Nella mattinata odierna, la Guardia di Finanza di Torino, in collaborazione con i colleghi di Napoli territorialmente competenti, sta eseguendo, nell’ambito dell’operazione “FERRAMIÙ”, ad un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale nei confronti di ulteriori 7 soggetti (6 in carcere ed 1 ai domiciliari), per le ipotesi di reato di traffico internazionale di rifiuti metallici ed emissione e utilizzo di documenti attestanti operazioni inesistenti.
È in corso di svolgimento, altresì, il sequestro preventivo di un’azienda operante nel settore del commercio di metalli ferrosi nonché di beni per oltre 43 milioni di euro, tra cui disponibilità finanziarie, immobili e quote societarie riconducibili agli indagati.
Le attività in parola – dirette dalla Procura della Repubblica di Torino – Direzione Distrettuale Antimafia – P.M. Dott. Valerio Longi – rappresentano lo sviluppo operativo di ulteriori approfondimenti investigativi, condotti dai finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria Torino successivamente agli arresti eseguiti nel marzo scorso a carico di 15 soggetti e ai sequestri disposti per oltre 130 milioni di euro, con l’effettuazione di perquisizioni e acquisizioni documentali presso decine di aziende ubicate in Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Molise e Campania e il coinvolgimento di società con sedi in Paesi dell’est Europa.
Le indagini hanno così consentito di individuare un’ulteriore società lombarda che predisponeva la “copertura” documentale e contabile dei rifiuti metallici illecitamente reperiti sul territorio nazionale, attestandone falsamente la regolarità secondo i requisiti richiesti dalla normativa dell’Unione europea. Successivamente, tali rifiuti venivano consegnati a fonderie o altre società commerciali del settore per essere reimmessi nel circuito produttivo.
In armonia con la legislazione unionale, infatti, affinché i rottami metallici non siano qualificabili come “rifiuto”, il produttore deve redigere e trasmettere ad ogni cessione una “dichiarazione di conformità”, al fine di consentire, in ogni momento, l’individuazione dell’origine del rottame e, dunque, la tracciabilità dello stesso.
La società “filtro” lombarda si era, di fatto, interposta, nel recente periodo, nella filiera imprenditoriale, simulando un’effettiva attività di acquisizione intraUE proprio al fine di fornire un’apparente liceità a ingenti quantitativi di rifiuti metallici.
La complessiva azione investigativa ha consentito all’Autorità giudiziaria, sino ad oggi, di disporre 22 misure cautelari personali e sequestri di beni, ai fini di confisca, per oltre 176 milioni di euro, tra cui n. 2 aziende (in Piemonte e in Lombardia).
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