un metodo che confliggono con la democrazia dei partiti, con il valore delle culture politiche, con la qualità e l’autorevolezza della classe dirigente e con un minimo di coerenza e di lungimiranza della politica. Cioè, tutto si può fare e tutto si può negare. Anche nell’arco di pochi giorni.
Ora, di fronte ad un fenomeno del genere – appunto, il populismo demagogico, qualunquista e anti politico – è quantomai necessario emarginare politicamente questa malapianta. Purtroppo, si deve prendere atto, e per l’ennesima volta, che la sinistra storica italiana, ossia il Pd, continua a vedere in questo partito populista l’alleato decisivo e strategico per costruire una prospettiva politica progressista nel nostro paese. Le motivazioni di questa scelta politica restano misteriose – se non prendere atto che c’è una comune condivisione politica e valoriale tra i due partiti – ma sono sul tappeto. E, di fronte a questo scenario, ogni sincero democratico ha il compito e il dovere di isolare questa deriva populista, trasformista e profondamente diseducativa sotto il profilo politico e culturale. E questo perchè il populismo non può continuare a condizionare in modo decisivo il futuro del sistema politico italiano. Per il bene della nostra comune convivenza democratica.
Giorgio Merlo
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