Dal 12 aprile al 7 settembre prossimo è ospitata e aperta al pubblico presso il MAO, Museo di Arte Orientale, la mostra intitolata “Haori. Gli abiti maschili del primo Novecento narrano il Giappone”, che offre una singolare esplorazione della cultura materiale giapponese attraverso circa 50 haori e juban ( le giacche sovrakimono e le vesti sotto kimono maschili) nonché alcuni abiti tradizionali da bambino, provenienti dalla collezione Manavello, in dialogo con installazioni di artisti contemporanei.
La mostra non ha precedenti né in Italia né in Europa e si pone come una novità assoluta nel panorama delle proposte aventi come tematica l’arte dell’Estremo Oriente.
Le raffigurazioni che decorano gli abiti presentati non solo sono esempi di preziosa manifattura, ma documenti e testimonianze che approfondiscono il Giappone del primo Novecento, un periodo cruciale segnato da trasformazioni sociali, culturali e politiche , tra una modernizzazione accelerata e tensioni interne imperialiste.
All’interno del percorso espositivo sono presentate opere di artisti contemporanei come strumenti d’analisi e di riflessione, invitando il pubblico a orientarsi in un’epoca storica di relazioni complesse tra Giappone, Cina e Corea, ancora poco conosciuta in Italia.
Il progetto espositivo si avvale della consulenza curatoriale di Silvia Vesco, docente di Storia dell’Arte Giapponese presso l’università Ca’ Foscari di Venezia, Lydia Manavello, Yu Mi (curatrice indipendente e attualmente docente di Arte ed Economia all’Università di Kassel), in collaborazione con il direttore del MAO, Davide Quadrio, e la curatrice Anna Musini, con l’assistenza di Francesca Corrias.
Svelare, non esibire, suggerire senza palesare. A questi principi si ispira la millenaria cultura giapponese che, sull’equilibrio in perenne divenire tra pieni e vuoti e sul senso dell’armonia, tesse ancor oggi la propria esistenza.
L’abbigliamento concorre a definire i ruoli e gli spazi in cui si configura e si muove la complessa società nipponica; in questo contesto grande interesse ha sempre destato il kimono femminile, mentre l’ambito degli indumenti maschili è stato ancora poco indagato.
Meno appariscenti ma assai interessanti, le vesti da uomo costituiscono, in realtà, una parte consistente del ricco apparato tessile giapponese.
Nell’eleganza austera del completo cerimoniale o nella sobrietà di un abito da vivere tutti i giorni, i kimono da uomo racchiudono e definiscono un universo che si rende accessibile solo nel contesto domestico o nel segreto di un incontro amoroso. A rivelare l’anima di chi li indossa sono i soggetti che impreziosiscono gli interni delle giacche o l’intera superficie dei sotto kimono: immagini seduttive o narrative, sempre sofisticate, abilmente tessute o dipinte, elaborate con minuzia o appena suggerite da qualche tratto di inchiostro, raccontano la cultura del Sol Levante con riferimenti alla letteratura e all’arte della guerra, al mondo naturale e alla sfera divina.
Tradizionalmente considerati espressione dell’intimità quotidiana, gli haori e le juban presentati in mostra assumono un nuovo significato e diventano un’occasione per affrontare temi di grande attualità, tra cui le questioni legate all’espansione giapponese del XX secolo in Asia e alle implicazioni politiche e sociali che ne caratterizzarono il contesto storico. Tra queste anche la propaganda, affidata non solo ai tradizionali mezzi di comunicazione, ma in modo tanto sorprendente, quanto pervasivo, proprio agli abiti tra i quali anche quelli da bambino, cui è dedicata un’apposita sezione della mostra.
L’esposizione esplora, dunque, l’immaginario comune del Giappone in Occidente, ancora legato a una visione tradizionale e romantica, in contrapposizione alla percezione di un Giappone diverso, a tutt’oggi poco conosciuto che è quello che trapela dagli abiti maschili; le immagini che li caratterizzano da un lato celebrano il mito dell’Occidente, dai plurimi volti, dall’altro mirano ad enfatizzare l’orgoglio nazionale nipponico, entrambi culminanti nell’evoluzione tecnologica e nella strenua difesa della propria identità, prima e durante il secondo conflitto mondiale.
Questa eredità, lungi dall’essere cancellata dal tempo, sopravvive ancor oggi in Paesi e realtà al di fuori del Giappone, ma allora coinvolti, e di essa le installazioni ei video contemporanei in mostra offrono una tangibile testimonianza, arricchendo il racconto con riflessioni sul tempo passato e presente.
Con il patrocinio del Consolato Generale del Giappone a Milano
MAO Museo di Arte Orientale
Via San Domenico 11
Orari martedì- domenica 10-18. Lunedì chiuso.
Mara Martellotta
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