Peñarol, il Piemonte d’Uruguay. Storie di calcio e di emigrazione

Il nome deriva da Pinerolo e lo si deve a Giovan Battista Crosa che nel 1765 arrivò a Montevideo e fondò – insieme ad altri conterranei – il quartiere che , storpiando il nome del comune situato allo sbocco in pianura della Val Chisone, nel tempo, è diventato il “barrio” Peñarol

Nel 2016 a Montevideo il Club Atletico Peñarol ha festeggiato l’inaugurazione del suo nuovo stadio: 43.000 posti a sedere, attrezzato, moderno e con un area-museo dedicata alla storia  del club più prestigioso dell’Uruguay. D’ora in poi l’Estadio Campeón del Siglo celebrerà le gesta dei calciatori i maglia giallo-nera, ricordando il legame tra questa  squadra, tra le più vincenti del sudamerica, e il Piemonte.

Il nome Peñarol , infatti, deriva da Pinerolo e lo si deve a Giovan Battista Crosa che nel 1765 arrivò a Montevideo e fondò- insieme ad altri conterranei – il quartiere che , storpiando il nome del comune situato allo sbocco in pianura della Val Chisone, nel tempo, è diventato il “barrio” Peñarol. Una storia che è diventata uno spettacolo teatrale, grazie al testo curato da Renzo Sicco e Darwin Pastorin che,  grazie ad Assemblea Teatro, anima le scene con il progetto ”Peñarol, il Piemonte d’Uruguay:storie di calcio e di emigrazione”. Pinerolo, Peñarol: due nomi identici che in due lati del mondo in continenti lontani raccontano di emigrazione, povertà, lavoro, rinascita ..e calcio! Bella storia, quella del club che assume i colori sociali giallo e nero, ispirati a quelli delle barriere delle strade ferrate, essendo molti dei suoi fondatori dei “musi neri”, macchinisti delle ferrovie uruguaiane, per lo più italiani. Un legame profondo, segnato dalle storie d’emigrazione dalle terre piemontesi verso il “nuovo mondo”, dove la passione per il calcio si confonde con la storia in una città, capitale d’Uruguay, dove nelle vene della metà dei tre milioni di abitanti, scorre sangue italiano. I pinerolesi, come tanti altri abitanti delle valli e della pianura, andavano a Genova per imbarcarsi, spesso senza conoscere l’effettiva destinazione, stipati in terza classe, a rischio di finire morti affogati quando i piroscafi cedevano alla rabbia dell’oceano, per cercare fortuna nelle “meriche”.

La passione per i “fotbaleur” , nel caso, ha fatto il resto.  Così, quello che nel 1891 era stato fondato a Montevideo come “Central Uruguay Railway Cricket Club” (CURCC), squadra di fùtbol della capitale uruguaiana,  nel 1913, cambia nome in “Club Atletico Peñarol”. In breve, questa “instituciòn deportiva” diventò presto la miglior squadra del Sudamerica, complice il ciclo del grande Uruguay che tra il 1930 ed il 1950 vinse due edizioni dei Mondiali. Quando la finale della Coppa del mondo venne giocata in Brasile, nella storica data del 16 luglio 1950, quando la “Celeste” nazionale uruguagia  sconfisse 2 a 1 la Seleção dei padroni di casa, sprofondando nella disperazione il Maracanà, il Peñarol aveva già conquistato 17 campionati d’Uruguay e forniva alla nazionale giocatori del calibro di Obdulio Varela e Juan Alberto Schiaffino, che poi venne a giocare in Italia, nel Milan. Nel biennio 1960-61 il Peñarol salì in vetta al mondo del pallone, vincendo due Coppe Libertadores (la Champions sudamericana) e una Coppa Intercontinentale. Così i “carboneros” entrarono nella storia del calcio. Nel 1966 arrivò la doppietta: Libertadores e Intercontinentale. Doppietta replicata sedici anni dopo, nel 1982. Nel frattempo arrivano altri 32 titoli nazionali, l’ultimo nel 2012-13.

Un palmares di successi impressionante, al punto da far sì che la Federazione Internazionale di Storia e Statistica del Calcio (IFFHS) nominasse il Peñarol “Club del XX° secolo del Sud America”. Ma non tutto si può ridurre ai dati numerici. La passione, la voglia di riscatto sociale, l’incrollabile fede nei colori del “Pinerolo d’Uruguay” , nel tempo, ha rappresentato un fenomeno davvero importante, legatoa  doppio filo con l’Italia. Nei primi grandi calciatori aurinegros ( gialloneri , per via del colore delle maglie) erano evidenti le tracce di italianità: le più grandi leggende del club erano figli o nipoti di italiani. Basta pensare alle prime due stelle, Lorenzo Mazzucco e Josè Piendibene Ferrari, entrambi avevano i genitori italiani. E poi Juan Alberto Schiaffino ( così scrisse di lui Eduardo Galeano: “con le sue giocate magistrali, organizzava il gioco della squadra come se stesse osservando tutto il campo dalla più alta torre dello stadio”),il centrocampista Rafael Sansone, il difensore Ernesto Mascheroni , l’istriano di nascita Ernesto Vidal, centrocampista che aveva “tre patrie ma solo una gli regalò il tetto del mondo”, il portiere Roque Maspoli e tanti altri. Una storia di scatti, rincorse e calci al pallone che continua, sull’asse della memoria che unisce i due lati del mondo, da Pinerolo al “barrio” Peñarol.

Marco Travaglini

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