Oggi 26 novembre a Camera la presentazione del libro “Manuale di moda maschile vintage:” di Francesco Salamano con l’accompagnamento di Mario Calabresi.
Si definisce “torinese con la valigia”, ma Francesco Salamano è anche un esperto di comunicazione e docente universitario in istituti come IED e Marangoni dove insegna materie legate alla sua professione, dunque marketing e comunicazione ma anche legate alla moda e alla storia dei costumi. Io l’ho incontrato in qualità di saggista ed esperto di moda vintage maschile dal momento che martedi 26 novembre presenta presso Camera il suo libro “Manuale di moda maschile vintage: guida per avere uno stile perfetto”, edizioni Demetra.
Francesco come nasce la sua seconda anima, quella di esperto di moda.
Dal piacere e dall’interesse verso la moda, perché è sempre stata una mia passione sin da ragazzino. Mi piacevano determinati capi, mi piaceva il vestito in una certa maniera, e negli anni si è sempre più sviluppata questa passione che mi ha portato a ricercare, approfondire, a capire, e poi il mio interesse si è spostato verso il vintage, perché nel vintage c’era anche tutta una parte legata al passato, alla memoria, al ricordo. E tutto ciò è confluito nel mio libro che non è un libro solo di moda, ma è un libro legato alla cultura pop, ai riferimenti culturali legati al concetto di vintage che io sintetizzo in tre parole: etico, estetico ed esclusivo. Etico, perché in qualche modo il vintage si oppone al fast fashion. Lo spreco aiuta a ridurre l’impatto estetico, poiché i capi vintage erano progettati per durare più a lungo, erano realizzati meglio, rifiniti con maggiore cura, e spesso anche più belli dal punto di vista estetico. È talmente vero che molte aziende stanno lavorando volontariamente sul concetto di archivi. Infine, esclusivo, ma non nel senso negativo del termine, bensì come qualcosa che si oppone alla massificazione e all’omologazione, perché ogni capo vintage è unico, irripetibile, e non può essere replicato.
C’era davvero bisogno di un libro sulla moda maschile? Mi consenta la provocazione: ma la moda da uomo è davvero creativa?
Questo libro non è rivolto solo agli uomini né si limita all’eleganza maschile, ma esplora la cultura pop in generale, toccando argomenti come cinema, letteratura e musica. Anche una donna che non sia interessata alla moda maschile potrebbe trovare interessanti leggere storie e curiosità su questi temi. E poi, la moda è una fusione di influenze, anche tra i generi. Molti capi maschili sono diventati femminili e la moda femminile ha attinto dalla tradizione maschile. Esempi noti includono Saint Laurent con lo smoking femminile, Coco Chanel con le giacche in tweed, e Armani con il suo tailleur. Hanno dato vita a una moda elegante che partiva dagli abiti sartoriali maschili. Quindi perché no. Certo, forse adesso che si parla anche di fluidità esasperata dove vedi un Mahmood che va sul palco con la gonna e ormai è normale, forse te lo aspetti di più un manuale di moda anche maschile.
Diciamo che il binomio vintage moda maschile mi ha fatto chiedere se davvero c’è così tanta creatività? A quanto pare sì.
Diciamo che per certi versi la moda maschile è anche più creativa di quella femminile. Mi spiego meglio con un altro esempio: il fishtail parka, quello con le code a pesce, è stato uno dei campi più usati anche dagli stilisti per la moda femminile, o il bomber, altra giacca militare, eppure sono diventati di uso comune anche per le donne, quindi anche nel casual ci sono state delle contaminazioni molto forti. Ritornando al concetto di creatività, la moda maschile nasce in modo funzionale, da capi nati per la guerra o per il lavoro, uno per tutti il jeans, ma che poi hanno travalicato il loro settore di riferimento finendo in mondi completamente diversi. Questo è creativo e allo stesso tempo disruptive, se ci si pensa.
Quando parla di cultura pop, il primo nome che mi viene in mente è Elio Fiorucci, a cui è stata dedicate una mostra attualmente in corso a Milano.
