SOMMARIO: Paolo Vitelli un grande italiano – “Abbiamo consegnato noi l’Italia al fascismo” – Lettere
Paolo Vitelli un grande italiano
Parlare di Paolo Vitelli come di un grande torinese ci impedisce di cogliere la portata internazionale dell’industriale più importante al mondo nel campo della nautica da diporto, messa su, si può dire, partendo dal nulla ad Avigliana. L’Azimut venne da lui fondata quando era ancora studente e già al liceo dimostrava spirito d’impresa, vendendo sci e cravatte agli amici. In qualche armadio ho ancora qualche sua cravatta vendutami in piazza Carignano dove posteggiava la macchina con il baule diventato una vetrina. Apparteneva ad una famiglia di ricchi imprenditori. Il padre era a capo della “Venchi” e poi di un’azienda tessile; fu presidente della Camera di Commercio di Torino da cui l’arroganza ignorante di un ministro socialdemocratico avrebbe voluto estrometterlo per piazzare un modesto personaggino senza titoli.
L’avv. Vitelli, assistito dall’avv. Bachi altro grande gentiluomo di quegli anni straordinari di Torino, ricorse al TAR e riebbe il suo posto. In quell’epoca i piccoli politicanti erano banditi. Paolo Vitelli si era formato in quell’ambiente torinese della Facoltà di Economia ,del miracolo economico, del lavorare con onestà, della serietà assoluta ereditata dal vecchio Piemonte. Egli ha portato nel mondo quello stile Torino ed il marchio del Made in Italy che ha reso grande un Paese manifatturiero totalmente privo di una politica industriale. Vitelli ha fatto di più, ha preservato la sua azienda dalle ondate demagogiche sindacali, anzi la ha ampliata, accorpando il prestigioso marchio in crisi di Benetti. Non hai mai pensato di vendere agli stranieri – i suoi maggiori clienti – l’azienda , come tanti imprenditori italiani hanno fatto. E non si è mai lasciato invischiare nel piccolo cabotaggio della torinesità come tanti destinati a galleggiare nella mediocrità metropolitana. Lui che in cuor suo, penso, non tenesse in grande considerazione la politica perchè era un uomo del progettare e del fare, accettò anche di candidarsi in Parlamento, riuscendo eletto senza bisogno di particolari appoggi perché il suo nome era una garanzia assoluta. Dopo due anni tornò ad occuparsi delle aziende deluso da un mondo politico parolaio e inconsistente. Lo stesso Monti non era certo un nuovo Einaudi. Se penso come e dove è finita la più grande fabbrica torinese, ho ancora di più l’idea che Paolo sia stato un fuoriclasse. Ha avuto una figlia che ha portato ai vertici aziendali quasi fosse presago di dover preparare con adeguato anticipo un ricambio. E così è stato. Torino dovrà rendere omaggio ad uno dei suoi cittadini migliori tra i due secoli, magari ricacciando nell’oblio quelli che, portati avanti da meriti inesistenti, oggi continuano a detenere posizioni che non hanno mai meritato.
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“Abbiamo consegnato noi l’Italia al fascismo”
Il 3 gennaio 1925, cent’anni fa, ci fu un discorso di Mussolini alla Camera che segnò il superamento della crisi provocata dal delitto Matteotti e l’inizio della dittatura fascista paradossalmente annunciata con un discorso in Parlamento. Quel discorso merita di essere letto per capire compiutamente cosa sia stato il fascismo anche nelle sue ambiguità che gli consentirono di avere appoggi impensabili. La vicenda del delitto Matteotti fu affrontata dal fronte, quasi subito diviso, degli antifascisti in modo superficiale e contraddittorio.
