In prima nazionale nel rinnovato Alfieri, repliche ancora stasera e domani
È pensato e realizzato in grande “Cabaret” che nei giorni scorso ha avuto il suo debutto nell’elegantemente rinnovato teatro Alfieri torinese. È pensato e realizzato in grande nella produzione del Fabrizio Di Fiore Entertainment come nella regia firmata a quattro mani da Arturo Brachetti e Luciano Cannito (sue anche le coreografie) che hanno costruito il privato e il divertimento del Kit Kat Klub – nel doppio piano della scenografia firmata da Rinaldo Rinaldi (il vagone di un treno e una vecchia stazione, una camera d’albergo di poverissime pretese, un negozio di frutta e verdura, le luci dello spettacolo nel più trasgressivo dei locali della Berlino d’inizio anni Trenta; e poi la grandezza di una città, lassù dove trova posto l’orchestra dal vivo) – con un invidiabile ritmo, con il divertimento che non tralascia lo spazio ai momenti di una tragedia che sta per esplodere, ai sogni e al loro infrangersi contro una realtà troppo amara e dolorosa, alle passioni, alla spensieratezza, alla libertà anche sessuale che invadevano quegli anni: arrivando oggi “Cabaret”, diremmo, a proposito, nel filtrare le atmosfere che ci circondano e di cui ogni giorno siamo spinti a guardare.
Il film omonimo di Bob Fosse (otto Oscar su dieci candidature nel ’73) ci ha insegnato l’ascesa e la caduta della spericolata Sally Bowles, cantante di quel locale, e di Cliff Bradshaw, scrittore americano di molte idee e di poca fortuna, ridotto nel suo soggiorno nella capitale tedesca (“Willkommen”) a pensare di fornire lezioni d’inglese, altroché il grande romanzo!, dietro cui il romanziere Christopher Isherwood con molte libertà nascose se stesso, anche lui ospite della sorta Repubblica di Weimar a raccogliere materiali di vita e di esistenze che convoglieranno in seguito in “I am a Camera” e “Addio a Berlino”. Un amore che nasce e sembra eterno, incosciente e solido, mentre tutto sembra votato al piacere e alla spensieratezza, al successo (“Money Money”), mentre iniziano a comparire le nubi del nuovo regime, la Notte dei lunghi coltelli e l’affidamento del Cancellierato al futuro dittatore, mentre le prime squadre prendono a intonare “Il domani appartiene a noi”, come suona il titolo di una delle più belle canzoni del musical (e uno dei momenti di più tragica poesia del film; le musiche sono di John Kander, le parole di Fred Ebb, il libretto di Joe Masteroff). Sally continuerà a costruire e a sperare in una carriera di cantante all’interno del club, perché la vita dopo tutto é un grande “Cabaret”, Cliff tornerà in America, una vera fuga, come in quegli anni abbandonavano e fuggivano il mondo tedesco maestri del cinema come Billy Wilder e Otto Priminger, Robert Siodmak e Fritz Lang, Fred Zinnemann e Max Ophüls, senza la speranza di ritornarvi. Era un mondo che offendeva gli angoli anche appartati e semplici degli affetti privati, come quelli dell’affittacamere Fraulein Schneider e dell’anziano Herr Schultz, un ebreo ancora orgoglioso di essere tedesco: anche per loro un tempo breve di affetti e il doveroso distacco, di fronte ad un futuro più che incerto.
Brachetti credo si sia ritagliato maggiormente i momenti del Kit Kat Klub, con i suoi numeri di Maestro delle Cerimonie, il vulcanico Emcee. Coordina, canta, commenta, chiama il pubblico (di oggi) a testimone, intenso e vero motore di quell’angolo di decadenza. Brevi e più ampi momenti in cui non ha rinunciato ad essere Brachetti, regalando ancora una volta quei flash di trovate – è sufficiente un cambio velocissimo, un abito che appare inspiegabile, uno stupore, una smorfia, una trovata mai superflua, trova anche lo spazio per citare quel nanerottolo del suo fuhrer con un mappamondo, in preciso memento chapliniano – che ce lo fanno ad ogni occasione apprezzare. Ha alle spalle quel mostro sacro di Joel Grey (che si guadagnò l’Oscar come migliore attore non protagonista nel film di Fosse) e parecchi altri: ma il suo sberleffo, i suoi grumi di cattiveria e di diabolico, la sua gran capacità di condurre il gioco sino in fondo, sino a mostrarsi come un prigioniero pronto a entrare tra la nebbia di una camera a gas, un vecchio pastrano addosso e una fascia gialla (di ebreo) e una rosa (di omosessuale), ne decretano il pieno successo. Se lasciamo a Luciano Cannito la supervisione dell’alternarsi e dell’amalgamarsi delle vicende, quei momenti più intimi che potrebbero affaticarsi di troppi sentimentalismi e che al contrario ne sono tenuti fuori dallo sguardo disteso sulla realtà, se diamo a lui e ai suoi collaboratori l’efficace trasposizione italiana dei testi, ottima, sinceramente udibile, semplicemente quotidiana, laddove in altri musical si è incappati in nuovi testi per molti versi stonati e ridicoli, allora il successo è completo. Diana Del Bufalo combatte, pure lei, contro un altro mostro sacro che si chiama Liza Minnelli. Non puoi non “rivedere” certi occhioni sgranati, certi numeri perfetti, certe scene che da cinquant’anni ti stanno nella memoria: ebbene, ad una delle (poche) repliche a cui ho assistito, la sua Sally se la è costruita a poco a poco, piena di grinta, sempre più con ricchezza di particolari, caparbietà, leggerezza, sfrontataggine, humour e vagonate d’affetto, il continuo e disperato voler chiudere gli occhi dinanzi alla tragedia che avanza. Costruzione che sfocia in una personalissima versione di “Cabaret”, travolgente.
Ma tutti quanti, e non è davvero la frase che parecchie volte si sforna per il dovere di non dimenticare nessuno, sono dei necessari quanto autoritari tasselli nella storia. Christine Grimandi, bella prova d’interpretazione e di voce, e Fabio Bussotti, la coppia d’attempati innamorati, il Cliff di Christian Catto, le sortite a sfondo pubblicitario/erotico di Giulia Ercolessi, giovane signorina Kost che ha un forte debole per i marinai, ballerine e ballerini che entrano ed escono a riempire letteralmente di bravura l’intero palcoscenico. Ultime repliche torinesi stasera (ore 20,45) e domani domenica 15 (ore 16), poi una lunga tournée attraverso lo stivale. Un successo.
Elio Rabbione
Nelle immagini: Diana Del Bufalo e Arturo Brachetti principali interpreti; un momento dello spettacolo.
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