“Uomo. Professore. Autore”, tutta l’eredità di Tolkien tra editoria, cinema e arte

Alla Reggia di Venaria, sino al 16 febbraio

Oggetti di una vita. Tutti da ammirare. All’inizio, il vecchio baule che aveva
accompagnato il piccolo John Ronald Reuel Tolkien, di soli quattro anni, con mamma
Mabel ed il fratello minore, nel viaggio avventuroso da Bloemfontein in Sud Africa a
Birmingham, nel cuore della vecchia Inghilterra: doveva essere l’occasione di una
visita alla famiglia e divenne il ritrovamento delle proprie radici, per sempre.
Un’occasione e un lutto perché il padre, banchiere, a pochi mesi da quella partenza e
prima di poterli raggiungere, fu colpito da una febbre reumatica che lo condusse,
appena trentanovenne, alla morte. Quel baule è l’inizio di una vita, del passaggio da
un mondo antichissimo ad un mondo nuovo, di un’avventura personale, fatta di libri e
di letteratura, di studi e di insegnamenti, di una passione per la filologia e l’inglese
antico e medio e di un mondo accademico, di un grande attaccamento alla moglie
Edith Bratt e ai quattro figli e ai paesaggi inglesi che Tolkien tanto amava. Non
soltanto quello, certo: lungo il vasto percorso che s’intreccia nelle sale al primo piano
della Venaria dedicato a “Tolkien. Uomo, Professore, Autore” (visitabile sino al
prossimo 16 febbraio: il tutto all’insegna di quel dragone contrapposto a un
leggerissimo paesaggio immersi nella “Middle-heart” di Roger Garland, un olio e
acrilico del 1987) s’allineano manoscritti autografi, lettere, citazioni, fotografie di
famiglia e amici, le testimonianze dell’amicizia con C.S. Lewis, l’autore delle
“Cronache di Narnia”, libretti degli assegni, libri di studio in grande e sempre inseguita
quantità e di lettura, le note a margine che accompagnano il “Giulio Cesare”
shakespeariano, la riproduzione dello studiolo con il tavolo e i fogli sparsi e
l’immancabile pipa, posto nella sua abitazione al 20 di Northmoor Road a Oxford, i
ritratti e le opere d’arte, i contratti e i giudizi altrui sull’autore che aveva rivoluzionato
il mondo e che aveva offerto ai suoi lettori la visione “della terra in un tempo molto
lontano”. Una mostra che ha già alle spalle un lusinghiero successo, che arriva dalla
Galleria d’Arte Contemporanea di Roma e da Napoli, raccogliendo 80 mila visitatori in
ciascuna sede (ma la cifra napoletana qualcuno la dice ben maggiore), portandosi a
casa interrogazioni in sede politica e più di una vistosa lamentela da parte delle
opposizioni al governo (un quotidiano apertamente critico, un eufemismo, semmai
duramente ostile ad esso, scriveva già nel dicembre scorso che era stato il fu ministro
Gennaro Sangiuliano a “imporre” la mostra anche a Venaria), e che proseguirà a
Catania e a Trieste, tappa ultima di un percorso che avrà il suo termine nell’autunno
del ’25.
Un racconto avventuroso che ha la cura di uno studioso e specialista, Oronzo Cilli, con
l’organizzazione e la co-curatela di Alessandro Nicosia, capaci attraverso la propria
autorevolezza e la ricchezza delle raccolte e dei prestiti, “delle tante collezioni che
hanno messo a disposizione i loro patrimoni – dall’Università di Reading, dalla Tolkien
Society, dalla Fondazione Biblioteca Benedetto Croce e dalla Warner Bros Discovery
tra gli altri – di dare vita ancora una volta alla Terra di Mezzo e ad un rinnovato
immaginario e a un nuovo interesse alla prima grande mostra dell’autore in Italia, di
un autore che con la trilogia del “Signore degli Anelli” ha venduto qualcosa come 250
milioni di copie e che pure ha attirato l’attenzione dei Beatles per un film purtroppo
mai realizzato, una mostra che supera certamente ogni altra concepita sinora, Oxford
Parigi Milwaukee, che avevano in sé un contenuto e un carattere più settoriale, che
“hanno raccontato principalmente – sottolinea Cilli – il Tolkien scrittore, sub-creatore e
artista, affiancando l’arte che egli stesso creò per dar immagine alla parola.” Qui, si è
andati ben oltre.
