Un trittico di mostre apre l’anno 2024 a Camera – Centro Italiano per la Fotografia

Un trittico di mostre inaugura l’anno 2024 di Camera – Centro Italiano per la Fotografia, esposizioni dedicate a grandi maestri della fotografia internazionale. Dalle immagini della guerra civile spagnola a un grande progetto artistico nella Milano del boom economico, passando attraverso i paesaggi del Piemonte rurale.

La prima mostra intitolata “Robert Capa e Gerda Taro: la fotografia, l’amore, la guerra” ha il suo fulcro nella guerra civile spagnola, momento cruciale della storia del XX secolo, e nel rapporto professionale e sentimentale tra Robert Capa e Gerda Taro, tragicamente interrottosi con la morte della fotografa avvenuta nel 1937. Fuggita lei dalla Germania nazista, lui emigrato dall’Ungheria, Gerta Pohorille e Endré (poi francesizzato André) Friedmann (questi i loro veri nomi), si incontrano a Parigi nel 1934. L’anno successivo nasce il loro sodalizio artistico-sentimentale, che li porta a frequentare i “caffè” del quartiere latino e a impegnarsi nella fotografia e nella lotta politica. In una Parigi in gran fermento, invasa di intellettuali e artisti da tutta Europa, Gerta si inventa il personaggio di Robert Capa, ricco e famoso fotografo americano approdato da poco nel continente, alter ego con il quale André si identificherà con il resto della sua vita. Anche Gerta cambia il suo nome e assume quello di Gerda. L’anno decisivo per entrambi è il 1936, quando raggiungono Barcellona per documentare la resistenza repubblicana.

Prima di approdare in Spagna, Robert fotografa le elezioni a Parigi, la vittoria del Fronte Popolare, gli scioperi e le manifestazioni, pubblicando alcuni servizi sulla stampa francese. A inizio agosto del 1936 raggiungono Barcellona per documentare la resistenza repubblicana, e nei mesi successivi ritornano in Spagna più volte, insieme o singolarmente.

La mostra si conclude con la morte di Gerda, avvenuta sul fronte spagnolo, a Brunete. Negli anni successivi, Robert Capa viene riconosciuto come il più grande fotoreporter della storia, ma è accanto a lei che la sua leggenda inizia. È proprio del 1936 lo scatto leggendario di Capa rappresentante “Il miliziano colpito a morte”, mentre Gerda Taro scatterà la sua immagine più iconica ne “una miliziana in addestramento” con la pistola puntata e scarpe con i tacchi, da un punto di vista inedito della guerra fatta e rappresentata da donne.

L’intensa stagione fotografica, guerra e amore di questi due straordinari personaggi è narrata nella mostra di Camera, curata da Walter Guadagnini e Monica Poggi, attraverso le fotografie di Gerda Taro e Robert Capa, nonché grazie alla riproduzione di alcuni provini della celebre “valigia messicana”, contenente 4.500 negativi scattati in Spagna dai due protagonisti della mostra e dal loro amico e sodale Davide Seymour, detto Chim. La valigia, di cui si persero le tracce nel 1939, quando Capa la affidò a un amico per evitare che i materiali venissero distrutti o sequestrati dalle truppe tedesche, è stata ritrovata alla fine degli anni Novanta a Mexico City, permettendo l’attribuzione corretta di una serie di immagini di incerta provenienza.

La seconda mostra è una personale dedicata a Michele Pellegrino, intitolata “Michele Pellegrino. Fotografie 1967 – 2023”, curata da Barbara Bergaglio, si compone di 50 immagini del fotografo nativo di Chiusa di Pesio nel 1934. Un’essenziale antologica del suo percorso creativo, tra montagne, ritualità, volti e momenti del mondo contadino che narrano la passione per la sua terra e per la fotografia. La mostra si compone di cinque sezioni che costituiscono una sintesi del lavoro dell’autore nel corso della sua lunga attività professionale e artistica: Esodo, Storie di uomini e di montagne, Visages de la contemplation, Scene di matrimonio, Le nitide vette e Langa.

La prima sezione contiene reportage realizzati negli anni Settanta dal fotografo tra le valli cuneesi, ritratti di abitanti, mezzadri, margari, uomini, donne, bambini e anziani vissuti in condizioni durissime che hanno portato all’abbandono della montagna e alla ricerca di una vita migliore a valle. Con “Visages de la contemplation” si entra nel progetto artistico dedicato al tema della clausura. Pellegrino indaga questa realtà nascosta in cui viene ammesso gradualmente, conquistando fiducia e riuscendo a entrare attraverso il passaparola, all’interno di abbazie e conventi italiani e francesi. “Scene di matrimonio” nasce dai servizi fotografici di nozze durante i quali, oltre alle fotografie ufficiali, il fotografo fissa sulla pellicola momenti dei preparativi e della festa, colti con simpatia e un pizzico di ironia. Siamo negli anni Cinquanta, ed egli ritrae la bella sposa fiera del suo abito, i camerieri sull’attenti, le damigelle in attesa, le coppie felici e i gruppi di famiglia dalla significativa prossenica. Le fotografie dedicate alla montagna sono proposte nella sezione “Le nitide vette”, frutto di pazienti attese e lunghi appostamenti per cogliere la luce migliore nel momento giusto, mentre altri scatti sono stati realizzati “al volo”. Langa è la sezione dedicata a un territorio molto noto, attraversi poche e intense immagini lontane dagli stereotipi attuali.

La terza mostra è quella dedicata a Ugo Mulas, che ha fotografato l’opera realizzata nel 1961 da Saul Steinberg, una straordinaria decorazione a graffito dell’atrio della palazzina Mayer, a Milano. Si trattava di un lavoro importante che seguiva altre analoghe imprese compiute dal grande illustratore nel decennio precedente. Per aiutare Mulas nel suo lavoro, Steinberg redige un breve testo che spiega l’iconografia e il senso dell’opera, e decide per la prima e unica volta di lavorare sull’intonaco fresco, popolando i muri di personaggi e allegorie che affondano le proprie radici nella vita personale dell’artista. I graffiti andarono distrutti e le fotografie di Mulas rimangono l’unica testimonianza del lavoro di Steinberg.

 

Camera – Centro Italiano per la Fotografia, via delle Rosine 18, Torino

www.camera.to

 

Gian Giacomo Della Porta

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