Diario minimo urbano…Vedere e ascoltare per credere
Qualche volta mi capita. Qualcuno sorriderà di questo vecchio rincitrullito che gira antiche strade e quartieri di periferia per rivivere il suo passato. La sua adolescenza. La sua giovinezza. Ridete pure. Ma a me capita e non smetterò di farlo. Mi capita, soprattutto, nei momenti di malinconica nostalgia. E ne capitano, credetemi! Nostalgia di strade, di palazzi, di volti, di storie. Di un passato capace per un’oretta di ripulire, almeno in superficie, il presente. E allora vado nei luoghi della città che mi hanno visto bambino, nella rincorsa a spezzoni di vita mai rimossi, nella ricerca (quasi impossibile) di nomi sui citofoni che erano nomi di vecchi compagni di classe finiti oggi chissà dove, di cortili dove si correva e si giocava a pallone con quel che restava di scolorite maglie bianconere o di color granata, di quell’Oratorio che era casa sicura dominata dalla benevola figura dell’indimenticabile don Costantino da Bra, della scuola dei grandi Padri Rosminiani, per arrivare fino alla via Spano, con affaccio di fronte al vecchio “Fialadelfia”, quando già frequentavo l’Università. Giro, osservo, scruto i particolari (le facciate dei palazzi, le scale e gli interni se possibile, le finestre, i balconi un tempo miei) che fanno memoria e sorrido. O m’intritisco ancor di più . Ma tant’é. Così, pochi giorni fa, ci sono ricascato. Eh sì, mi è saltato lo sghiribizzo di ritornare alle Vallette. Via delle Magnolie. Lì son tutti nomi di fiori. Manco se … Volevo rivedere la vecchia scuola dove avevo insegnato da fine anni ’70 fino all’ ’89, e dove sono passato di ruolo come docente di Materie Letterarie. La “Carlo Levi”, allora, oggi scuola secondaria di primo grado “David Maria Turoldo”. Ebbene, biglietto da una corsa (100 minuti sono più che sufficienti) salgo in corso Tassoni sul “vecchio” tram numero 9. Mi siedo (con tanto di mascherina che sui mezzi pubblici è sempre prudente indossare) e dal finestrino osservo sfilare il paesaggio. Un bel guardare! La città perde sempre più i suoi contorni di quasi-centro per arrancare in scenari di “problematica”, raccogliticcia periferia. Palazzi e palazzoni senz’anima. Freddi Centri commerciali. Parco Dora. Corso Potenza, Grosseto, Toscana, Largo Toscana… sempre dritto, incroci trafficati, “rotonde” ancor di più… Ma dove stiamo andando? Mi pare tutto cambiato. Avrò sbagliato tram? O il 9 avrà sbagliato percorso? Difficile. Più probabile, ahimé, la prima ipotesi. E infatti… Un quarto d’ora dopo, ecco piazza Stampalia. Piazza Stampalia? Ecchè ci azzecca? Tutti scendono. Capolinea, signori! E adesso? Ohibò, ma saranno trent’anni e passa che il 9 non arriva più alle Vallette”, mi sogghigna il tranviere. Per andare alle Vallette, doveva scendere in Largo Toscana e prendere il 3, sentenzia. E’ vero!!! Mannaggia, adesso ricordo. Quella benedetta ( a seconda dei punti di vista) Linea 3, inaugurata, non senza accese polemiche e dibattiti con i residenti, nell’ ’87, su percorso protetto lungo tutto il rettilineo di corso Toscana e successivamente di viale dei Mughetti, scavalcato da tre ponti pedonali e capolinea nel piazzale Vallette. E adesso? Il tour della memoria salta. E sai che c’è? Per oggi niente Vallette, resto sul 9 e ritorno in corso Tassoni! Da capolinea a (quasi) capolinea. Una mezz’oretta di pace, che pian piano scopro essere di grande suggestione. A tram vuoto e ancora fermo in piazza Stampalia, via via lungo il “viaggio” di ritorno, quello spazio lungo su binari mi pare gradualmente trasformarsi in un vitale palcoscenico di umane realtà su cui fantasticare. Grama curiosità? No semplicemente desiderio di immaginare, immaginare – e un po’ condividere e “compatire” – storie di vita, di volti, gioie, sofferenze, nevrosi, delusioni. Aveva ragione il mio grande amico Pippo Leocata, pittore di meritata fama, quando sul tram che da Mirafiori, anni ’60, lo portava ad Architettura, schizzava rapido a matita, su fogli qualsiasi, volti, corpi, espressioni, posture dei suoi “compagni di viaggio”. Quelle facce, quei corpi, quelle figure sono diventati i personaggi delle mie tele! Mi racconta ancora oggi. Io osservo. Non schizzo, non disegno. Fantastico. Mi soffermo su una giovane, grande signora-mamma. Sale con il figlio appena uscito da scuola. In mano, lei, borsone della spesa, disumano zaino trolley del fanciullo, mascherina da mettere a naso e bocca del pargolo che tossisce a go-go e telefonino in quel che resta della mano destra. Amore mio siediti, che brutta tosse! Al telefonino che squilla Ciao, siamo sul 9, ci vediamo al capolinea, cia-cia-cia-ciao. Ancora: Grazie, Roby…sì sì è la sciarpa di Micky, l’ha persa, grazie, lasciamela domani a scuola! Al figlio:Amore mio, non ti addormentare! A Porta Nuova ti compro quel regalino: 10 Euro, non di più! Grande, piccola mamma. Ma come fa a far tutto? Viva le donne. Altra scena. Sale un’anziana signora, parlotta da sola. Cerca disperatamente un posto. Dei quattro o cinque ragazzotti che, cellulare perennemente in mano, ridacchiano sguaiati fra loro, nessuno si alza. Altre generazioni! Le cede il posto un “giovin” signore sulla cinquantina. La vecchina lo vorrebbe “santo subito”. Giù giù, in fondo alla carrozza, una bella ragazzina, telefona triste a bassa voce. Poi chiude e mi pare fatichi a trattenere un “conato” di tristezza. Provvidenziale, la carezza dell’amica a lei di fronte. Pochi posti più avanti, una giovane di colore, cellulare alla bocca, urla al tram una storia infinita. Bisognerebbe conoscerne la lingua! In Largo Toscana, sale una sagoma indefinita. Barba bianca e incolta, età indecifrabile (potrebbe essere tutto, dai 40 ai 90), un carrello della spesa, in mano una miriade di sacchetti, maglie, giubbotti, coperte. Qualche panino. Una birra. La sua casa. La sua vita, che addosso gli ha sgomitato da anni senza pietà. Borbotta. Chissà dove andrà? Un posto vale l’altro, purché “lassù qualcuno lo ami”. Sto per scendere. Quanto ancora ci sarebbe da osservare e fantasticare. Un biglietto per assistere a “didattici” spezzoni di vita! Da consigliare.
Gianni Milani
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