L’ Aventino fu un grave errore che consentì al duce di riorganizzarsi. E’ sbagliato concentrare tutta l’attenzione sul discorso del 3 gennaio perché andrebbe indagato senza indulgenze l’Aventino che fu anche una fuga rispetto all’impegno di opporsi al fascismo. Filippo Turati scrisse anni dopo :”Abbiamo consegnato noi l’Italia al fascismo”. E’ una confessione dell’impotenza dell’opposizione e degli errori commessi vedendo nel fascismo un qualcosa che non corrispondeva alla realtà. Liberali, socialisti, comunisti, popolari non furono in grado di capire la realtà e di porre fine alla loro litigiosità. Mussolini prima e dopo il delitto Matteotti trovò antifascisti pronti allo scontro di piazza, ma incapaci di agire politicamente in modo lucido. Anche delle vecchie volpi della politica come Giolitti stentarono a capire cosa fosse il fascismo. Sarà il 1925 /26 ad aprire loro gli occhi.
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LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com
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Codice Salvini
Il nuovo Codice della strada firmato Salvini suscita molte perplessità. Esso tra l’altro azzera la privacy del conducente. Che le Forze dell’Ordine possano accedere al cellulare e leggere i numeri di telefono chiamati e soprattutto i messaggi appare illegittimo. Cosa ne pensa? Io sono contraria. Enrica Cais
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Le cose targate Salvini peccano quasi sempre di eccessi, a partire dall’esibizione a suo tempo di rosari e crocifissi fuori luogo, tanto per citare un solo esempio. Anche il Codice risente di un protagonismo legislativo fuori luogo, ad esempio, in materia di etilometro. E’ giusto combattere gli abusi, appare sacrosanto garantire al massimo una guida sicura a tutela di sé stessi e degli altri utenti della strada, ma il controllo dei cellulari come lei indica mi sembra una violazione della privacy evidente. Il testo di un messaggio è ad ogni effetto una forma di comunicazione epistolare tutelata dall’ articolo 15 della Costituzione che parla di inviolabilità che può essere limitata solo da un provvedimento motivato dell’ Autorità giudiziaria. Ancora una volta l’abc del liberalismo appare del tutto sconosciuto. I messaggi non servono solo a scambiarsi auguri ed amenità varie. Sono un mezzo di comunicazione che a volte sostituisce il telefono.
Ciò detto va anche riconosciuto che l’uso del cellulare in auto sia diventato un comportamento non tollerabile perché causa di incidenti. L’esistenza del viva voce dovrebbe essere il modo corretto di usare il cellulare in auto, evitando assolutamente di digitare messaggi e numeri telefonici.
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L’assessore Sestero
Ho visto ben due intere pagine de “La Stampa “ dedicate ad un ex assessore comunale di Torino, irriducibile comunista. Mi è sembrato un esagerato culto della personalità che i vecchi comunisti rimasti tali- malgrado l’apparente ravvedimento- hanno dedicato alla loro compagna mancata. Il segno di un ritorno al passato. Neppure a Carpanini hanno dedicato questo spazio. Ettore Bietti
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Credo che si possa e si debba ricordare la prof. Maria Grazia Sestero che ha saputo mantenere una coerenza assoluta fino alla fine. Comunista era e comunista è rimasta. L’ho conosciuta in più occasioni e quasi mai ho potuto consentire con lei. A chi muore va sempre portato il massimo rispetto, anche se sinceramente non credo molto alla statura politica di chi non ha voluto comprendere che il comunismo è stato una delle più grandi tragedie dell’umanità. Posso giustificare un operaio poco scolarizzato, ma non chi ha diretto anche un liceo. Maurizio Ferrara, direttore de “L’ Unità” vissuto anche a Mosca disse che non leggeva certi libri perché altrimenti avrebbe dovuto cambiare la sua vita. L’assessore e anche parlamentare Sestero non credo che si sia posta questi problemi perché le sue convinzioni erano talmente radicate da non avere mai un dubbio ideologico. Tanti che oggi dimenticano il loro granitico passato comunista dovrebbero imparare dalla sua onestà.
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