On Stage Band School: bimbi e ragazzi a scuola di rock!

Al Cap 10100, in Corso Moncalieri 18 a Torino, una scuola prepara bambini e adolescenti a suonare in una band rock. I ragazzi si esibiranno domenica 16 al Blah Blah di Via Po 21, dalle 18.

Tutti abbiamo avuto un “cattivo maestro”, un insegnante fuori dagli schemi, informale, diretto e spiazzante. Sono gli insegnanti che in qualche modo riescono a sorprenderti, e il più delle volte a farti innamorare della loro materia. Il mio era quello di ora alternativa che spiegava la concezione di anima in filosofia.

Il cattivo maestro di cui parlo in questo articolo, questo il suo nome su Instagram, è in realtà un musicista torinese con pedigree lungo e blasonato. Nino Azzarà è un musicista che si muove nella Torino anni 1990, quella dei Murazzi, quando ancora si può parcheggiare in piazza Vittorio e tu, a notte ormai conclusa “scendi ancora al fiume per un altro round”. La citazione è un brano dei Mambassa, gruppo ormai sopito che ha lasciato più di un segno in città, e non solo. Ricordo Nino proprio nei Mambassa, alla “chitarra che fischia”, cosi lo aveva presentato Stefano Sardo, il cantante. E poi ricordo i Petrol, i Betty Page, sino a ritrovarlo su Instagram con numerosi progetti musicali. E tra questi, anche quello di una scuola per band rock rivolta a bambini e adolescenti.

On Stage Band School, questo il nome ufficiale, si trova al Cap10100 in Corso Moncalieri 18 a Torino. Partendo dal presupposto che “suonare insieme agli altri è molto più divertente che farlo da soli”, come recita il claim del video presentazione, i ragazzi imparano a suonare uno strumento e si esibiscono con concerti in locali cittadini. I corsi si svolgono dal lunedì al venerdì dalle 15 alle 20. Si può scegliere tra canto, batteria, chitarra, basso e tastiere, anche se si è principianti. Per informazioni e costi si può contattare il 3926946541. Il progetto comprende anche un Summer Camp, sempre al Cap10100, a partire da martedì 25 giugno (info sempre al 3926946541).

Incontro Nino in una saletta del Cap 10100 dove sta per iniziare una lezione. L’ambiente è piccolo e funzionale. L’atmosfera è quella delle sale prova grunge che si vedevano nelle interviste su Videomusic o MTV. Immaginate di tornare adolescenti, di voler mettere su una band, e invece di provare in un garage, avete l’opportunità di iniziare come fanno i veri professionisti. Qui sono strumenti ovunque, casse, microfoni e una finestra che punta dritto sulla Mole e sui Murazzi. I ragazzi non sono ancora arrivati.

Nino, com’è nata l’idea di una scuola per band rock?

Ho iniziato con un progetto chiamato House of Rock con Robbo (Roberto Bovolenta, ex Amici di Roland, El Tres). Eravamo alle Lavanderie Ramone ma il posto era troppo piccolo. Poi mi sono spostato un paio di anni al Blah Blah, e ancora 5 anni in un circolo di Piazza Nizza, ora chiuso. In passato avevo fatto l’animatore in un centro educativo di Mirafiori nord e ho scritto molti progetti incentrati sul protagonismo giovanile secondo le direttive del comune. Quando ho conosciuto Valentina Gallo (direttrice artistica del Cap10100, N.d.A), lei mi ha proposto di tornare qui dove avevo già tenuto corsi nel 2016. Poi c’è stata la pandemia, ed ora rieccoci.

E come funziona la scuola?

L’idea è quella di insegnare ai ragazzi brani semplici da suonare. Robbo ha iniziato a sperimentare questa didattica con pezzi surf rock anni ‘50 e ‘60. Io gioco sul mio terreno d’azione, partendo dai Nirvana. Qui si impara a suonare insieme. E si lavora in modo artigianale.

E fai anche corsi individuali?

Si, quanto basta per inserire i ragazzi in una band. Insegno chitarra ma anche batteria o canto nei limiti della funzionalità per suonare in un gruppo. E negli anni questo progetto è diventato una sorta di salvaguardia di una certa cultura musicale. Si impara a suonare, a stare insieme ma anche a distinguere la musica di qualità dalla musica di massa. Che se ci pensi, è un esercizio per sviluppare lo spirito critico. E passare così a temi più importanti.

Quanti anni hanno i ragazzi?

Dai 6 ai 18, e molte sono ragazze. É come se questo sia diventato terreno di emancipazione.

E come li vedi?

L’inquietudine giovanile, spesso strumentalizzata dai mass media, io la sento nei miei allievi. Faccio parte di quella generazione che ha avuto uno stop alla passione politica e civile dopo i fatti del G8 di Genova. Quello che successe portò molta disillusione verso la necessità di manifestare. Ci siamo risvegliati a metà degli anni 10 che il mondo aveva cambiato verso e oggi questo è percepito come un problema effettivo. Nei ragazzi che animavo nel 2000 non sentivo dire “andiamo alla manifestazione”. Oggi i ragazzi che si prendono l’impegno di venire qui a suonare lo sentono come avere un impegno politico. E le ragazze si rendono voce di tematiche sociali di cui discutono. Anche se per me prima si fa musica.