Nel dar corpo alla memoria di un essere immaginifico nel cinquantesimo dalla
scomparsa, si rivendica nelle parole della direttrice di freschissima nomina del
Consorzio delle Residenze Reali Sabaude, Chiara Teolato, l’importanza della mostra
per una città alle porte di Torino e per un complesso architettonico di maestosa
bellezza, “scenario perfetto: le architetture di Castellamonte e le loro parti affrescate
con storie di dei e di uomini, quelle di Juvarra, con seducenti giochi di luce e ardite
voluttà di stucchi e di marmi sembrano evocare, per esempio, le sale dei palazzi
presenti nel “Signore degli Anelli”, come Gandor, Meduseld e Osgiliath, ormai in
rovina.” Un corollario scenografico che non mette limiti – e divisioni – alle proposte
(ricordiamo che siamo appena usciti brillantemente, con 106 mila visitatori, dalle
bellezze di Caravaggio, di Reni, di Solimena arrivate dalla Reggia di Capodimonte) che
in queste stagioni si succedono, un omaggio “ambientatissimo” a quei volumi “scritti
ieri sulla carta di oggi con l’inchiostro di domani”, incide ancora Nicosia. Una mostra
che, ce da esserne sicuri, raccoglierà le medesime cifre almeno delle tappe
precedenti.
L’Uomo e la sua vita privata, il Professore, accademico tra i più giovani a ottenere la
cattedra all’Università di Oxford e autore di pubblicazioni importanti nello studio della
letteratura, l’Autore, che ha dato vita a “Lo Hobbit” (ricordate? “In un buco della terra
viveva uno hobbit” e Bilbo Baggins appare in una delle ultime sale realissimo nel suo
sorriso e nei suoi abiti) e al “Signore”, attorno alla cui “leggenda” trovano spazio
fantastiche prime edizioni, gli acquerelli originali realizzati da Piero Crida (primo
illustratore delle copertine delle opere tolkeniane edite da Rusconi, sarebbe sufficiente
l’acquerello che è l’immagine di Gandalf a misurarne la grandezza) e le preziose
immagini raccolte sino a oggi da Davide Martini, originario di Imola e innamorato di
quei mondi e del loro autore, direttore artistico del Greisinger Museum, le circa 900
edizioni che arricchiscono i due titoli principali, suddivise in 51 differenti paesi e sparse
qui in numerosi quanto ordinatissimi scaffali, sei ripiani d’altezza, tutto a decretare il
successo per chi può permettersi di agguantare un terzo posto in fatto di lettori, alle
spalle della Bibbia e del Corano.
Una sezione ci trasmette l’eredità dello scrittore, spina dorsale del fantasy futuro,
ricercato e finalmente inseguito dal mondo dei fumetti e dai film d’animazione (di
Ralph Bakshi che nel 1978 regalò una preziosa edizione) e da Hollywood (la trilogia di
Peter Jackson, dove Viggo Mortensen era Aragorn ed Elijah Wood era Frodo, vincitrice
di ben 17 premi Oscar. Un’altra non trascura certo l’amore di Tolkien per l’Italia (“sto
tenendo un diario. Sono innamorato dell’italiano, e mi sento abbandonato senza la
possibilità di cercare di parlarlo! Dobbiamo continuare a studiarlo”, scrive al figlio
Christopher nell’agosto del 1955, anno in cui visita Venezia e Assisi; ci sarebbe
ritornato sette anni dopo per recarsi a Stromboli, Civitavecchia e ancora Venezia). Non
ultima, una delle sezioni più interessanti della intera mostra, i rapporti tra l’autore e
l’editoria italiana, nei nomi di Mondadori e Rusconi e L’Astrolabio: laddove il primo,
nell’ottobre del 1962, attraverso il dattiloscritto di Elio Vittorini (“Inclinerei a scartare:
ma possiamo eventualmente provarci ad acquistare un solo volume come gli editori ci
propongono”) e di Vittorio Sereni (“Ma quando lo faremo? Se c’è tempo per farlo
chiederei un’altra lettura. Ma la conclusione mi sembra già un NO ed escluderei la
possibilità di arrischiare un esperimento”), decidono che per il momento non se ne
farà assolutamente nulla. Documenti anche questi che, a sessant’anni di distanza,
accrescono e lasciano pienamente comprendere il successo immenso di un autore.
Elio Rabbione
Nelle immagini, il ritratto di John R.R. Tolkien e alcuni angoli delle sale della mostra.
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