Un progetto tutto al femminile. Che energia si respira?
Lavorare con altre donne, soprattutto in un contesto creativo, è come parlare una lingua comune. Siamo più rapide, più istintive. Spesso ci basta uno sguardo per capirci. Non c’è bisogno di spiegare troppo: ci siamo già dette tutto con un sorriso o con un gesto. È una forma di connessione bellissima. Con Ilaria (Stagni, ndr) abbiamo passato due giorni a ridere e raccontarci la vita. È stato terapeutico.
In questo lavoro hai lasciato da parte il corpo e ti sei affidata solo alla voce. Com’è stato?
Liberatorio. Ogni tanto mi fa bene togliermi di dosso tutto, anche se non ho problemi con il mio corpo. Anzi, sono autoironica e lo uso spesso per raccontare e trasformare. Ma a volte mi stancano le opinioni, l’essere sempre esposti. Il podcast ti spoglia di tutto, ti lascia solo la verità della voce. È come tornare a una dimensione pura, infantile quasi. Come quando da bambina ascoltavo i radiodrammi in macchina con mia madre: erano favole della buonanotte, ma alla radio.
Cosa ascolta una narratrice come te?
Indagini lo seguo spesso. Il dito di Dio di Pablo Trincia mi ha distrutto l’anima: lui è straordinario. Ho amato La città dei vivi, adesso sto ascoltando I limoni sul G8 di Genova – che per la mia generazione è stato uno shock. Mi ha colpito anche Gli slegati di Chiara Gamberale: interviste intime, forti. E poi ogni mattina inizio con Il Post, come un caffè.
VALERIA ROMBOLA’