Chi sono i genitori di questi ragazzi?

Ci sono quelli appassionati rock che vanno ai concerti e portano qui i figli per trasmettere loro la stessa passione o magari riviverla attraverso loro. Ma ci sono anche ragazzi che hanno visto school of Rock di Jack Black e vogliono provare a suonare o ancora quelli che hanno amici qui e vogliono aggregarsi.

I ragazzi arrivano alla spicciolata. Prima Aida, la cantante, poi Carlo, un chitarrista appena entrato nella band che oggi prova per prima. Dopo un po’ arrivano Maria, che suona il basso, il chitarrista Nicola e la batterista Camilla. Formazione classica: due chitarre, un basso, una batteria. I tre ritardatari arrivano concitati, circondano il maestro e lo travolgono con le scuse del ritardo. Confessano senza mezzi giri di parole: “ci siamo fermati per un gelato”. Hanno un concerto domenica 16 a partire dalle 18 al Blah Blah, in Via Po 21, dalle 18 (biglietti a 5 euro). Il più scricciolo è proprio Camilla, la batterista. Sono cuccioli chiassosi per pochi minuti. Il tempo di prendere posto, sistemare strumenti e microfono, e iniziare le prove.

Resto colpita dalla serietà dei ragazzi ma anche dal mood rilassato e dalla loro sicurezza. Sanno perfettamente cosa fare. Si guardano, si controllano, e si ritrovano. I commenti si fanno tra un brano e l’altro. “Se ti viene bene lo stoppato, nel pezzo lo facciamo così” dice il maestro. Parte un altro brano, che però il chitarrista nuovo non conosce. E allora il maestro li ferma e propone “un brano che sappia anche lui”. Si cambia e si ricomincia. Non ci sono divismi qui. Nessun capriccio. Si lavora come fanno i professionisti seri.

Si commenta e si discute tra un brano e l’altro. Camilla alla fine di un pezzo sbotta da vera girl boss: “è orribile questo, non si può fare. Chi ha suonato prima di me, le bambine? Loro fanno un pezzo dei Green Day e si sentono fighe”. Credo sia arrabbiata per la disposizione della batteria, ma non oso disturbare. Le prove proseguono. Un brano, due chiacchiere. Un altro brano. Altre due chiacchiere. Si parla di vacanze, dissing (litigi) tra rapper, della genialità di Tupac e del fatto che forse han trovato uno dei responsabili del suo omicidio. Tupac è un musicista assassinato nel 1996. Questi ragazzi, all’epoca, non erano nemmeno nei progetti più lungimiranti dei loro genitori. Eppure si illuminano a parlare di quella musica, che poi è quella della mia generazione.

Chiedo ai ragazzi com’è il maestro. “È molto paziente”, mi dicono tutti. E Nino sorride, sornione, fiero. Aida, la cantante, mi racconta che sta prendendo lezioni individuali con lui di chitarra, ma siccome non ha lo strumento a casa, si dimentica i pezzi da una volta all’altra e lui ogni volta li rispiega. Lei e Maria, la bassista, sembrano le più timide e silenziose, ma quando provano un pezzo delle Hole, Aida attacca senza indugi ed ecco che la voce esce sicura. Ora capisco perché Nino parla di emancipazione femminile; quello che ho sempre visto come un ambiente prevalentemente maschile, il punk rock da scena live, può essere invece un ring dove far sentire la propria voce. La nostra voce, care ragazze.

In questa scuola, attraverso il rock passa la coscienza politica. Ma anche la voglia di trovarsi. Ci si allena a seguire le regole per suonare tutti insieme, e a infrangerle per arrivare in ritardo con una buona scusa. Qui si impara il senso di responsabilità verso gli altri: se salti le prove, ne fanno le spese anche i tuoi compagni. E forse anche a rompere gli schemi. E infine, chiunque può trovare il proprio posto; anche allievi con disabilità, che, evidentemente, la musica non si permette di fermare.

Ripenso al mio cattivo maestro, al liceo. Era un rocker anche lui, faceva rock progressivo negli anni 70. Aveva i jeans stretti e gli stivali a punta. Mi insegnò ad approfondire un argomento invece che a girarci attorno, a mettere in discussione sempre tutto, lui compreso. Il primo anno da lui eravamo in tre: io, Alberto F e Fabrizio G. Poi si sparse la voce e le sue lezioni divennero sempre più affollate. Filosofia e musica. O meglio: filosofia e rock. Forse dovremmo augurarci tutti di incontrare un cattivo maestro.

A proposito, qualcuno dica a Gene Simmons che il rock non è morto ma risuona in una piccola sala prove a Torino, con vista Mole e Murazzi, dove giovani musicisti non si lasciano fermare facilmente. Beh, se escludiamo i gelati.

Testo: Lori Barozzino

Foto: S.D.

On Stage Band School

c/o Cap 10100

Corso Moncalieri 18, Torino

Info: 392 6946541

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