Non è il voto obbligatorio a salvare la democrazia

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

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Leggere in un giornale che perde lettori e copie da  molti anni,  la proposta di rendere obbligatorio il diritto di voto, sia pure come ipotetica provocazione, appare molto singolare. Rendere obbligatorio un diritto diventa paradossale, anche se votare è sicuramente un dovere civico. Sarebbe quasi come rendere obbligatorio far l’amore per combattere l’inverno demografico…. E’  vero che gli italiani votanti sono calati per diverse ragioni: l’abbassamento del livello della classe politica, i partiti privi di un’autentica democrazia interna, la consapevolezza che le grandi decisioni sono passate dalla politica al potere economico – finanziario che con Trump ha preso il sopravvento anche a livello istituzionale. La Repubblica italiana, a quasi 80 anni dalla sua creazione attraverso un referendum non privo di ombre poco democratiche, si rivela fragile. In Italia si è passati attraverso sistemi elettorali che hanno tolto al cittadino la possibilità di decidere chi li rappresenta, pur se è vero che anche nelle elezioni in cui è rimasta la preferenza, essa non aumenta di molto il numero degli elettori attivi. C’è chi ha detto che il voto ridotto è segno di una democrazia matura, ma si tratta di una mistificazione perché oggi dobbiamo parlare di una democrazia malata in cui decide in realtà  quasi una minoranza. Questo fatto dimostra una patologia in atto che non si cura però rendendo il voto obbligatorio. Anche il sindacato è ammalato e per potersi esibire in piazza deve ricorrere alla generazione Z  e perfino a quella Alfa che sulla democrazia hanno atteggiamenti di disprezzo perché esse vorrebbero una olocrazia in cui  le masse hanno il predominio e  le minoranze sono oppresse. Un ritorno al giacobinismo populistico.  Il populismo vorrebbe una sorta di democrazia diretta nella quale il voto rappresentativo diventa manifestazione inutile dei ludi cartacei a destra e a sinistra. La democrazia parlamentare che ha rivelato inefficienze e costi altissimi, è in profonda crisi. E’ questo il motivo per cui non si vota più. Evocare i paesi dove il voto è obbligatorio rappresenta un diversivo controproducente: dalla Corea del Nord con partecipazioni bulgare ai tanti paesi dell’America Latina che democratici non sono. Certo non sono democrazie liberal , ma alla fin fine sono finte democrazie, democrazie totalitarie come direbbe Tocqueville.
Il voto bisogna guadagnarlo sul campo con azioni di governo o azioni di opposizione che convincano i cittadini. Lo stesso pessimo malfunzionamento dell’Europa non è certo un incentivo a rafforzare la democrazia. C’è chi più realisticamente propone il voto on line che dovrebbe però essere facoltativo perché nessuna legge può obbligare all’alfabetizzazione informatica in un paese di analfabeti di ritorno. Il voto on line non si improvvisa, ma potrebbe essere una strada percorribile. Tuttavia se manca una forte capacità di rifondazione del patto repubblicano dopo 80 anni , tutti gli obblighi diventano inutili. La Federazione degli editori chiede sussidi per garantire una libera informazione di qualità. Non si sono domandati perché i giornali non si vendono più? Anzi, porrei questa domanda anche ai giornalisti che fanno i giornali. Il sussidio serve per riprendere un po’ di fiato. Il voto obbligatorio è anch’esso un sussidio che senza sciogliere il nodo del patto entrato in crisi serve a poco. In ogni caso esiste la scheda bianca e quella nulla, ammesso che non si voglia rendere palese il voto. Ricordo che in certe assemblee sessantottine i contestatori si scandalizzavano quando qualcuno chiedeva il voto segreto nelle assemblee: lo consideravano un anacronismo borghese ed ipocrita  da evitare.
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