Le autentiche radici dei “Sei Personaggi” pirandelliani (forse)

È uscito sugli schermi “La stranezza” di Roberto Andò

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

“È mia vecchia abitudine dare udienza, ogni domenica mattina, ai personaggi delle mie future novelle. Cinque ore, dalle otto alle tredici.” Ovvero “la tragedia di un personaggio”, un mondo di persone e di ombre che si raccoglie nella mente di Luigi Pirandello.

 

Ovvero uno dei ritorni che abitano i momenti di solitudine di Servillo/Pirandello nella “Stranezza” che Roberto Andò ha dedicato per lo schermo alla figura del drammaturgo siciliano, alla nascita dei “Sei personaggi”, uno dei migliori film che si siano costruiti attorno al mondo del teatro, un’opera d’arte che sa unire in se stessa intelligenza e divulgazione, comicità e la grande responsabilità di un autore. Un film, uscito giovedì scorso nelle sale, che scaccia gli ultimi demoni della pandemia, che va incontro ad un pubblico che ha perso il piacere della frequentazione, che preferisce le serate tra divano e tivù, un film che riconcilia con il cinema italiano, in un lungo periodo di povertà, di piattaforme che derubano i poveri esercenti come di soggetti irrisolti e di scritture buttate via, di personaggi messi a fuoco malamente e con trasandatezza e di trascrizioni che ci portano a nuovi sguardi che poco hanno a che fare con la limpidezza della pagina. Quasi due milioni di euro superati al botteghino sino a questo momento vorranno pure dire qualcosa – “Triangle of Sadness”, Palmarès a Cannes raggranella poco più di 62mila euro -, la coppia Ficarra&Picone a trainare il loro pubblico, il secondo un piccolo gioiello di rara “semplicità” e stupore, sfavillanti, pirotecnici, felicissimi nel divertimento della loro messinscena e nel “travesti”, un Toni Servillo ancora una volta in stato di grazia (è sufficiente vederlo qui, contenuto e signorile, e confrontarlo con lo Scarpetta di “Qui rido io, gigionescamente sopra le righe), un soggetto impensato e “favoloso” (da “fabula”) e una sceneggiatura (con il regista, Ugo Chiti e Massimo Gaudioso: forse, a cercare il difetto con la lente, una macchina che si mette in moto con qualche lentezza nella parte iniziale) che più gradevole non si potrebbe, scolpita di azioni e di impagabili statuine del presepe, il servizio pieno di rispetto ad un’opera che davvero ha mutato la storia della drammaturgia.


È il 1920, quando Pirandello deve raggiungere la Sicilia in occasione del compleanno dell’amico Giovanni Verga. S’imbatte in Sebastiano Vella e Onofrio Principato, responsabili (!) di un’agenzia di pompe funebri ma anche “dilettanti professionisti” di una affollata compagnia amatoriale con cui stanno allestendo uno spettacolo. La crisi creativa dell’autore – causa non ultima, la moglie Antonietta Portulano, vive dentro tutta la sua pazzia – s’incrocia con la farsa vivacissima del duo, con le loro piccole tragedie familiari, con l’arte d’arrangiarsi di qualche impiegato comunale ad ogni richiesta d’aiuto, con la messinscena ed il debutto che finiscono con l’abbandonare la finzione scenica per addentrarsi nella realtà dei tradimenti, del malaffare, delle bugie della realtà del quotidiano. Con il piacere e il divertimento forsennato di un pubblico che fa sempre più suo quell’insperato passaggio dalle tavole del palcoscenico alla vita che lo circonda nel piccolo centro di Girgenti. Al teatro Valle, pochi mesi dopo, dietro amichevole invito dell’autore, Sebastiano e Onofrio saranno i testimoni di una nuova finzione e di una nuova realtà, che ogni sera si consuma in palcoscenico, la verità della tragedia di un padre e di una figliastra, del dolore di una madre, di una bambIna che affoga in una fontana, di un ragazzo che si spara un colpo di rivoltella. Era la rivoluzione del teatro, di cui certo, per come l’ha inventata Andò, non c’è parola nei manuali di regia: o forse è andata per certi versi proprio così. La fotografia è di Maurizio Calvesi, Fausto Russo Alesi e Galatea Ranzi vivono la disperazione del padre e della madre, un’intensa Giordana Faggiano è la figliastra, Luigi Lo Cascio il capocomico, Donatella Finocchiaro in una pennellata per la moglie pazza. Assolutamente da vedere (in attesa che Binasco ci regali, a fine stagione, la sua versione).

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