“Guercino. Il mestiere del pittore”, dal 23 marzo al 28 luglio nelle Sale Chiablese di Torino

Mentre ancora da noi – a Torino, luogo scelto e deputato – tutto tace, in attesa di un’esplosione che a suo tempo ci dia il giusto merito (“valorizzare un patrimonio che è proprio dei Musei torinesi”, “di prima fascia” è stato tra l’altro ribadito, nucleo d’eccellenza di una corte che con avveduta attenzione amava raccogliere e circondarsi di quella che era l’arte “contemporanea”), già si sono accese le luci, con le due conferenze stampa, a Roma presso il Ministero della Cultura e a Milano nelle sale di Palazzo Litta, sulla mostra intorno alla figura del “Guercino. Il mestiere del pittore” che dal 23 marzo sino al 28 luglio occuperà gli ambienti cittadini di palazzo Chiablese. Una mostra che vuol essere un giusto inserimento nella grande attenzione come negli studi sempre più approfonditi in questi ultimi anni sulla figura dell’artista nato a Cento nel 1591 (morirà a Bologna settantacinquenne), per tacere delle mostre recenti di Madrid e di Francoforte e di quella felice riscoperta che è la riapertura della Pinacoteca Civica della sua città natale. Un fermento, una figura importante dell’arte seicentesca, un “maestro” cui più di altri si deve collegare il termine “mestiere”, un omaggio che vedrà allineate più di cento opere, un preciso “affresco del sistema dell’arte”, una suggestiva proposta dei Musei Reali di Torino – con Direttore avocante Mario Turetta, Segretario Generale del Ministero della Cultura -, un’importante organizzazione dovuta (e prodotta) da CoopCulture (era presente a Milano, lo scorso venerdì, Federica Bianchi, Regional Manager Piemonte) con Villaggio Globale International (con la presenza della consigliera Nicoletta Buffon).

Più di cento opere tra le quali sono comprese alcune di artisti coevi, i Carracci, Guido Reni, il Domenichino, l’importante nucleo delle collezioni sabaude che incontra i prestiti di trenta musei e collezioni – tra cui il Prado e il Monastero di San Lorenzo dell’Escorial – e che per la prima volta, dopo 400 anni, riunifica altresì il ciclo di dipinti commissionati al pittore a Bologna da Alessandro Ludovisi, futuro papa (dal febbraio 1621 alla morte avvenuta nel luglio di due anni dopo) e squisito quanto accanito mecenate, fautore di committenze e di compensi non indifferenti. Un percorso che vuole essere un evento unico e spettacolare, curato da Annamaria Bava dei Musei Reali e da Gelsomina Spione dell’Università di Torino, in perfetta compartecipazione con un prestigioso comitato scientifico, cui partecipano Daniele Benati, David Garcìa Cueto, Barbara Ghelfi, Francesco Gonzales, Fausto Gozzi, Alessandro Morandotti, Raffaella Morselli e Sofia Villano. Tutti d’accordo nel lavorare partendo dalla figura dell’artista per allargare il panorama alla professione del pittore a quel tempo, sottolinea ancora Annamaria Bava, ovvero focalizzare lo sguardo e l’attenzione dello studioso, del visitatore e dell’appassionato alle sfide del mestiere, ai sistemi di produzione, all’organizzazione della bottega, alle dinamiche del mercato e delle committenze, ai soggetti più richiesti. Svelare la quotidianità attraverso l’epistolario e la ricca documentazione lasciata, l’importanza del suo “Libro dei conti”, gli incontri con amici e agenti e mercanti, gli intermediari che coinvolgevano l’artista e i tanti committenti pronti a riconoscere la sua arte, borghesi, nobili, pontefici e prelati, sino alle prestigiose corti europee, curiosare nel prezzario pronto a distinguere tra una figura soltanto e le molte che s’imponessero ad affollare una tela, tra una mezza figura e una piccola testa, le piccole e sempre presenti problematiche di ogni opera terminata, come l’imballaggio, l’eventuale arrotolamento della tela, i deprecabili danni, l’arrivo a destinazione.