Fiorucci è presente nel mio libro, nel capitolo dedicato al denim dove c’è anche una sua bellissima foto, perché intanto è stato il primo a creare una sorta di concept store. E poi perché è stato lo stilista-artista pop per eccellenza, accanto a nomi quali Andy Warhol, Keith Haring. Infine per la genialità di uno stilista che è riuscito nell’impossibile, cioè vendere i jeans agli americani.
Dopo anni di loghi in bella vista, oggi, soprattutto su TikTok, la Gen z ha scoperto lo stile “old money” che richiama l’alta società dove eleganza significa sobrietà. Si tratta di uno stile d’altri tempi, che ricorda i Kennedy o gli Agnelli, fatta di capi di ottima fattura, senza loghi, mai sopra le righe. Come se lo spiega?
Ma intanto, corretto o sbagliato che sia, lo stile old money porta con sé un’idea di ricchezza non esibita, e non solo di ricchezza, anche di potere, di successo, perché old money indica coloro che non hanno fatto i soldi, ma che li hanno ereditati. Il concetto dell’old money è anche legato a un’idea di successo che non ha bisogno di dimostrare nulla, quindi quel minimalismo, ma che in realtà non è minimalismo, che sfocia nell’autorevolezza. È un lusso dichiarato senza bisogno di urlare.
Mi sono però persa il passaggio dal capo firmato con il brand ben visibile in modo che sai che quel capo è costoso, alla scelta di abiti o accessori apparentemente anonimi, fatti benissimo, ricercati, ma che se non lo sai, non ti rendi conto del valore che hanno.
Potremmo ragionare sul fatto che lo stile old money vive anche di riferimenti culturali, legati al passato, legati a personaggi, legati a un certo tipo di stile, a un certo tipo anche di accessori, marchi, orologi. Quindi capi ed elementi intrisi di storia che in qualche modo comunicano. La seconda spiegazione è che forse si passa dal bisogno della griffe per comunicare sé stessi alla voglia di comunicare sè stessi e basta. Non serve più un ambasciatore che comunica chi sei, indossi qualcosa che ti permette di comunicare la tua personalità e il tuo io senza intermediari.
Mi fa venire in mente la frase “Vesti male e noteranno il vestito, vesti bene e vedranno la donna” di Chanel, che chissà perché io ho sempre associato all’eleganza di Armani.
Ti ringrazio del complimento, perché citi Armani, un mostro sacro della moda. Parliamo di uno stilista che ha fatto 122 film, cioè costumi per film, tra cui Intoccabili, American Gigolo a Bastardi Senza Gloria. E nell’Olimpo della moda ci metto anche Ralph Lauren perché mi trovo più nel mondo vintage maschile rispetto a quello di cui stiamo parlando. E in più perché Ralph Lauren ha avuto la capacità di contaminare mondi completamente differenti, dal country americano allo stile inglese, dal mondo dell’etnico allo stile italiano, e questo forse è più unico che raro.
Come si fanno a trovare pezzi vintage da aggiungere al proprio armadio? Da dove parto?
Intanto documentarsi aiuta perché aiuta a capire, a scegliere, perché almeno uno non sceglie solo il proprio stile, ma anche i propri riferimenti culturali e ciò in cui desidera riconoscersi. Poi, io credo in un vintage, passami l’aggettivo, democratico. Io vedo molto spesso influencer che mostrano un vintage molto poco accessibile, fatto per pochi, ma in realtà, partendo da un certo tipo di ricerca, anche un certo tipo di buon gusto, il vintage può essere estremamente accessibile. Il che non vuol dire, a rovescio, che visto che il vintage è estremamente di moda si debba giustificare quei mercatini dove si compra a kilo, dove paghi poco ma compri anche male. Poi se sei fortunato lo trovi anche un pezzo, è capitato anche a me. Tornando alla domanda, trovi il vintage nei mercatini, anche col divertimento e la voglia di scoprire e poi c’è il web che ti permette di cercare in tutto il mondo. Uno degli ultimi capi che ho preso, l’ho comprato da un venditore thailandese. Si tratta di una giacca double face anni ‘50 che appunto ho trovato in Thailandia.
