Il “San Giovanni Battista” che (per ora?) è un prestito di Gian Enzo Sperone

Nelle sale dell’Accorsi, sino al 29 gennaio, nell’ambito della mostra “Rinascimento privato”

La mostra “Rinascimento privato”, che la Fondazione Accorsi-Ometto ospita nelle proprie sale torinesi sino al 29 gennaio, si è arricchita nei giorni scorsi di un San Giovanni Battista – un minuscolo agnellino poggiato sulla mano sinistra, i calzari legati alle caviglie, il vello che lo riscalda impreziosito da un mantello rosso e blu, un accenno di paesaggio sui due lati, un pavimento a losanghe in chiaroscuro – che nasce dagli studi preparatori alla mostra e che tenta di ricomporre il “mastodontico polittico”, un totale di dieci tavole che con le necessarie predelle dovevano abbracciare uno spazio centrale, una probabile Madonna col bambino, che il chivassese Defendente Ferrari, una delle figure più alte della pittura piemontese del primo Cinquecento, ebbe a dipingere, probabilmente nel decennio che corre tra il 1525 e il 1535.

Una tavola, quella del Battista, dalla lunga storia, come uno di quei fiumi carsici che si nascondono per poi improvvisamente riapparire. Dell’intero polittico si conosce l’esistenza di dieci tavole, ognuna delle quali a rappresentare un santo a figura intera, il pavimento a losanghe ad accomunarli. Se ne occupò Giovanni Romano nel 1970, riassumendone i vari passaggi da paese a paese, da famiglia a famiglia, da collezionista a collezionista. Una Santa Caterina la si ritrova a Francoforte nell’ottobre del 1920 ed è rivenduta ad un’asta berlinese dieci anni dopo; otto tavole compaiono da Christie’s nel 1951, con l’attribuzione a Macrino d’Alba e con probabilità da quella sede vanno ad abbellire il salotto dell’Avvocato Agnelli. Finché quindici anni dopo, è Pietro Accorsi ad acquistare dall’Avvocato le otto tavole, dividendole in seguito per venderne due a un collezionista privato, per la cifra di 9 milioni, il Battista  pronto a incamminarsi verso le stanze degli Zegna di Biella, mentre nel 1967 altre tre (“San Pietro”, “San Lorenzo” e Santa Lucia”) vanno a far parte delle collezioni dei Musei Civici di Torino. Le restanti, ancora oggi, risultano fuori degli occhi del mondo, in collezioni private.

Anche Luca Mana, che ha curato con Vittorio Natale e Serena d’Italia “Rinascimento privato”, mentre credo sudasse le classiche sette camicie per ricomporre, lui, le più di trenta opere e gli autori che avrebbero interessato le sale del Museo, ha incrociato a Maastricht il “San Giovanni Battista”: l’acquisto fattone da quello che a ragione viene considerato il maggiore collezionista italiano, spirito torinese e intraprendenza internazionale, gallerie a New York e in Svizzera, chi ha fatto conoscere da noi l’intera Pop Art americana e i nomi di Andy Warhol e Roy Lichtenstein e continua a costruire il parterre delle opere che gli allietano lo svegliarsi del mattino, Gian Enzo Sperone, ha fatto il resto. Un prestito, per ora, da porre accanto alle tre altre tavole che già arricchiscono la sala dedicata a Defendente, “San Giovanni Evangelista”, “Santo Stefano” e “Sant’Agata”.

“L’arte antica ha molti punti in contatto con il contemporaneo. È ancora in grado di dimostrare qualcosa” sottolinea Sperone che ha saputo negli anni – da quel suo primo acquisto, negli anni del liceo, di due piccoli oggetti barocchi tra i banchi del Balôn – mescolare i propri interessi tra le varie forme d’arte, vantando oggi più di seicento opere di oltre trecento artisti, accostando l’archeologia ai fondi oro, la pittura del Seicento all’Ottocento alle avanguardie storiche del Novecento, nella dimostrazione che non vi sono cesure ma soltanto continuità nella storia dell’arte e della cultura. Ottantacinquenne in splendida forma ed eleganza, Sperone racconta di come nell’ultima decina d’anni, al fine di donare a quella città che non ha mai dimenticato e gli è rimasta affettuosamente nel cuore parte della propria collezione, abbia tentato approcci, magari arrivati ad appuntamenti già fissati, con i responsabili della Venaria e di Palazzo Madama ma che tutto si sia risolto nel nulla. “Non c’è mai stato l’interesse che io mi sarei aspettato”. Forse è abituato ai pragmatici States, dove “un qualcuno che voglia donare delle opere d’arte lo vengono a prendere in limousine, per essere certi che si presenti, e si assicurano che il notaio sia ben presente all’appuntamento”. Alla Fondazione Accorsi hanno ogni riguardo nei confronti degli ospiti e delle loro intenzioni: e pochi giorni fa, in un gioviale clima prenatalizio, in un brindisi che pareva avviare a familiari chiacchierate più che a impettite trattative, per un attimo la parola prestito era cancellata per lasciar spazio e una più libera circolazione alla più amichevole donazione.

Elio Rabbione

Nelle immagini: Defendente Ferrari, “San Giovanni Battista”, coll. Gian Enzo Sperone; Gian Enzo Sperone durante la presentazione dell’opera e il collezionista in compagnia di Luca Mana, direttore della Fondazione Accorsi-Ometto.

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