Gran disegnatore e felicissimo coloritore: è mostro di natura e miracolo da far stupire chi vede le sue opere. Non dico nulla: ei fa rimaner stupidi li primi pittori”, ebbe a scrivere nell’ottobre del 1617 Ludovico Carracci in una lettera a Don Ferrante Carli. Questo “miracolo da far stupire” verrà confermato dalle curatrici in un approfondito percorso suddiviso in dieci sezioni: “Come si forma un pittore: il confronto con i maestri”, non soltanto l’apprendistato all’interno della bottega di un maestro più vecchio ma anche il luogo dove Giovanni Francesco Barbieri (questo il suo vero nome: il soprannome gli venne in giovanissima età, per lo strabismo dell’occhio destro colpa del gesto di un tale che, messosi a urlare all’improvviso, svegliò di soprassalto il piccolo che dormiva e che cominciò a stralunare gli occhi, finché il destro si bloccò in quell’accidente che lo avrebbe segnato per tutta la vita) viveva, quella Cento che è a metà strada tra Bologna e Ferrara, la prima con i suoi maestri, l’altra con il grande modello cinquecentesco di Dosso Dossi, habitat ampliato con il viaggio a Venezia che il pittore compì nel 1618, trovandosi a confronto con le opere della stagione cinquecentesca dei Tiziano, dei Tintoretto e dei Veronese; “Rappresentare la realtà: il paesaggio”, con gli esempi di una ricca produzione, se è vero, come attesta il biografo Cesare Malvasia, che Guercino disegnava in ogni momento della giornata, anche la sera dopo la cena, quando s’intratteneva con i familiari; “Da allievo a maestro: l’Accademia del nudo”, un’istituzione in proprio, nel 1616, due stanze messe a disposizione dall’amico Bartolomeo Fabbri, che vede la partecipazione di parecchi giovani, e “L’affermazione del pittore: viaggi, relazioni e committenze”, l’arrivo a Cento di Antonio Mirandola, eccellente promotore, i contatti con i Ludovisi e la protezione, il soggiorno a Roma, con il “Libro dei conti” a renderci conoscenza dei tanti, appartenenti alle differenti classi sociali, pronti a commissionargli opere. E poi ancora: “Nella bottega dell’artista: natura e oggetti in posa”, “Il processo creativo: L’invenzione, la riproposizione dei modelli, l’organizzazione della bottega”, uno sguardo affascinante sopra l’intero lavoro preparatorio delle varie tele (si pensi solo che il Guercino, “d’applicazione indefessa”, per la pala della “Vestizione di san Guglielmo”, oggi a Bologna, realizzò ben 23 disegni), “Il mercato e il prezzo delle opere”, dove ancora ci viene in aiuto il diario giornaliero delle entrate, una redazione che fu sino alla morte (nel 1649) compito del fratello Paolo Antonio e che poi Giovanni Francesco curò di persona sino al 1666, “Il mondo intorno al pittore: scienza vs magia”, “Il gran teatro della pittura” dove al centro si pone lo squillare del Barocco e il pieno coinvolgimento dello spettatore. “Un tema di successo: Sibille e “Femmes fortes”, infine, dove attraverso i nomi di Reni e di Domenichino, di Elisabetta Sirani e di Guercino appunto, si immortala il tema iconografico delle Sibille, coniugando con vivaci composizioni e nuove formule inventive, in un misto “di pudore e sensualità, di chiarezza e di mistero”, l’enigma della profezia e della gioventù intrecciata alla bellezza, il tema dell’arcaico a quello esotico.

Frammento non ultimo della importanza della mostra, le Giornate internazionali di studio promosse il 7 e 8 maggio dai Musei Reali e Università di Torino – Dipartimento Studi Storici, occasione necessaria per chi vorrà meglio conoscere e approfondire la figura del grande artista di Cento.

Elio Rabbione

Nelle immagini: Guercino, “autoritratto”, 1630-1632, Londra, Schoeppler Collection; Guercino, “Il ritorno del figliol prodigo, Torino, Musei Reali – Galleria Sabauda; Guercino, “Susanna e i vecchioni”, Madrid, Museo del Prado; Guercino, “Sibilla Persica”, 1647, Roma, Musei Capitolini – Pinacoteca Capitolina

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