Ogni età ha i suoi problemi. Torino negli anni 50/60 dello scorso secolo era più vivibile. Quella che definiamo Provincia Granda, almeno in Piemonte, era però grande solo per la povertà. Il Veneto era un serbatoio di voti democristiani e mercato di braccia da lavoro, esattamente come il meridione.
C’era la Fiat che impiegava 150.000 persone su 3/4 turni (e tutto il suo indotto) che richiedeva una moltitudine di ‘omini blu’.
La popolazione di Torino arrivò a contare nel 1971 ben 1.168.000 di abitanti.
In corso Tazzoli, via Settembrini, corso Agnelli, negli orari di cambio turno, per la calca era meglio non passare. Davanti agli ingressi si sentivano le articolazioni dialettali delle varie province piemontesi, gli infiniti dialetti del sud, il veneto dei “terroni del nord”.
La città, dopo l’ingresso dell’ultimo turno degli operai, era morta, le facciate degli stabili erano spesso scrostate e agli ingressi degli stabili c’erano cartelli con scritto “Non si affitta ai meridionali”. Successivamente, quando tutti i piemontesi avevano soddisfatto le loro esigenze abitative e non fu più possibile non affittare ai “terroni”, si passò a un meno regionalizzabile: “Non si affitta a famiglie con figli”.
I più fortunati potevano permettersi un film: l’ultimo spettacolo era alle 22.30 e se non abitavi in centro ci si doveva affrettare perché l’ultimo autobus era prima dell’inizio del nuovo giorno. Alle 04.30 iniziava il servizio dell’ATM e i mezzi a quell’ora erano già pieni dei tanti operai del primo turno che dovevano attraversare la città.
I locali da ballo aprivano solo il fine settimana e chiudevano inderogabilmente alle 02.00 … se si era senza auto o amici disponibili, si arrivava a piedi fino a casa.
La domenica i torinesi (al tempo, detti “Polentoni”) dopo la messa passavano in pasticceria per il cabaret di pastarelle, i “terroni” si svegliavano al “pippiare” del sugo che bolliva da ore, i “terroni del nord” colmavano invece la nostalgia di casa con il Tocaj o con il vino Zignago.
Proprio altri tempi ….
Il pomeriggio alle 14.00 iniziavano le partite e tutti, proprio tutti gli esponenti del genere maschile senza il biglietto dello stadio “Comunale” si attaccavano all’orecchio la radiolina a transistor per seguire “Tutto il calcio minuto per minuto” con le loro Signore sottobraccio a passeggio per il Valentino. Più tardi, tornando a casa – sempre con le Signore sottobraccio e qualche pargolo tra i piedi – iniziava “90mo minuto”. La cena era al massimo alle 18.30 perché il giorno dopo iniziava prima del sorgere del sole.
Il biglietto del tram costava 30 lire come il cono gelato e l’abbonamento a corse multiple veniva perforato di volta in volta da un severo bigliettaio al fondo di ogni mezzo. Quando il biglietto aumentò a 50 lire quasi in contemporanea con il gelato, per la cosiddetta Classe Operaia del periodo fu una mezza tragedia.
La Fiat 500 costava 360.000 lire, alternativa economica della più solida 600; per chi era più facoltoso c’erano la 1100 e un potente 1300.
L’inflazione, dal 2% del 1960 è andata via via aumentando fino all’8% del 1963, superando nel 1980 il 20%. I tassi d’interesse (il costo del denaro) furono stabili al 3,5% fino al 1967 (!!!) ma poi sempre in salita fino a quasi il 22% del 1982.
Tra gli anni ‘60 e 70 prendevano spazio tra i giovani gli allucinogeni e in particolare l’LSD, che nella seconda metà degli anni ‘70 furono purtroppo soppiantati dalla letale eroina.
Pressoché in contemporanea aprivano le prime birrerie, locali per tiratardi, categoria a cui tanti di noi hanno fatto parte. In quel periodo i giovani avevano tante opportunità lavorative, sia definitive che stagionali o comunque complementari alle attività scolastiche. Tanti dei lavori che oggi sono prerogativa di persone che con quell’attività vivono – e magari ci mantengono la famiglia – a quei tempi erano semplicemente un’opportunità per tanti studenti in vacanza.
Nato nella provincia di Napoli nel 1958, non so se mi piacerebbe tornare indietro nel tempo; in quegli anni le nostre responsabilità erano limitate ma non era lo stesso per i nostri genitori che cominciavano ad avere a che fare con stipendi che, malgrado un calmierato paniere dei prezzi, perdevano sempre più potere d’acquisto e con tempi alla catena di montaggio sempre più corti. Erano anni di scioperi, scontri con la polizia, manganellate, difficoltà a mandare i figli a scuola, arrivare a fine mese con tutte le bollette pagate.
Una non era però da tutti: quella del telefono.
Anche chi aveva un telefono di bachelite sul tavolino dell’ingresso o appeso al muro (chi si ricorda del Duplex?), in caso di chiamate interurbane – o peggio, internazionali – a causa del caro bolletta SIP preferiva raggiungere una cabina telefonica con una certa quantità di gettoni telefonici in lega di rame, più pesante in caso di lunghe telefonate.
A proposito! Vi ricordate il servizio militare di leva?
In libera uscita era obbligatorio portare un gettone telefonico, un fazzoletto e non ricordo più quanti strappi di carta igienica.
Mah, penso che anche se la nostra contemporaneità sembra oscurata e senza più la forza di volersi migliorare, se ci volgiamo indietro ci rendiamo conto che da quando la storia ha avuto inizio, la società umana si è poi sempre evoluta.
Felicio De Martino
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