Grande successo di pubblico giovedì 6 ottobre scorso per l’inaugurazione della mostra personale su Rabarama e Severino del Bono, intitolata “Il luogo dell’anima”, aperta fino al 15 ottobre prossimo presso la galleria Malinpensa by Telaccia.
Rabarama, alias Paola Epifani, nasce a Roma nel 1969 e lavora a Padova. È figlia d’arte perché il padre è pittore e scultore e la madre ceramista e lei, fin da piccola, ha mostrato un naturale talento per la scultura. La sua formazione è avvenuta presso la Scuola d’Arte di Treviso e, in seguito, l’Accademia di Belle Arti di Venezia.
In mostra la sua personale è affiancata all’esposizione dei lavori, tele e sculture, dell’artista bresciano Severino del Bono.
Rabarama crea sculture e dipinti contraddistinti da uomini, donne e creature ibride, la cui pelle è decorata con simboli, lettere e geroglifici, accanto a altre figure dalle forme mutevoli. Nel corso del tempo l’artista ha sperimentato e realizzato opere in diversi materiali. Le prime erano in terracotta, in seguito ha scelto i più conosciuti bronzi dipinti e i pezzi unici in marmo, vetro e pietre rare, monotoni in resina siliconica, gioielli d’artista, serigrafie.
Il suo percorso artistico è stato costellato di successi, fino a essere presente alla 54esima Biennale di Venezia, con un’opera dal titolo “Abbandono”, completamente realizzata in marmo di Carrara. Le sue opere sono state esposte anche nelle più grandi capitali europee e non, quali Parigi, Firenze, Cannes, Miami e Shanghai.
Le opere di Rabarama esposte in mostra sono sia in edizione limitata sia non.
Il suo percorso artistico risulta costellato di successi, a partire dalle gigantesche sculture in metallo, realizzate in bronzo, alluminio, gomma e marmo, raffiguranti figure umane. L’artista ha dimostrato attraverso queste opere una posa raccolta e introspettiva, che si rivela nella varietà dei pattern e dei disegni utilizzati per la decorazione.
L’arte di Rabarama ha la capacità di trasmettere all’osservatore una tematica di forte valenza simbolica, psicologica e sociale, in cui ogni personaggio vive attraverso una dinamicità di interpretazione che va oltre l’aspetto puramente estetico.
Si tratta di un linguaggio di straordinaria energia vitale che, impreziosito da una interiorità profonda, emana un significato della vita umana davvero straordinario.
La ricerca da parte di Rabarama è stata influenzata dai suoi viaggi in Oriente e dalla filosofia di questo universo, così totalmente diversa da quello occidentale e contraddistinto da una maggiore spiritualità.
Lo stesso nome ‘Raba-rama’, scelto dall’artista all’inizio degli anni Novanta, è di origine sanscrita e deriva da un motivo personale, privato, che l’artista raramente divulga. Nel corso degli anni è giunta a conoscenza del fatto che “Raba” in sanscrito significa “segno”, mentre Rama si collega alla divinità. L’artista ha considerato una coincidenza fortuita che lo pseudonimo scelto potesse essere una sorta di ‘segno divino’, in relazione all’energia universale di cui tutti facciamo parte.
Proprio la cultura millenaria orientale ha spinto Rabarama verso la ricerca di una via di fuga dalla predeterminazione. Rabarama risulta affascinata dalla Cina, che ha avuto occasione di visitare più volte, e dal Giappone, che l’affascina come l’India.
Dalle loro consuetudini e costumi ha cercato di ampliare la sua conoscenza e approfondire la sua ricerca artistica. Il senso del viaggiare per Rabarama si arricchisce di alcune caratteristiche, quali la passione, l’istinto, la razionalità, la conoscenza, ma anche l’irrazionalità. Sono tutte peculiarità che l’artista associa a delle modalità di viaggio, un viaggio che anche quello della vita. Quello da lei compiuto per primo risale a quando aveva 17 anni ed era partita per il Messico.
La Cina è stata da lei visitata più volte e rappresenta un Paese in cui tradizioni, paesaggi e contraddizioni le sono rimaste impresse nel cuore e nella mente.
L’essere umano diventa una pura espressione di stati d’animo e di sensazioni.
Severino Del Bono, di origine bresciana, cresce in un ambito familiare in cui risulta molto vivo l’amore per l’arte. Si avvicina e apprende i metodi della tecnica pittorica grazie al fratello maggiore, pittore amatoriale.
E proprio questa esperienza lo guiderà nella scelta stilistica sulla quale deciderà di focalizzarsi a partire dai primi anni Novanta, prediligendo la figurazione e concentrandosi sulla trasfigurazione intellettuale dell’anatomia umana, percorsa, tuttavia, da una vena imperialista.
La sua ricerca si concentra tutta sul rapporto tra natura umana e artificio tecnico, sulla perdita di identità causata dalle metamorfosi bioniche cui sottopone visi e corpi, rese con acromie acide che veicolano un senso di irrealtà sinistra.
I soggetti prediletti dall’artista sono, soprattutto, volti di giovani donne, ritratte nella immobilità ieratica di un realismo algido, ammantate dalla luce della grazia divina, capaci di emanare un’aura di temporalità immanente che richiama la perfezione estetica delle divinità classiche. Del Bono definisce i tratti fisiologici scandendo i livelli di luce e ombra, definiti modulando i colori con un’abilità tecnica che, nel tempo, si è acuita. In seguito li priva della profondità dello sguardo che rappresenta il primo strumento di introspezione, coprendolo con oggetti in genere in bilico tra iconografia pop, straniamento surreale e un’ironia tautologia che è tutta riferita all’atto del vedere. Ne emergono animo, psiche e tensione emotiva, dettate dalle piccole alterazioni dell’espressione, quali labbra e solchi che corrugano la pelle.
Una seconda sezione, accanto a quella dei dipinti, che per l’artista rappresentano un ritorno all’infanzia, è costituita da sculture a forma di supposta, realizzate da un marmista vicino a Brescia. Alcune sono realizzate in marmo Botticino, estratto nelle cave di Botticino, Nuvolento, Nuvolera e altri centri del Bresciano.
Un esempio in mostra è stato realizzato in marmo rosa del Portogallo e un secondo in marmo bianco Lincoln. Sempre alla galleria d’arte Malinpensa by Telaccia è presente un bozzetto della supposta alta 5 metri e 10, che sarà collocata a Brescia.
Mara Martellotta
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