Calano gli investimenti green nelle imprese italiane, ad eccezione di alcune Regioni, tra cui il Piemonte, che registra un +1,2%. La tendenza è contenuta da un rapporto realizzato dall’Ufficio Studi di Confartigianato su dati Union Camere ed Excelsior, che rivela una flessione dal 25,2% del 2023 al 21,4% del 2024, facendo registrare una flessione del 4,1%. Analisi che ha rilevato anche un Green Tax Spread, la tassazione ambientale su cittadini e imprenditori italiani, che pesa 11,1 miliardi di euro in più rispetto alla media dell’Unione Europea, pari a 188 euro pro capite di maggiori costi.
“Nonostante i segnali incoraggianti a livello piemontese, questa opportunità richiede un cambio di rotta nelle politiche pubbliche a sostegno della transizione ecologica – commenta Dino De Santis, Presidente di Confartigianato Torino – il riordino degli incentivi previsti con la prossima legge di bilancio nazionale, dovrà rappresentare un momento di svolta. Occorrerà recuperare le risorse rimaste inutilizzate e indirizzarle verso un modello capace di sostenere in particolare le piccole imprese che decidono di investire nella sostenibilità”.
A livello nazionale la flessione rilevata è dello 0,5%, data dal 25,2% del 2023 confrontata con il 24,7% del 2024, mentre a livello territoriale, la propensione delle imprese negli investimenti green vede una situazione in chiaroscuro: l’Emilia Romagna registra l’incremento più netto rispetto all’anno precedente delle imprese che investono nel green, con un balzo in avanti di 1,6 punti percentuali, seguita dal Piemonte con il +1,2%, Campania +1%, Valle d’Aosta +0,8%, Lazio e Umbria allo 0,7% e Abruzzo con un +0,3%. Di segno opposto dati che riguardano la Basilicata che, pur mantenendo la prima posizione assoluta, ha visto un calo marcato di 8,6 punti percentuali rispetto al 2023, seguita dalla Calabria con un -4,6%, la Sardegna con un -4,1%, il Trentino Alto Adge che segna -3,3%, Marche -2,9% e Puglia -2%. Si riduce anche l’incidenza degli investimenti green in Friuli Venezia Giulia, Liguria e Sicilia. A frenare gli investimenti green delle aziende sono gli elevati oneri finanziari imposti dalla stretta monetaria e la scarsa efficacia del Piano Transizione 5.0: al 15 settembre 2025 risultano inutilizzati ben 4,2 miliardi di euro, pari al 68,1% delle risorse disponibili.
Per ciò che riguarda il Green Tax Spread, il prelievo fiscale ambientale in Italia ha raggiunto i 54,2 miliardi di euro, pari al 2,5% del PIL, un valore superiore di 0,5 punti alla media europea, del 2%. Questo nonostante il nostro impatto pro capite sia inferiore dell’ 8,4% rispetto all’UE.
“Questo spread fiscale, che penalizza cittadini e imprese – sottolinea De Santis – è ingiustificato e contraddice il principio europeo ‘chi inquina, paga’. Per questo sollecitiamo una riforma della fiscalità ambientale che tenga conte dell’efficienza energetica reale, e del contributo delle imprese alla transizione ecologica. Non può esserci sostenibilità ambientale senza sostenibilità economica. Le micro e piccole imprese italiane devono essere messe in condizione di competere, non penalizzate con un carico fiscale superiore a quello dei concorrenti europei”.
Questa situazione contraddice il principio che la stessa UE adotta, ovvero “chi inquina, paga”. L’Italia inquina di meno ma paga di più. Si tratta di una sorta di Green Tax Spread che penalizza aziende e famiglie italiane. Le voci principali riguardano le accise sui carburanti (25,7 miliardi), le imposte su energia elettrica e gas (12,6 miliardi) e il settore trasporto (11,2 miliardi). L’accise italiana sul gasolio è la più alta d’Europa (24,9% in più rispetto all’Eurozona), mentre quella sulla benzina è l’11,6% sopra la media dell’Eurozona.
“Anche in questo caso l’Italia figura tra i Paesi con il carico fiscale più elevato, alle spalle solo di Paesi Passi e Finlandia – spiega Confartigianato – per questo sarebbe necessaria una riforma della fiscalità ambientale che tenga conto dell’efficienza energetica reale e del contributo delle imprese alla transizione ecologica”.
Mara Martellotta
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