Il quesito che riguarda le modalità di presentazione delle candidature dei magistrati per l’elezione al Consiglio superiore della magistratura, eliminando il requisito della lista di presentatori, è assolutamente irrilevante.
Ugualmente irrilevante è il quesito che stabilisce che i membri laici dei Consigli giudiziari possano partecipare alla redazione delle pagelle professionali dei magistrati.
Più difficile è mascherare il quesito che ha ad oggetto l’abolizione della legge Severino. Esso viene presentato come frutto dell’esigenza di evitare la sospensione di sindaci e amministratori locali condannati con sentenza non definitiva, che potrebbero poi essere assolti. Ma il quesito non riguarda, secondo me, l’abolizione di questi aspetti problematici della legge, bensì l’abrogazione di tutta la disciplina, che prevede anche la decadenza e l’incandidabilità dei parlamentari condannati, con sentenza definitiva, a una pena superiore a due anni di reclusione (si veda il caso di Silvio Berlusconi). Dal quesito traspare evidente l’insofferenza del ceto politico per il controllo di legalità.
Il quesito più sconcertante a mio avviso è quello che i promotori qualificano come «limiti agli abusi della custodia cautelare», che la Corte di Cassazione ha correttamente denominato «limitazione delle misure cautelari». Infatti il quesito non interviene sui possibili abusi, bensì opera una drastica riduzione del campo di applicazione della custodia cautelare e delle altre misure cautelari, coercitive e interdittive. Esclusi i delitti di mafia e quelli commessi con l’uso delle armi, l’effetto sarebbe quello di precludere la possibilità di applicare, nei confronti delle persone imputate di gravi reati, misure cautelari di alcun tipo, non solo la custodia in carcere e gli arresti domiciliari, ma anche l’allontanamento dalla casa familiare (nel caso del coniuge violento), oppure il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (nel caso di atti persecutori), così come non sarebbero più possibili le misure interdittive, come il divieto temporaneo di esercitare determinate attività imprenditoriali (nel caso delle società finanziarie che truffano gli investitori).
I problemi che pone il quesito sulle misure cautelari sono molteplici.
Qui mi interessa soltanto rilevare quanto sia ingannevole e menzognera la campagna dei partigiani della “giustizia giusta”. Smantellando gli strumenti di contrasto alla criminalità, non si opera una riforma della giustizia, bensì una riforma contro l’amministrazione della giustizia, contro l’eguaglianza e i diritti delle persone.
Alberto Deambrogio
Segretario Regionale Piemonte
Partito della Rifondazione Comunista
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