Di Marco Travaglini
Scriveva tempo fa, Enrico Camanni: “Le Alpi sono il luogo della biodiversità: con circa cinquemila specie spontanee di piante vascolari ospitano da sole i tre settimi della flora europea; nell’Europa centrale sono la sola regione che abbia conservato dei biotopi originali”
Importanti studi botanici hanno dimostrato che buona parte di queste 5 mila specie, alcune delle quali uniche, si trovano nella valle dell’Alleigne, il “vallone della legna”. Quest’ampio vallone si trova sulla destra orografica del torrente Ayasse, nell’aostana valle di Champorcher. Una zona molto interessante anche dal punto di vista etnografico e storico, non dissimile da altre comunità di montagna, la cui sopravvivenza era legata a un territorio aspro, difficile, all’agricoltura di sussistenza, alla monticazione del bestiame.Una storia vissuta in salita. Millenni di lotta per coltivare, per muoversi, per strappare faticosamente alla montagna le risorse: pietra, legno, terra da coltivare, pascoli. L’elemento importante era la stessa verticalità: l’intera economia era basata sugli spostamenti altitudinali stagionali, in base ai ritmi della natura. Le tracce si vedono nei terrazzamenti, nella ragnatela di stradine e sentieri che segnavano i versanti vallivi collegando il fondovalle ai maggenghi e agli alpeggi. Una storia come molte altre, non dissimile da quella valgrandina. Dal 1992 parco nazionale, la Val Grande è l’area selvaggia più ampia del nostro paese e dell’arco alpino. Anche per quelle comunità le risorse erano misere e le difficoltà molto alte. Si legge sul sito web del parco come “raggiungere gli alpeggi poteva significare accompagnare un bovino alla volta lungo stretti e scoscesi sentieri, oppure raccogliere la poca acqua piovana in cisterne di pietra, strappando la sopravvivenza alla montagna, in una quotidiana vita in salita”. Immagini da un “mondo dei vinti” che ha lasciato un’eredità fatta di resti di teleferiche, piazzole delle carbonaie, polloni di faggio ricresciuti dopo il taglio del tronco principale, a testimonianza dei grandi disboscamenti. Con il tempo la natura si è ripresa i boschi e i pascoli abbandonati, cambiando fisionomia al paesaggio. Quasi un messaggio per gli uomini che, con la scelta del parco, hanno compreso la necessità di difendere e preservare questa preziosa riserva di biodiversità. Avere cura del vallone dell’Alleigne o dell’area valgrandina del parco, preservandoli anche per le generazioni future, equivale a porre attenzione alle scelte che si compiono oggi, affinché non ne venga compromessa l’eccezionale qualità ambientale. Regola aurea soprattutto quando si parla del turismo. Negli ultimi tempi, la montagna come destinazione di vacanza non impegnativa – weekend, long-weekend, settimane bianche – ha riconquistato fascino e interesse presso un pubblico vasto dopo aver patito molto la concorrenza delle mete esotiche, più o meno vicine e a buon prezzo.
La rassicurante e tradizionale vacanza in montagna è tornata in auge nelle preferenze dei turisti italiani, grazie ad alcune stagioni di buon innevamento, al desiderio di viaggi verso mete tranquille e poco distanti da casa, al bisogno di concedersi un’evasione “ecologica”, a contatto con un ambiente e un territorio tutelati e rispettati. Il turismo montano si è preso una rivincita? In parte è così ma i problemi sono tanti e persistenti. E’ vero che la montagna offre un’immagine rassicurante e la qualità delle nostre stazioni sciistiche è migliorata un po’ ovunque. Ma pensando al futuro le prospettive si fanno più complicate perché il turismo, più di altri, è un settore dove l’offerta deve saper incontrare una domanda molto esigente. L’impresa turistica montana, più sensibilmente delle altre, richiede un insieme di condizioni territoriali e ambientali particolari. Gli accessi, la valorizzazione della qualità del paesaggio e delle stazioni montane attraverso interventi di riqualificazione urbanistica e di manutenzione del paesaggio, la cura dei sentieri e dei boschi, nuovi sforzi in termini di comunicazione e promozione rivolti al pubblico, sono solo alcuni degli aspetti.
