Lucianina la saggia

Arrivato al suo diciannovesimo appuntamento, “Il bosco dei saggi”, per la penna di Paolo Griseri, continua ad annoverare nelle colonne domenicali de La Stampa – quotidiano torinese dalla lunga vita, sono ormai centocinquantasette anni, e oggi alla ricerca continua degli antichi allori, strada forse senza ritorno, solo a guardare ai tempi più recenti passata l’elefantiaca egemonia del Massimo Giannini e reimpostandosi con un impercettibile, davvero impercettibile, raddrizzamento il nuovo corso di Andrea Malaguti – “i grandi personaggi della nostra terra”.

Va bene, un ricordo che era davvero giusto rispolverare, si dice uno, un povero scombussolato lettore che tenga alle proprie radici. Tra quei sentieri che ai loro bordi hanno fronde e alberi, magari uno di quei ruscelletti che hanno tanto profumo di favola, sono passati, solo a citarne alcuni, Luciano Bonaria, “signore dei chip che salva gli aerei e il cuore”, Enrico Salza che spiega (umanamente) che cos’è il potere, Polina Bosca che vende spumante al mondo e Baldassarre Monge che da sempre riempie la bocca degli animali con la sua carne in scatola, Eugenio Borgna e l’antipsichiatria, l’incommensurabile Giorgetto Giugiaro che issa il proprio prezioso vessillo della Panda, Fulvia Quagliotti che promette di portarci su Marte, Don Ciotti a narrare come un clochard gli abbia cambiato la vita. Mica persone da poco, dico, di quelle che lasciano il segno. A lungo. Incancellabile. Poi, come un cavallo al galoppo che s’impenna all’improvviso prima di precipitarsi nel burrone, il povero lettore si ritrova a dover scoprire, domenica scorsa, che tra i saggi Malaguti &Co hanno inserito Luciana Littizzetto.

Sì, la Lucianina di fratello Fazio. Lei. Che ci educa sin dagli albori. Da quando osservava con i suoi occhioni grandi grandi quanti passavano davanti alla latteria di papà e mamma, in quel di via San Donato, seduta pensiamo ore su quel freddo gradino di pietra. Una scuola di vita per la intrattenitrice di domani. “Li scrutavo proprio, mi piaceva capire chi erano dai loro movimenti, dai loro sguardi… ho cominciato lì, su quel gradino, a capire che l’importante nella vita è accorgersi degli altri, entrare nel loro stato d’animo, nelle loro gioie e nelle loro sofferenze. Una lezione che cerco anche oggi di portare con me”. Com’è umana lei, villaggiamente. La lodevole percezione del mondo e dell’umanità. Un trattatello di filosofia quotidiana di fronte al quale la caverna di Platone o la monade di Leibnitz impallidiscono: aggiungendosi qui un’atmosfera che ti porta dritto dritto dalle parti di Madre Teresa di Calcutta. In formato rione, però. Poi inizia il viadoro del misonofattadasola, a poco a poco. Formazione e ascesa. Le prime frequentazioni dell’oratorio, la figura del prete operaio che le fa sentire un profumo che non è quello democristiano che circola in casa, la scuola delle Vallette a insegnare musica a diciott’anni con la scommessa di tener calmi degli allievi di poco più giovani, la scoperta salvavita dell’autorevolezza, l’apparizione di Minchia Sabbry e il primo cabaret, “tante sere passate a farsi le ossa”. Poi il successo, condito inevitabilmente di valter e di jolande che ammiccano ad un pubblico tivù in vena di aree sfacciate e un tantinello pruriginose, la diversità tra la platea di Fazio e quella dell’impero della De Filippi (ossequiosa, con gli occhi rivolti in basso: “sono molto grata a tutti e due perché mi aiutano a completarmi”), zigzagando su e giù lungo le angolature di “Che tempo che fa” (che la foraggiano ogni puntata di ventimila euro) e il festival di Sanremo (qui saliamo a quota 350 mila) e “Tu sì que vales” (leggi 800 mila per l’intero ciclo). Strada lunga ma tutto sommato, studiate ben bene le pietre che la lastricheranno, parecchio facile.

Scelte le corti giuste, il resto va da sé. Dove trovi il sommo della felicità – che spudoratamente ma colpevolmente io avrei detto di trovare in un area più luccicante: quando al mattino, aggirandosi come una qualsiasi massaia, avendo smesso dieci minuti prima di swifferare per casa (qui vai al capitolo introiti pubblicitari), incontra la signora rumena (leggi lapoveradiavola) che le dice “lo sa che ieri sera mi ha fatto davvero ridere?” e allora “queste sono anche le mie soddisfazioni”. Anche. Dove alla base, perché nasconderlo?, ci stanno le cento “fulairade” o le balengate che la Litti spara ogni domenica a ruota libera. Chiaramente a volte con la riequilibratura delle serietà ad incontrare l’apprezzamento generale. Sono apprezzamenti che ti ricaricano per la domenica successiva, sugli schermi della Nove (magari con qualche preoccupazione di fresca immissione: “ma se trasmigrano tutti qua, avranno poi i soldi ancora per pagarci?”, e questi potrebbero davvero essere problemi; ma lei continuerà afarsidasola e un pezzo di pane lo troverà sempre), dove magari ti attacchi alla foto della Wanda Nara dai mille appigli, a pelo o sporgenti, a cavallo d’un caval, con tanto di querela ma va bene così che tanto anche quelle oggi fanno curriculum e successo. “La bambina che stava seduta sul gradino della latteria è diventata adulta” con l’esperienza di madre a completare le righe di Paolo Griseri. Le ho scorse dall’inizio alla fine, magari anche con una buona manciata di rispetto: ma alla fine ancora mi sfugge quella ”saggezza” che dovrebbe far rientrare la Nostra di diritto tra “i grandi personaggi”. L’abitudine o la pretesa da parte di molti, oggi, di affibbiare ad un immeritevole qualcuno certe etichette di eccessivo prestigio, è uno dei mali della nostra epoca. Con il vociante seguito che ne consegue. E con la scala di valori che si dovrebbe sempre tener presente.

Con il classico modus in rebus in questi anni del tutto azzerato. Qui sono i termini “grandezza” e “personaggio” che fanno a pugni, che prendono a ceffoni quei signori citati sopra. “Capacità di seguire la ragione nel comportamento e nei giudizi; equilibrata prudenza nel distinguere il bene e il male, nel valutare le situazioni e nel decidere, nel parlare e nell’agire”, suona una definizione di “saggezza”: allora alzi la mano chi ci ritrova – ben radicata – la Litti in queste parole. Gliela avete mai vista cucita addosso una “equilibrata prudenza”? una buona dose di valutazione nel parlare? Forse il terreno delle pur svaganti balengate è per lei parecchio più fertile.

Elio Rabbione

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