Per anni, la sinistra italiana ha campato di rendita, alimentando l’illusione di essere moralmente superiore, culturalmente più raffinata, e sempre dalla parte giusta della storia. Eppure, ogni volta che è chiamata a governare, lascia dietro di sé macerie: promesse disattese, riforme mai realizzate, e una retorica stanca buona solo per le interviste e i convegni. Si riempiono la bocca di parole come “inclusione”, “giustizia sociale”, “diritti”, ma poi nei fatti difendono solo le élite urbane, le burocrazie intoccabili e un sistema mediatico compiacente. Parlano di lavoratori, ma ignorano gli operai. Parlano di GIOVANI ma si appoggiano a dirigenti ancorati agli anni ’90. Parlano di ambiente, ma fanno compromessi con le grandi lobby energetiche. E ogni volta che falliscono — perché falliscono, sistematicamente — la colpa è degli altri: della destra, del populismo, dei social network, della disinformazione. Mai una vera autocritica, mai l’ammissione che forse, solo forse, anche a sinistra qualcuno ha vissuto troppo di privilegi, di slogan e di rendite di posizione. Il Paese reale chiede concretezza, sicurezza, sviluppo. Ma la sinistra, chiusa nelle ZTL del pensiero, risponde con slogan scollegati dalla vita quotidiana. Non è progresso questo: è narcisismo politico. E l’Italia non se lo può più permettere.
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