Non è sufficiente affidarsi alle dinamiche del mercato, ai flussi potenziali. Occorre un rinnovamento d’immagine e di sostanza. Nuove infrastrutture di svago e sportive, sentieri censiti e resi praticabili, ben segnalati con indicazioni precise sui tempi per raggiungere le varie mete; rifugi, posti tappa, percorsi-vita nei quali s’illustrino le caratteristiche della vegetazione, della fauna, della cultura e della storia del luogo; una ricettività che consenta di trovare idonee sistemazioni e consumare pasti con prodotti genuini a prezzi ragionevoli; invogliare all’escursionismo, al trekking e ad ogni forma di turismo attivo. La concentrazione del turismo in pochi periodi dell’anno, ha causato fenomeni di saturazione del territorio. I segni di un certo raggiungimento del “punto di rottura”, si vedono da tempo. La crisi delle piccole e medie stazioni sciistiche non investe soltanto le Alpi italiane ma anche quelle svizzere, austriache e bavaresi,con fallimenti e chiusure, a testimonianza di un modello di sfruttamento turistico modellato “a fotocopia” che ha portato ad una omogeneizzazione del territorio alpino. L’industria turistica montana rischia così di perdere la sua specifica identità, il fattore principale di reddito, diventando economicamente più debole. Da qui la scelta di operare per destagionalizzare il turismo, evitando di puntare tutto su troppo marcate concentrazioni nel tempo e nello spazio.Troppe volte l’offerta turistica montana si è standardizzata. Sono state proposte stazioni che sembrano linee di produzione, dove tutto è a pagamento, senza scampo. La dimensione ludica della socialità, dell’incontro,è lasciata all’intraprendenza del singolo, poiché il sistema “lavora” e non si diverte più. Il professor Luigi Gaido, già docente universitario a Grenoble e Aosta, grande esperto del settore, sosteneva che, se è vero che “ il turismo è la “messa in forma” di un sogno coltivato per mesi, a volte per anni, e che prima o poi si realizzerà, questo sogno è sempre una sorta di fuga dal quotidiano, di rottura dal solito, di ricerca di sé attraverso il viaggio e ciò che porta. Come sfuggire al quotidiano se tutto ricorda il luogo da cui si è partiti e dove il divertimento non è sempre adeguato alle esigenze, salvo per chi scia?”. In molti sostengono che non è più eludibile, parlando di sostenibilità, la stipula di un “patto” tra l’attività turistica e l’ambiente. Allargando e modificando l’offerta dei territori. Andrebbero, ad esempio, valorizzate le realtà collocate tra i 700 e i 1300 metri, la cosiddetta “mezza montagna” che può offrire soluzioni al processo di destagionalizzazione, sperimentando le “stagioni di mezzo” dove l’ambiente montano può offrire molto.
La stessa cara, vecchia “settimana bianca” si dovrà rifare il look, diventando una proposta di vacanza più dinamica e flessibile. In montagna non ci si va più solo per sciare: ci sono infinite attività, giochi e sport facili e divertenti per godersi la neve e la natura invernale, senza essere necessariamente degli esperti d’attacchi, tavole e scarponi. Anche perché i problemi legati all’innalzamento della temperatura d’inverno cambieranno le prospettive. Le previsioni del Centre d’Etudes de la Neige, stimavano per il 2030 un incremento medio della temperatura di 1,8°C e una diminuzione del 25% delle giornate con neve al suolo per le località situate a 1500 metri d’altitudine.
E non si trattava delle stime più pessimistiche. Le condizioni climatiche determineranno anche un maggior ricorso all’innevamento artificiale con tutti i costi, economici e ambientali, che ne derivano.Nelle Alpi il turismo sostenibile è l’unica alternativa a lungo termine al turismo di massa convenzionale che sia in grado di garantire uno spazio vitale per la natura e l’uomo. Ma non basta la buona volontà. Si impongono scelte per la programmazione, la promozione e l’attuazione di un turismo sostenibile, determinando chi è coinvolto, chi promuove, chi decide. Lo sviluppo sostenibile non è una scelta ideologica ma una ragione di competitività tra sistemi economici e sociali, un nuovo modo di pensare a forme di benessere, di crescita economica durevole e d’equità, redistribuendo nel tempo e nello spazio le persone che oggi frequentano le “terre alte”.Il turismo c’è già. I turisti pure. Quella che è in gran parte ancora da costruire è una moderna cultura dell’accoglienza, una formazione professionale adeguata ai tempi, politiche pubbliche in grado di sostenere progetti innovativi. In fondo gran parte dei turisti desiderano trovare la valle dell’Alleigne, la Val Grande o le altre valli alpine in condizioni ambientali più che accettabili. Per questo dovremo far sì che il turismo del domani sia davvero “più lento, più profondo, più dolce”, evitando quei fenomeni di consumo rapace ai quali ci si è abituati per troppo tempo. Nell’interesse di tutti, a partire dalla montagna e da chi ci vive e lavora.
Nelle immagini il Parco nazionale della Val Grande e il Parco regionale dell’alpe Veglia delle Aree protette Ossola
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