“Cercava la luce”: intervista a Roberto Saviano sulla ragazza che sfidò la ‘ndrangheta per amore

 In un’epoca in cui le parole sembrano spesso svuotarsi di significato, il nuovo libro di Roberto Saviano, L’amore mio non muore, edito da Einaudi, risuona come un grido di speranza e di denuncia. Il titolo stesso, carico di una potenza e di un’urgenza straordinarie, annuncia il dramma e la bellezza di una storia che va oltre la cronaca, toccando le corde più intime dell’animo umano. Dopo aver conquistato il pubblico al Salone del Libro di Torino, Saviano torna nella città piemontese, precisamente al Teatro Colosseo, il 22 maggio, per raccontare una storia che mescola l’amore, la morte e la lotta alla malavita. Una narrazione che, purtroppo, non ha il conforto della finzione, ma che è la cruda e struggente verità di una giovane donna che ha avuto il coraggio di opporsi alla ‘ndrangheta, pagando un prezzo altissimo. Il libro racconta la vita di Rossella Casini, una giovane fiorentina che, a vent’anni, si innamora di Francesco, uno studente calabrese lontano da casa. Quell’amore, come un uragano, la trascina dalla sua città natale fino in Calabria, dove scopre che la famiglia del suo amato è legata a una potente cosca della ‘ndrangheta, la ‘ndrina della piana di Gioia Tauro. Un amore che, purtroppo, non basta a proteggerla dalla violenza del mondo che le si svela, e che la costringerà a fare scelte impossibili. Rossella si batte per fermare una faida sanguinaria, chiede verità e giustizia, senza risparmiarsi, mettendo a rischio la sua stessa vita. La sua è una lotta che sembra condurre verso l’ineluttabile, ma che al contempo rivela il coraggio di una ragazza che non si arrende mai alla paura. La storia di Rossella emerge, quasi per caso, da una vecchia fotografia, l’unica testimonianza rimasta di una vita breve ma intensissima. È grazie all’instancabile lavoro di due giornaliste che la sua vicenda riemerge, trovando infine il suo posto in questo libro di Roberto Saviano, che fin dal primo incontro con il racconto ne percepisce la forza. Saviano, nell’introdurre la storia di Rossella, non può fare a meno di riflettere su quella sensazione che provano i pochi che, come lui, si avvicinano a una storia che li segnerà per sempre. “Per la prima volta,” racconta l’autore, “al di là dell’aspetto criminale, provavo un reale interesse verso l’amore che muoveva Rossella.” In quelle parole c’è il contrasto tra la sua visione della vita e quella di Rossella: “Lei prova qualcosa che non sono più in grado di provare, è fiduciosa, io diffidente. Lei cerca la luce, io il buio.” Ma Rossella, pur nella sua fragilità, ha vissuto con la pienezza dell’essere umano che ama senza riserve. Saviano ci ricorda che è necessario restituire alla fase dell’innamoramento la dignità che merita, perché, a dispetto delle ombre che talvolta la vita ci getta addosso, l’innamoramento è un atto di speranza che sfida l’impossibile. Rossella lo ha fatto fino in fondo, vivendo e amando con una purezza che oggi sembra utopica.

Rossella ha combattuto per un’idea di felicità che aveva il volto e il nome di Francesco. Dalla profonda immersione che hai avuto nella sua storia, credi che, almeno per un momento, Rossella sia riuscita a essere davvero felice?

Sin dall’inizio della loro relazione, Rossella sembra toccare con mano una felicità autentica. È forse proprio quell’istante di luce a spingerla a sfidare il buio, a opporsi a alla faida che inghiotte tutto. La sua battaglia, condotta quasi a mani nude, nasce da un atto d’amore, non di ingenuità. La colpa non è sua: la responsabilità morale ricade su chi l’ha isolata, manipolata e infine condannata. La felicità, per Rossella, non era un’illusione, ma un’urgenza. E la sua fede nella possibilità di fermare una faida millenaria – qualcosa che spesso neanche lo Stato riesce a fare – la dice lunga sulla forza del suo sentire.

C’è un episodio, tra tutti, che incarna il senso più profondo della sua lotta?

Uno su tutti: il giorno in cui Rossella bussa alla porta di un boss per chiedergli di fermare la faida. Lo fa in nome dell’amore. Lo fa perché crede, con tutta se stessa, che la sua felicità con Francesco meriti una possibilità. Quel gesto non è solo disperato: è radicale, è totale, è umano.

Un gesto folle o un atto d’onore? Come lo definiresti?

Entrambi. Per qualcuno è incoscienza, per altri eroismo. Di certo c’è coraggio. Chi lo giudica un gesto ingenuo ha le sue ragioni: in un contesto così violento, quell’atto può apparire insensato, persino suicida. Ma Rossella non era semplicemente incosciente: era determinata. Voleva essere felice, e per questo si è assunta ogni rischio. “Io voglio vivere, voglio amare, voglio che tutto questo finisca”, sembrava dire. E nella sua voce c’era la voce di chi sa che la felicità, a volte, è una battaglia da combattere fino in fondo.

Valeria Rombolà

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