La Polizia di Stato ha eseguito numerose ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal Tribunale di Torino, su delega della Procura della Repubblica di Torino, nei confronti di un gruppo di cittadini nigeriani sospettati di appartenere al sodalizio criminale di stampo mafioso denominato “EIYE”.
I provvedimenti restrittivi sono stati disposti all’esito di lunghe e complesse indagini e hanno riguardato complessivamente 16 persone, delle quali 11 sono state rintracciate sul territorio nazionale.
Per la realizzazione della fase esecutiva, sono stati impiegati complessivamente oltre 100 uomini della Polizia di Stato, con l’utilizzo di Reparti di rinforzo del controllo del territorio. Oltre alla Squadra Mobile di Torino, l’attività ha coinvolto anche gli omologhi uffici delle Questure di Cuneo, Varese, Bergamo e Livorno.
Secondo l’ipotesi d’accusa i provvedimenti cautelari riguarderebbero personaggi sospettati di rappresentare il vertice del livello nazionale dell’organigramma, direttamente incaricato delle nuove affiliazioni e della gestione dello spaccio di sostanze stupefacenti nelle varie piazze cittadine.
Le indagini hanno consentito la raccolta di rilevanti indizi in grado di suffragare l’ipotesi dell’esistenza e dell’incidenza sul territorio del capoluogo piemontese del cult degli EIYE, grazie alle evidenze emerse sia dalle intercettazioni che dalle testimonianze di alcune persone, appartenenti alla comunità nigeriana di Torino.
Tali acquisizioni sarebbero idonee a dimostrare, secondo l’ipotesi d’accusa, come l’organizzazione indagata venga percepita dalla comunità di riferimento come connotata da un carattere “mafioso” che, maturato nello Stato di origine, risulterebbe ormai noto ai nigeriani anche al di fuori della loro terra, i quali ben ne conoscono le peculiarità e il modus operandi in patria, che rendono i membri notoriamente pericolosi e violenti, tendenti a imporre con la forza la propria volontà.
Le attività investigative, avviate nel marzo del 2019, si sono sviluppate attraverso attività tecniche di intercettazione, nonché articolati e dinamici servizi di diretta osservazione e pedinamento sul territorio, e hanno consentito di individuare coloro che, secondo l’ipotesi accusatoria, rappresenterebbero i vertici nazionali del cult, in costante e diretto contatto con i leader operanti in Nigeria.
Le indagini hanno permesso altresì di ricostruire nel dettaglio la struttura del sodalizio criminale che, secondo gli elementi raccolti, appare caratterizzato da un’organizzazione gerarchica piramidale, che si qualificherebbe per la presenza di un organismo operante a livello nazionale e di numerose articolazioni locali, attive in singole città italiane. La struttura nazionale risulterebbe dotata di un’organizzazione verticistica che vede al proprio apice un “World Ibaka”, detentore del potere esecutivo, il quale godrebbe, sempre in ipotesi di accusa di prestigio internazionale ed è in contatto con l’organismo madre in Nigeria. Risulterebbe suddivisa in sezioni provinciali o locali chiamate “Zone”, ma loro volta guidati da un “Zona Head”.
L’attività tecnica ha documentato, come già emerso in precedenti investigazioni ed attestato in sentenze definitive emesse a carico di analoghe consorterie nigeriane, l’esistenza di una struttura organizzativa, connotata da un insieme di regole di condotta, violenti riti di affiliazione, l’uso di un linguaggio esclusivo tra i membri (finalizzato a rendere meno permeabile il contenuto dei dialoghi e a rafforzare il senso di appartenenza tra i sodali), la divisione in ruoli e cariche corrispondenti a precise funzioni, l’intimidazione ed il ricorso alla violenza fisica in caso di trasgressione delle norme comportamentali proprie dell’ organizzazione.
La solidità della struttura è risultata chiaramente un elemento distintivo della consorteria criminale investigata, che avrebbe posto solide radici in numerose regioni d’Italia.
Come tutte le confraternite nigeriane, vi sono elementi per ritenere che gli EIYE abbiano i loro segni distintivi: come simbolo un uccello, talvolta raffigurato mentre stringe tra gli artigli un teschio umano, mentre il colore abitualmente indossato è il blu.
Secondo l’ipotesi d’accusa, sono stati raccolti significativi indizi di colpevolezza a carico dei sodali: in base alle risultanze dell’indagine, il Tribunale di Torino ha disposto la misura della custodia cautelare in carcere a carico di sedici persone, contestando, oltre al reato di associazione per delinquere di stampo mafioso (art. 416 bis c.p.), i delitti di rapina, estorsione, lesioni e reati in materia di stupefacenti.
Vi sono gravi indizi per ritenere che l’organizzazione investigata presenti tutti i caratteri di un’associazione di tipo mafioso, poiché connotata, anzitutto, da una precisa struttura gerarchica con ruoli e cariche ufficiali, a cui corrispondono compiti ben precisi. Le affiliazioni, secondo quanto ricostruito dalle indagini svolte, risultano caratterizzate da atti violenti e rigidi rituali, che si traducono in un serio e concreto pericolo per la stessa vita degli aspiranti affiliati, che vengono sottoposti ad azioni brutali, all’esito delle quali manifestano l’accettazione del codice comportamentale dell’associazione e la loro fedeltà indiscussa. Altrettanto spietate, secondo l’ipotesi di accusa risulterebbero le conseguenze previste in caso di violazione delle regole dell’organizzazione, che si traducono in sanzioni corporali talmente efferate da sfociare talora in tentativi di omicidio. Gli elementi raccolti evidenziano inoltre come la violenza appare essere lo strumento di comunicazione privilegiato per affermare la forza dell’organizzazione sul territorio e creare lo stato di soggezione necessario per accrescere il proprio potere. Altro elemento che risulta dalle indagini è la capacità dell’organizzazione di autofinanziarsi, mediante il contributo dei sodali, strumentale anche al mantenimento economico degli affiliati detenuti, come tipico pure delle consorterie mafiose italiane.
Sulla piazza torinese, gli elementi indiziari raccolti indicherebbero che il cult EIYE controllava e gestiva il commercio su strada di sostanze stupefacenti in alcune aree individuate; in particolare, corso Vigevano e piazza Baldissera, e più genericamente la zona della stazione ferroviaria di “Dora”.
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