Oltre Torino: storie miti e leggende del torinese dimenticato
È l’uomo a costruire il tempo e il tempo quando si specchia, si riflette nell’arte.
L’espressione artistica si fa portavoce estetica del sentire e degli ideali dei differenti periodi storici, aiutandoci a comprendere le motivazioni, le cause e gli effetti di determinati accadimenti e, soprattutto, di specifiche reazioni o comportamenti. Già agli albori del tempo l’uomo si mise a creare dei graffiti nelle grotte non solo per indicare come si andava a caccia o si partecipava ad un rituale magico, ma perché sentì forte la necessità di esprimersi e di comunicare. Così in età moderna – se mi è consentito questo salto temporale – anche i grandi artisti rinascimentali si apprestarono a realizzare le loro indimenticabili opere, spinti da quella fiamma interiore che si eternò sulla tela o sul marmo. Non furono da meno gli autori delle Avanguardie del Novecento che, con i propri lavori “disperati”, diedero forma visibile al dissidio interiore che li animava nel periodo tanto travagliato del cosiddetto “Secolo Breve”. Negli anni che precedettero il primo conflitto mondiale nacque un movimento seducente ingenuo e ottimista, che sognava di “ricreare” la natura traendo da essa motivi di ispirazione per modellare il ferro e i metalli, nella piena convinzione di dar vita a fiori in vetro e lapislazzuli che non sarebbero mai appassiti: gli elementi decorativi, i “ghirigori” del Liberty, si diramarono in tutta Europa proprio come fa l’edera nei boschi. Le linee rotonde e i dettagli giocosi ed elaborati incarnarono quella leggerezza che caratterizzò i primissimi anni del Novecento, e ad oggi sono ancora visibili anche nella nostra Torino, a testimonianza di un’arte raffinatissima, che ha reso la città sabauda capitale del Liberty, e a prova che l’arte e gli ideali sopravvivono a qualsiasi avversità e al tempo impietoso. (ac)
Torino Liberty
Articolo 2. Torino, capitale italiana del Liberty
In seguito all’Esposizione Internazionale delle Arti Decorative del 1902 a Torino, gli artisti e i professionisti presenti ebbero l’opportunità di conoscere e visionare i più rappresentativi esempi di Art Nouveau, firmati proprio dai migliori esponenti della corrente artistica di tutto il mondo. Successivamente a tale avvenimento e grazie alla presenza sul territorio di abilissimi architetti e assai preparati ingegneri, che potevano contare su una ricca classe borghese e imprenditoriale, la città sabauda si trasformò in un immenso cantiere di sperimentazione stilistica, che in circa trent’anni portò alla realizzazione di un gran numero di edifici appartenenti alle più svariate tipologie, sia industriale che residenziale, dai palazzi destinati all’istruzione o al culto, fino ad alcuni esempi di arte funeraria. Gli artisti torinesi interpretarono il Liberty con originalità e maestria, rivisitando le scuole dell’Art Nouveau, da quella franco-belga a quella austro-tedesca, con occhio personale e mai scontato. Torino, ancora oggi nota per le grandi architetture barocche dei palazzi nobiliari e delle celebri residenze sabaude, vede affermarsi dunque, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, una nuova corrente artistica, meglio conosciuta come “Liberty”. Di questo stile, Torino presenta numerose testimonianze di pregio, al punto da essere considerata la capitale del Liberty italiano.
