Non è un colpo di scena come vogliono far credere politica e sindacati quello della volontà di acquisizione della Pernigotti di Novi ligure da parte del fondo speculativo finanziario JP Morgan.
Piuttosto sembra il segnale chiaro di un calo del sipario, che nessuno vuol davvero svelare.
Dalla vendita alla famiglia Averna, da parte del discendente del fondatore Stefano Pernigotti, alla cessione ai Toksoz, turchi proprietari di un gruppo industriale. Dalla crisi, allo spezzatino, dai repentini e frequenti cambi di rotta della proprietà all’inutile vicenda giudiziaria, fino ad arrivare alla sospensione delle trattative per la vendita dello storico marchio di Novi Ligure e all’annuncio dell’arrivo della JP Morgan in salsa draghiana. Sono sbiaditi gli annunci del 2018 di ministri e politici che consideravano il salvataggio di un
marchio storico che ha fatto grande il territorio già dato come avvenuto. Le uniche certezze sono che dei 92 dipendenti superstiti ne resterebbero 25, forse. Se pensiamo che una decina di anni fa erano oltre 200, i conti sono presto fatti.
Eppure a ben vedere una misura che nessuno vuole considerare ci sarebbe, ma appena accennata i proponenti vengono ignorati se non derisi. Ci riferiamo al Workers Buy Out (WBO), misura che consente di costituire una nuova impresa, di solito in cooperativa, attraverso l’acquisizione da parte dei lavoratori dell’azienda origine (o di un ramo di produzione della stessa) entrata in crisi.
In questo modo i lavoratori diventano soci ordinari o soci cooperatori. Per poter usare questo strumento occorre che l’azienda non sia già decotta, ma è necessario, infatti, che sia ancora possibile riconvertire la crisi verso una condizione di operatività e di positività produttiva.
Oltre al salvataggio di posti di lavoro, il wbo si traduce anche in un patrimonio di competenze e know how, quote di mercato mantenute, occupazione preservata per un territorio e una comunità di riferimento.
E pensare che in Italia (dati: maggio 2019) le società cooperative esito di WBO attualmente attive impiegano oltre 4 mila dipendenti e generano un fatturato totale di circa 490 milioni di euro.
In ogni caso, ogni euro investito ha un ritorno economico per lo stato attraverso il pagamento degli oneri sociali, dell’Irpef pagata dai lavoratori, dell’imposta redditi pagata dalla società e sul mancato utilizzo degli ammortizzatori sociali.
Vero è che per fornire alla neocostituita cooperativa le risorse iniziali necessarie per avviare l’attività, i soci cooperatori devono mettere a disposizione risorse proprie, ad esempio i propri risparmi personali o il TFR, ma vorrebbe da chiedersi cosa sia davvero più rischioso: se contare sulle proprie forze e poche risorse o sulle inaffidabili promesse imprenditoriali, politiche e sindacali già viste e sentite ripetutamente.
Il Piemonte poi conta già alcuni casi di successo di recupero d’impresa, in particolare: la cooperativa Pirinoli di Roccavione (CN), la Cooperativa Italiana Pavimenti di Sommariva Bosco (CN) e la trentennale esperienza della Nuova Crumière di Villar Pellice (TO).
Ci sono state inoltre alcune interessanti novità introdotte dall’ultima legge di bilancio: uno sgravio contributivo totale per le società cooperative che si costituiscono, a decorrere dal 1° gennaio 2022, l’esonero dal versamento del 100% dei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, per un periodo massimo di 24 mesi dalla data della costituzione della cooperativa, ad uno specifico regime di aiuto sulle risorse del Fondo crescita sostenibile. Perfino la Commissione europea ha approvato recentemente l’incentivo per le operazioni di workers buyout previsto dalla legge di Bilancio 2022, che si aggiunge ai finanziamenti agevolati a favore delle cooperative di lavoratori erogati dal Ministero dello Sviluppo economico.
Nessuno vuole nascondere che il costo di acquisizione del marchio storico potrebbe essere proibitivo ma, piuttosto che condannare famiglie e lavoratori ad un triste ed annunciato epilogo, come Italexit crediamo valga la pena di mettere al centro del dibattito questa misura. Non riusciamo a comprendere perché manchi la volontà anche solo di un confronto e perché si continuino a intrattenere relazioni unicamente con i sindacati, che negli ultimi anni non hanno saputo fornire risposte né soluzioni concrete ai bisogni delle troppe famiglie coinvolte dalle crisi. Noi siamo a vostra disposizione!
Luciano Bosco coordinatore nazionale Italexit per l’Italia con Paragone
Jessica Costanzo deputata torinese Commissione Lavoro Pubblico e Privato