Stoccareddo , ovvero Stocare – Stocarè , nell’antica lingua cimbra Stocharech, Stokhare, Stockharecck, è una frazione di Gallio, centro del’Altopiano di Asiago (uno dei Sette Comuni della Spettabile Reggenza con Asiago, Lusiana, Enego, Fotza, Roana e Rotzo) in Provincia di Vicenza e diocesi di Padova. Questa frazione ha una particolarità: la quasi totalità dei residenti porta lo stesso cognome, Baù, una stirpe che da studi recenti discenderebbe dallo stesso capostipite da quale hanno ereditato fattori genetici protettivi verso alcune malattie.
I primi Baù arrivarono in questo posto probabilmente nel 1400, forse una famiglia patriarcale con numerosi figli e fratelli con numerose moglie e figli. La provenienza era, come del resto per gran parte di coloro che vivevano nei territori della Reggenza (che rispondeva alla Repubblica di Venezia sino a quando Napoleone non ne dichiarò la fine con l’infame Trattato di Campoformido cedendola all’Austria asburgica) era dalla Baviera o, come qualcuno sostiene addirittura da una parte del territorio dell’attuale Danimarca. Per secoli hanno vissuto come contadini, boscaioli, carbonai, vivendo onestamente i loro giorni e fidando nel’aiuto dell’Onnipotente, pur con qualche influenza di credenze precristiane.
Per me, nato in Piemonte, orgogliosamente piemontese, fortemente radicato in Piemonte, Stoccareddo era fino all’estate scorsa soltanto il nome di una località geografica della Provincia di Vicenza, dove si svolgeva il ‘raduno dei Baù’ con una cadenza annuale, che riuniva i moltissimi Baù ‘dispersi’ ai quattro angoli d’Italia e del mondo.
La scorsa estate, poiché sono figlio di una Baù, Lucia, nata nel 1933 e mancata il 12 dicembre del 1969, figlia di Arturo, maggiore dei carabinieri, nato a Codroipo nel 1890, figlio di Giovanni,maresciallo dell’Arma nato a Sasso d’Asiago (come mi spiega una nota di mio zio Gianfranco, il primo dei figli di Arturo e fratello di Lucia, che risaliva al 1993), si fa forte in me l’idea di andare sui posti dai quali veniva la famiglia della Mamma.
Da giornalista la prima cosa che mi viene in mente è di chiedere ad un collega del posto indicazioni utili su chi contattare. Chiamo il Giornale di Vicenza, mi passano il corrispondente dai 7 Comuni, Giovanni Rigoni (altro cognome molto diffuso sull’Altipiano, vadasi l’indimenticato Mario Rigoni Stern). Questi gentilissimo mi indirizza per la cultura cimbra al presidente dell’Istituto di Cultura Cimbra di Roana, Giancarlo Bortoli, per Stoccareddo ed il raduno ad Amerigo Baù,
Con entrambi, che incontrerò di lì a pochi giorni, le telefonate sono cordialissime. Con Amerigo l’appuntamento è nella piazza di Stoccareddo. “Non si preoccupi a descriversi, tanto la riconosco subito’ mi dice.
Arriva il giorno e nell’ultima decade di agosto parto con destinazione prima Asiago, poi il giorno dopo Stoccareddo. Il giorno prefissato prendo l’auto, supero il Sacrario dei Caduti della Grande Guerra e seguo le indicazioni per Stoccareddo. Una breve fermata per fare qualche foto alla chiesetta di Santa Maria Maddalena, poi il superamento del ponte sul Buso, inaugurato alla fine degli anni Ottanta che ha avuto l’onore della menzione della rivista della Federacciai, ‘Acciaio forma e funzione’.
E man mano che mi avvicino a Stoccareddo mi prende una strana sensazione, come di esserci sempre stato, quel paesaggio fatto di boschi e di verde non contaminato più di tanto dalla mano dell’uomo, mi sembra familiare, anche se non ci sono mai, mai stato e non l’ho mai visto neanche in cartolina.
Poi arrivo nella frazione, la supero e, essendo in anticipo sull’orario (cosa per me strana, ritardatario cronico) vado sino a Sasso, dove il bisnonno Giovanni nacque, dove tutto – per la mia parte materna – ha avuto inizio.
Nella frazione di Asiago, però, non mi fermo, torno nella ‘Patria avita’ dei Baù, parcheggio in piazza dove c’è uno splendido panorama ma prima faccio una visita alla chiesa parrocchiale, costruita dall’architetto Vincenzo Bonato di Magrè di Schio intitolata al Santo Patrono, San Giovanni Battista, in stile gotico alpino, dopo pochi anni dichiarata dalla Sovrintendenza ai beni culturali ‘Monumento di interesse nazionale’ soltanto pochi anni dopo la sua inaugurazione nel 1923.
Poi l’incontro con Amerigo, persona solare, altruista, emigrato prima in Svizzera (sono stati moltissimi i Baù nel corso degli anni a lasciare le valli avite, per i più disparati motivi), poi tornato nel luogo natio e coordinatore dei raduni dei Baù, momentaneamente interrotti soltanto per la maledetta emergenza sanitaria da Covid-19.
