Per la stagione dell’Alfieri, repliche fino a oggi
Avevamo lasciato soltanto tre settimane fa Giuseppe Battiston a godersi meritatamente il premio come miglior attore al TFF37 (in compagnia del collega Stefano Fresi) per il suo Mario, folle ed emarginato, che aspira nel Grande passo di Antonio Padovan (uscita primaverile sugli schermi) ad una solitaria missione sulla luna; l’altra sera, grandioso, davvero grandioso, era lì, sul palcoscenico dell’Alfieri, (inaspettatamente) nella stagione di Torino Spettacoli, ad “essere” furiosamente gli eccessi dello statista inglese in Winston vs Churchill, tratto da Churchill, il vizio della democrazia scritto dall’attore e scrittore, quarantacinquenne, Carlo Gabardini. Il quale autore milanese non ha avuto la pretesa di renderci né i caratteri fisici dell’individuo (Battiston, chiuso nella sua vestaglia rossa o in abito grigio, non deve sottoporsi alle tantissime ore di trucco dell’Oscar Gary Oldman per L’ora più buia, mantiene barba e capelli che gli conosciamo, non adotta parlate o inflessioni strane o studiate sino all’eccesso) né un tutto tondo dell’uomo politico, per salti temporali, dalla disfatta di Gallipoli alla vittoria del secondo conflitto mondiale sino al suo licenziamento: la sua ricerca tende a darci un Winston a luci composite, più “corporale”, all’interno di un panorama più privato – certo arrovellato da un excursus che lo ha per decenni legato ad una controversa storiografia – pronto ad espandersi (dentro a quello che pare un palcoscenico nel palcoscenico, con tanto di antiche luci di proscenio, una grande poltrona al centro a segnare una sorta di comando assoluto) in sanguigne battute contro questo o contro quello (“Se fossi vostra moglie, vi metterei il veleno nel caffè”, “E se fossi vostro marito, credo proprio che lo berrei”; ne abbiamo anche per noi italiani : “Gli italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di calcio come fossero guerre”), nell’abuso del cibo e degli alcolici soprattutto, nascosti nell’impugnatura istoriata di un bastone da passeggio che sorregge ormai le sue gambe malferme, dei suoi beneamati sigari, vero toccasana contro la depressione che lo colpì, gli immancabili colpi di tosse, irruenti e spossanti, e il rifiuto verso ogni medico, il rifugio nella pittura, e molto ancora. Magari non tutto è di grana finissima: ma negli 80’ in cui Battiston si muove magnificamente in scena lo spettacolo è altamente assicurato, cattura, si fa applaudire a scena aperta. Istrione quel tanto che basta, irriverente, difettoso che più non si potrebbe, di umori sempre in lotta tra loro, ma bravissimo nell’incarnare quella “stupenda cattiveria” di cui è rivestito il personaggio, come i capricci improvvisi che l’aiutano a sopravvivere, nel rivestire la grandezza e anche ogni umano limite, nell’adattarsi addosso la fragilità come tutta la vera o costruita grandeur che è pronto a rinfacciare all’alleato De Gaulle. L’attore sguazza dentro il personaggio, se ne appropria appieno, non ci importa che proprio questo sia il vero o il falso Churchill, ci interessa trovarci di fronte al fraseggio musicale di un ritratto che piroetta tra gli alti e i bassi che vanno a rovistare nei ricordi di un’intera esistenza.
Accanto a lui, in una sagoma di infermiera che acquista sempre più peso, Lucienne Perreca: che, se la regista Paola Rota avesse tenuto più al riparo dai pericoli dell’esagitato e del troppo fanciullesco, dei troppi movimenti che disturbano l’importanza della parola e finanche la rovinano, forse sarebbe andata ben oltre il piano della simpatia per spingersi più in là, verso la vera concretezza. Da non perdere, oggi ultima replica.
Elio Rabbione
Le foto dello spettacolo sono di Noemi Ardesi
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