E a Torino dove possiamo cercare?
C’è Piazza Benefica, ogni tanto c’è il mercato della Gran Madre, ma diciamo che io, forse anche per la tipologia di capi, che sono più internazionali, pesco molto all’estero, sia nei mercati delle città che visito, perché, come sempre, il viaggio è nell’accezione larga, non soltanto del viaggio stesso, ma di tutto quello che l’esperienza del viaggio ti porta. E quindi, anche i mercatini in giro nel mondo, per esempio in America, le vendite nei cortili, in certe scuole, sono estremamente affascinanti. Anche perché lì trovi veramente l’inaspettato.
Quali sono i pezzi must-have da uomo o da donna? Quali sono i capi da cercare per costruire il nostro archivio personale?
Per l’uomo, secondo me, direi un giaccone militare, che può essere di tanti generi, dall’M65 classico, al parka, alla giacca da ponte della Marina Americana, puoi scegliere quello che preferisci ma sicuramente un giaccone militare è un capo che va su tutto. Ed è talmente vero che io oggi sono in abito formale e ho una giacca militare degli anni 50. Poi, direi un giubbotto in pelle, il chiodo che va bene sia per l’uomo che per la donna, il cardigan, che è un altro di quei capi pieni di storia, rassicurante e senza tempo. Pensa che nasce come capo maschile e militare, dal Conte di Cardigan, durante la guerra in Crimea, e diventa poi capo femminile con Coco Chanel, a proposito di femminilità e moda che si contamina. E ancora il jeans, sembra banale dirlo, ma quale capo più rivoluzionario e che ha cambiato maggiormente le nostre vite del jeans?
E da donna?
Come ho già detto il chiodo, e se parliamo di qualcosa di assolutamente trasversale direi un cappotto ampio da uomo. Cito il cappotto di cammello che mi fa pensare a Marlon Brando in Ultimo Tango a Parigi e che io trovo su una donna estremamente sexy, magari oversize.
Trovo insolita questa scelta. Mi sarei aspettata il little black dress, il tubino nero, per una donna.
Ma io uscirei un po’ dallo stereotipo della femminilità, come dire, che ti aspetti. In realtà la femminilità, come tu sai molto bene è un’attitudine, quindi è quello che indossi che fa la differenza. Ci sono uomini che riescono ad essere completamente ineleganti, pur essendo vestiti perfettamente, perché sono, passami il termine, finti. Allo stesso modo una donna può essere estremamente sexy in t-shirt e jeans, che sono due capi all’origine molto maschili, e non esserlo in tubino nero.
Se dovesse nominare un torinese elegante, a chi penserebbe?
È difficile, molto difficile. E poi, come sempre, mi metteresti in difficoltà perché sai che i torinesi sono anche molto permalosi, per cui rischierei di offendere qualcuno. Sinceramente non farei nomi perché il gentleman non dovrebbe esserlo solo per l’estetica e l’educazione, ma anche per l’approccio che ha rispetto alla vita.
Questa è una risposta molto elegante e molto torinese.
(Salamano scoppia a ridere) Hai ragione! Lasciami però aggiungere che io non sono affatto giudicante. Non ho la pretesa che la gente si vesta come piace a me. Piuttosto mi infastidisco davanti all’ostentazione della ricchezza, dello status symbol perché è l’antitesi di ciò che vedo e comunico. Io ritengo ognuno debba esprimere la propria personalità e la propria attitude, altrimenti si rischia l’omologazione al contrario, la sterilizzazione culturale.
È un bel messaggio quello lasciato da Salamano che ci fa comprendere come lo stile è qualcosa che ci creiamo, pescando tra mode che travalicano i confini del tempo e dello spazio. Lui sembra girare con una valigia invisibile piena di ricordi e aneddoti, gli stessi che ha cercato di comprimere nel suo libro. E questo libro arriva come una bella strenna natalizia da regalare a chi ha già tutto ma che ogni volta che apre l’armadio esclama: non ho niente da mettermi.
Lori Barozzino
Leggi qui le ultime notizie: IL TORINESE