A Firenze, in occasione del 17° congresso del Pci, nella prima metà dell’aprile 1986, erano stati invitati quasi tutti i veterani.
A loro erano stati riservati anche degli eventi “collaterali” pensati per il gruppo di iscritti che avevano condiviso le sorti del più grande partito della sinistra italiana fin dal 1921, anno della fondazione del Pcd’I a Livorno. Erano i reduci della pattuglia che il 21 gennaio di quell’anno, abbandonando il teatro Goldoni dove si teneva il XVII Congresso del Partito Socialista Italiano per raggiungere il Teatro San Marco con la frazione comunista capitanata da Amadeo Bordiga (alla presenza, tra gli altri, di Antonio Gramsci, Angelo Tasca, Umberto Terracini, Palmiro Togliatti) avevano contribuito alla nascita del Partito comunista d’Italia che di lì a poco entrò in clandestinità a causa della vittoria del fascismo. In molti, sopravvissuti alle guerre del ‘900 e a mille peripezie, era rimasto nitido il ricordo di quell’evento che si consumò nel cuore del vecchio quartiere livornese della Venezia dove sorgeva il teatro San Marco, distrutto durante i bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale, del quale rimanevano solo i resti della facciata principale e di alcuni muri perimetrali. C’era sempre chi, nelle ricorrenze, depositava qualche fiore davanti alla lapide commemorativa che era stata collocata nel 1949 dai comunisti livornesi per il 28° anniversario. Come già detto, il 17esimo congresso nazionale comunista al Palazzo dello sport fiorentino (oltre mille delegati, 105 delegazioni estere, 1500 invitati, 586 giornalisti accreditati), aperto dalla relazione di Alessandro Natta che aveva assunto la guida del partito dopo la tragica morte di Berlinguer, aveva riservato alla “vecchia guardia” delle iniziative specifiche. Dibattiti, visite guidate alla città che ospitava i capolavori dell’arte e dell’architettura rinascimentale e sui celebri colli che la circondavano, appuntamenti gastronomici e mostre. Il folto calendario prevedeva anche una proiezione di un film cecoslovacco semiclandestino che celebrava la primavera di Praga. Mario ( useremo un nome di fantasia, celando la vera identità del protagonista – NdR) , classe 1899, comandante partigiano che a dispetto dell’età non aveva scordato il suo passo garibaldino, terminata la cena imboccò il viale che portava al cinema Moderno dove era prevista la visione della pellicola.
Il cartellone davanti al cinema non riportava titolo o immagini ma solo una grande scritta rossa in campo bianco sul manifesto 70 x 100: Luce Rossa. Mario che era stato l’ultima volta al cinema un bel po di anni prima per assistere alla proiezione di Riso amaro, spettacolare capolavoro del neorealismo girato interamente con le mondine nelle risaie vercellesi. Un film-culto, diretto da Giuseppe De Santis nel 1949, con una superba e sensuale Silvana Mangano, Vittorio Gassman e Raf Vallone. Evidentemente anche questa pellicola aveva un tratto sociale ben marcato e lo stesso titolo, quel Luce Rossa che nella sua disarmante semplicità faceva intravedere l’inequivocabile messaggio politico che la trama senz’altro avrebbe offerto al pubblico che già s’immaginava ben folto e ancor meglio orientato. Appena varcato la soglia del cinema, incontrò nell’atrio una signora bionda che non aveva certo risparmiato il trucco sul suo volto non più freschissimo. Vedendo Mario puntare deciso verso il pesante tendone verde scuro che chiudeva l’accesso alla sala, la signora uscì dal botteghino rivolgendogli un acuto “Senta un po’ , lei. Dove crede di andare, senza il biglietto?”. Mario, sfoderando un largo sorriso, rispose: “Mi hanno detto che il biglietto non serve, bella signora. Sono un veterano!”. La bionda rimase di stucco, incapace di reagire. E lui entrò, salutandola con un garbato inchino. Il giorno dopo, a chi gli chiedeva come fosse stato il film, non ebbe dubbi. “ Ci sono stati molti cambiamenti in Cecoslovacchia. Ho intravisto grattacieli altissimi ma soprattutto delle scene che non avrei mai pensato che fossero possibili in un film. Ho ottantasette anni ma così tanti seni e sederi, in vita mia, non ne avevo mai visti e per di più tutti insieme. Se quella è stata la primavera, chissà come sarebbe stata calda, anzi torrida, l’estate da quelle parti”. Nessuno osò ribattere. Nemmeno per comunicare al malcapitato che aveva sbagliato posto e serata.
Marco Travaglini
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