Sul piano prettamente estetico il Liberty affronta l’eterno problema del “bello”, ovvero l’ideale di un “socialismo della bellezza” inteso come diffusione e messa a disposizione di prodotti artistici presso una sempre più vasta porzione di cittadinanza, nelle più disparate applicazioni, verso un’unica adesione ad un’estetica condivisa, che ha nella natura il suo inizio e la sua fine. Grazie allo sviluppo industriale e agli interventi urbanistici in varie zone della città, il Liberty si impose elegantemente nelle linee architettoniche di interi quartieri, dalla Crocetta alla Gran Madre, da Cit Turin a San Donato. In ogni spazio edificato all’inizio del secolo scorso su impulso della nuova borghesia industriale, vi è la chiara impronta dell’originale stile artistico europeo, di cui ancora oggi possiamo ammirare l’elegante armonia architettonica.Passeggiando per Torino, con lo sguardo attento ai palazzi più rappresentativi, che si stagliano netti ed eleganti per le vie della città, non si può fare a meno di rimanere estasiati e ammirati di fronte alla raffinatezza espressiva di alcuni edifici, dalle linee flessuose e curve, dai tratti “morbidi” delle facciate, che ancora ci sorprendono per la loro piacevole bellezza architettonica. Osserviamo tetti insolitamente ricchi, vetrate che catturano la luce riflessa in colori pastello, tettoie con strutture in ferro-vetro, dettagli di balconi dalla ringhiera incurvata, dove l’alternanza vuoto-pieno sottolinea vitalità e dinamismo. E poi portoni, mancorrenti, finestre con finezze di particolari, festoni e fregi che richiamano la grazia della natura mediante la riproduzione di piante, foglie, tralci, fiori, tutta una leggiadria di forme che sembrano quasi nascondere e tacitare il peso del litocemento. E poi ancora la riproduzione di rampicanti che, sviluppandosi in altezza, sanno dare un tocco di levità ai palazzi, arricchiti anche da conchiglie, sirene, animali araldici, curiosi ghirigori. Ogni edificio mantiene una propria impronta particolare, ma, nel richiamarsi alla nuova linea floreale, la sa esaltare in strutture di spettacolare bellezza, come il flessuoso e morbido bovindo, bow-window, che nell’inglese antico significa “finestra ad arco”, ed è, nell’edificio, la parte di un ambiente aggettante verso l’esterno, come un balcone chiuso da vetrate.
L’ingegnere Pietro Fenoglio, il più grande architetto torinese di questo stile, ne ha realizzati numerosissimi in città, e in forme assai diverse, rettangolari, ovali, quadrate, circolari, cilindriche. A mezza altezza tra la strada e il tetto, il bovindo, anche solo di un metro quadrato o poco più, è una magnificenza costruita sulla facciata, dove la fantasia creativa ben si accompagna al tratto fluido e morbido, alla varietà e all’inventiva. E così, nella malinconica Torino gozzaniana che mi piace ricordare (Come una stampa antica bavarese/vedo al tramonto il cielo subalpino…/Da Palazzo Madama al Valentino/ ardono l’Alpi tra le nubi accese…/ E’ questa l’ora antica torinese,/ è questa l’ora vera di Torino…), trovano spazio architetture quasi gioiose, dove il rosso del mattone ben si accorda al grigio chiaro del litocemento. In una perfetta costruzione armonica, ogni più piccolo particolare è studiato con cura, e i ferri battuti delle ringhiere dei balconi a volte differiscono volutamente per qualche minimo dettaglio, che solo una disamina attenta riesce a cogliere, e anche gli androni, le scale, i mancorrenti sono originali e costruiti ad arte. Nello stile floreale gli ornamenti fanno parte della costruzione complessiva, non sono elementi puramente accessori, quasi in aggiunta, al contrario prendono, per così dire, vita dalla bellezza dell’insieme. Improntati allo stile Liberty, Torino presenta non solo un gran numero di case e villini, ma anche stabilimenti industriali, uffici pubblici e scuole, disseminati nei vari quartieri della città, la Crocetta, San Donato, il Centro, San Salvario, la Gran Madre, Cit Turin.
Di certo è stata troppo breve l’ingenua e ottimistica stagione Liberty, ben presto l’abilità tecnica si concretizzò negli orrori della guerra e la realtà drammatica che si andò delineando portò a una diffusa sfiducia nei confronti dell’arte come materia salvifica. La bellezza dunque non è più né ricercata né indagata, la “funzione” prevale sulla “forma” e la violenta modernità si manifesta con canoni antitetici rispetto agli ideali dell’Art Nouveau. Il tempo della natura e dei suoi mirabolanti ghirigori viene schiacciato dal suono devastante delle bombe e delle grida del primo conflitto mondiale.
Alessia Cagnotto
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