In breve mi illustra quella che è la storia della borgata, della grande famiglia dei Baù, il contributo che hanno dato in più momenti alla storia d’Italia, come siano sparsi in tutto il mondo, ma anche di come il legame con la terra d’origine sia sempre rimasto.
Particolarmente impressionante è il monumento ai Caduti che riporta quasi esclusivamente il cognome Baù, uniti ad un paio di Marini della vicina contrada Zaibena (alcuni dei quali emigrati in Sardegna dai quali dovrebbe avere avuto origine anche la star televisiva Valeria Marini).
E nel colloquio si parla anche di un dramma che risale alla Grande Guerra e che i libri di storia non riportano, se non raramente ed in estrema sintesi: quello dei profugati. I profugati furono gli abitanti dei 7 Comuni che, sotto il fuoco delle artiglierie austriache, perché sull’Altopiano c’era il fronte, dovettero lasciare le loro case e le loro cose, per cercare scampo in un’Italia che spesso li accoglieva con sospetto perché parlavano una lingua simile al tedesco (il cimbro, la lingua antica) e per questo sovente erano considerati come spie.
Questa è la massa umana che abbandonò con un silenzioso dolore l’Altopiano e che Emlio Lussu, allora giovane ufficiale della Brigata Sassari che andava a prendere posizione (e a morire) incontrò e descrisse nel suo bellissimo ‘Un anno sull’Altpipiano’.
Mentre parlo con Amerigo arriva Terenziano Baù, altro nativo del luogo che è emigrato nel 1972 come semplice manovale ed è diventato imprenditore immobiliare in Lussemburgo con 3 figli che vivono in Europa, ma che quando si trovano parlano nella antica lingua.
Terenziano, quando sa che sono un giornalista, mi punzecchia (è una persona simpatica la cui vita dovrebbe essere di esempio per tutti) e cita il ‘banchiere di Dio’, facendo riferimento allo scandalo Giuffrè. Io gli rispondo, gli dico che , pur non essendo ancora nato, conoscevo quanto era accaduto e ricordo che all’espoca era ministro delle finanze il socialdemocratico Luigi Preti (politico di altri tempi che incontrai nella sua casa di Bologna nella penultima tappa del mio viaggio di nozze).
Intanto passa il tempo, seduti nel bar davanti alla chiesa beviamo un primo giro di spritz, e intanto passano signori e signore che hanno tutti in comune il fatto di chiamarsi Baù, tutte e tutti con gli occhi azzurri (come li aveva ma Mamma).
In questo lasso di tempo con queste persone, in particolare con Amerigo e con Terenziano, si crea un dialogo e cresce forte una sensazione, come di essere sempre stato lì, di avere lì, Sasso di Asiago del resto è a tre chilometri e le famiglie Baù sono anche lì, una parte forte della mia radice, del mio essere.
Eppure non siamo parenti, non ci siamo mai sentiti prima, sino a qualche ora prima non sapevo neanche della loro esistenza.
Parliamo poi delle ricerche per cui i Baù avrebbero ereditato delle caratteristiche particolari nel preservarsi da malattie cardiovascolari, cosa che li ha portato loro e Stoccareddo all’attenzione della grande stampa internazionale, addritittura in Cina e negli Stati Uniti.
Racconto di una mia esperienza del 2017 quando in vacanza a Baden Baden con mia moglie, anziché vedere la Foresta Nera, complice uno svenimento e conseguente ricovero urgente in Ospedale, ho trascorso 4 giorni in terapia intensiva monitorato ora per ora nel timore dei sanitari tedeschi (che spero di un giorno poter rivedere per ringraziarli di persona) di qualcosa di brutto. Fortunatamente fu soltanto una sincope che mi ha portato a dover perdere peso, mangiare e bere meglio e vivere una vita più sana. Nel raccontare questo sia Amerigo che Terenziano non hanno avuto dubbi: “Ti ha difeso il sangue”.
Da quella giornata sono ripartito arricchito con una certezza: tornerò sull’Altipiano perché comunque vorrò ancora andare alla ricerca delle mie radici materne e tornerò ancora scrivere di questa splendida gente, di questi luoghi e dell’Altopiano.
A chi volesse saperne di più consiglio il libro
‘Stoccareddo: il paese dei Baù – Una grande famiglia in un piccolo villaggio 600 anni di vita e di storia’ di Amerigo Baù.
Non lo faccio mai, un giornalista deve riportare i fatti ma in questo caso vorrei dedicare queste righe
A mia mamma Lucia, a mio nonno Arturo, a tutti i miei famigliari Baù
A tutti i Baù di Stoccareddo e sparsi per il mondo, in particolare ad Amerigo e Terenziano Baù per la bella e sincera accoglienza e per la lezione di vita nelle poche ore che abbiamo trascorso insieme
Massimo Iaretti
Leggi qui le ultime notizie: IL TORINESE