La maggior parte di noi è solita attribuire le cause di una patologia, o di una sindrome, ad un batterio o un virus, al cibo indigesto, al freddo o a cause “tradizionali”; pochi pensano che l’ambiente in cui vivono possa in qualche modo essere responsabile o co-responsabile di quanto ci stia accadendo.
Da anni si è capito che lo stress, quello cattivo o distress, è in grado di indebolire il nostro sistema immunitario spianando la strada ad alcune patologie, promuovendo l’ipercloridria (produzione eccessiva di acido cloridrico nello stomaco), l’insonnia, la dispepsia (cattiva digestione) e così via.
Solo in tempi più recenti, invece, si è cominciato ad attribuire una enorme importanza alla relazione tra ambiente e genesi delle patologie; non arriveremo a parlare di epigenetica perché dovremmo parlare di DNA, istoni e mRna, ma tratterò l’aspetto sociale ed ambientale nell’insorgenza delle patologie.
Per ambiente si intendono numerosi fattori: non soltanto acqua e aria ma anche rumore, stress, relazioni con il prossimo, rapporto fra ore di luce e di buio, clima, meteo, attività fisica e altro ancora.
Sicuramente vivere in una latitudine dove per 6 mesi ogni anno vivi al buio crea enormi disfunzioni nella sintesi della vitamina D, con gravi problemi di accrescimento osseo e, per le donne in menopausa, di osteoporosi; se vivo in una metropoli dove non si hanno mai ore di totale silenzio i problemi saranno di altro genere e così via per ogni situazione che possa minare l’organismo umano; ovviamente non siamo tutti uguali, e ciò che può danneggiare una persona può risultare totalmente innocuo per un’altra.
Come sostengo spesso, l’individuo va visto nella sua totalità ma considerando la sua unicità: qualcuno necessita di almeno 8 ore di sonno, qualcun altro con 5 ore si sveglia riposato, qualcuno ha il risveglio tragico mentre altri appena svegli potrebbero correre la maratona ma dopo cena si spengono velocemente.
Come evitare, o almeno attenuare, quindi i danni? Evitando coraggiosamente tutti gli ambienti in cui non ci sentiamo a nostro agio, che provocano in noi reazioni di qualsiasi natura (cambio di abitudini intestinali piuttosto che sessuali, intolleranza ad alcuni cibi piuttosto che esantemi diffusi, irascibilità, tic nervosi) e controllo periodico almeno dei valori ematici.
Scherzando, dico che “Tutti siamo immortali fino a prova contraria”: il problema è che spesso la prova si preannunciavelatamente ma non la riconosciamo; quanti di voi, in assenza di sintomi palesi, effettua esami del sangue o dell’urina periodicamente? E mammografia/PapTest per le donne? PSA per gli uomini? Saltuariamente controllate la pressione arteriosa ed il peso? Considerate che, escludendo alcune zone della penisola, viviamo in un Paese ricco di industrie e centrali termoelettriche, dove l’agricoltura e la zootecnia ricorrono sempre più a fertilizzanti e mangimi chimici, dove i ritmi di vita (per lavoro e per svago) sono lontani da quelli ideali e dove molti medici prescrivono farmaci per curare i danni prodotti da altri farmaci, limitandosi a curare i sintomi anziché rimuovere la causa.
Le soluzioni possibili sono tre: la prima è cambiare totalmente ambiente ma pochissimi sono in grado, economicamente e culturalmente, di farlo; le altre due soluzioni, che viaggiano affiancate, sono da un lato la prevenzione, adottando uno stile ed una filosofia di vita più adatto a noi, eliminando ogni possibile situazione o abitudine che possano nuocerci e, al tempo stesso, monitorando periodicamente la nostra salute. Chi non abbia nozioni anche elementari di medicina sarà portato a non riconoscere in alcuni cambiamenti del nostro organismo il campanello d’allarme verso il nostro stile di vita, inclusi lavoro, relazione affettiva, situazione economica, liti condominiali, ecc.
Sun Tsu, stratega cinese del V sec. a.C., sosteneva che bisogna combattere soltanto le battaglie che siamo sicuri di vincere; con ciò è implicito che bisogna avere l’umiltà di ammettere che in alcuni casi potremmo riportare sconfitte clamorose. Se noi pensiamo di combattere contro i mulini a vento rappresentati dal condominio o dalla politica attuale, dall’ordinamento scolastico o dalla malasanità e ci limitiamo a lamentarci o incamerare astio, siamo i candidati giusti ad un’infinità di patologie psicosomatiche causate proprio dall’ambiente in cui viviamo.
Se le accettiamo o, ancor meglio, ce le facciamo scivolare addosso limitandoci a fare ciò che è realmente in nostro potere cercando di incanalare le energie verso qualcosa di realmente modificabile, ecco che il nostro organismo, come per miracolo, vivrà meglio in quello stesso ambiente che prima poteva esserci ostile.
Con questo non sto dicendo di praticare l’atarassia, che è tipica della schizofrenia, ma piuttosto di concentrarci su ciò che è davvero importante e il nostro organismo, non subito, non all’improvviso ma sicuramente, non ci invierà più quei segnali di SOS generati dalla nostra interazione con l’ambiente. E’ assodato che le patologie psicosomatiche, ovvero quelle che, generate dalla psiche, si manifestano con sintomi fisici sono in aumento e non certo per l’evoluzione della specie quanto, piuttosto, per il diffondersi di uno stile di vita sempre meno a misura di uomo e per l’incapacità di questo di fronteggiare gli attacchi di ogni genere che quotidianamente lo colpiscono.
L’organismo umano ha la capacità di adattarsi, ma solo nel lungo tempo; nel giro di pochi decenni abbiamo creato un ambiente ostile senza dare il tempo all’organismo di adattarsi: onde elettromagnetiche, stimoli visivi e mentali continui, aumento della sedentarietà sono solo alcuni esempi.
Nei miei seminari insegno (anche) proprio a gestire le emozioni, ad avere consapevolezza di quali messaggi ci stia inviando il corpo e, ancora più importante, cambiare l’approccio ai problemi.
Cosa vi costa provare, anziché demordere subito con mille scuse? E, soprattutto, ricordate: non c’è limite al peggio.
Sergio Motta
sergiomotta.net
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