La tavolozza autunnale è alle porte. I rossi e gli arancioni stanno ingoiando i verdi ricordi estivi, le foglie a terra fanno scrocchiare i nostri passi sotto gli alberi, le nebbie avvolgono le mattine e per le vie del centro l’odore delle castagne di mescola al fumo delle macchine torinesi.
Il colorato anticipatore dell’inverno porta con sé brina e malinconia, ma anche una festa ormai pienamente inserita nelle nostre consuetudini, pur se non proprio appartenente alle tradizioni locali. “This is Halloween! This is Halloween!”
Il 31 ottobre sarà la notte dei fantasmi e degli incubi, e anche Torino si vestirà a tema. Nel centro e negli altri quartieri i locali si sono già organizzati per ospitare cene goliardiche e ritrovi di amici mascherati, i negozi hanno ormai quasi esaurito gli addobbi grotteschi, così come gli alimentari hanno terminato le zucche decorative e quelle da intagliare.
Una festività “bislacca” quella di Halloween, e non da tutti apprezzata, molti sono infatti i reticenti che non vogliono accettare tale manifestazione, poiché la ritengono una banale e sciocca abitudine americana, nient’altro che un pretesto per spendere e incrementare il meschino meccanismo del consumismo. Certamente l’Italia non ha molto a che fare con tali festeggiamenti, ma è così sbagliato abbracciare altre consuetudini? Perché non ampliare il nostro bagaglio culturale e condividere con il mondo tradizioni e ricorrenze? Non è anche questo lo scopo della globalizzazione? E poi, siamo proprio sicuri di non aver nulla a che spartire con questo così commerciale Halloween? È forse opportuno riflettere sul tema. Il primo mito da sfatare è che Halloween sia in realtà una festa americana. Si tratta invece di una ricorrenza diffusasi originariamente in Irlanda, le cui radici affondano nei festeggiamenti tipici dell’antico capodanno celtico, detto Samhain. Sarà solo a partire dal Novecento, a seguito delle varie migrazioni, che la celebrazione arriva in America, dove certamente si diffonde e si permea tra le varie celebrazioni locali. L’odierno aspetto consumistico è ovviamente innegabile, ma allora dovremmo anche ridiscutere dei gadget della Befana e dei pulcini della Pasqua, per non parlare poi del caro San Nicola, tramutato in un fiammante e simpatico vecchietto bevitore di Coca-Cola. Una polemica decisamente lunga che, per quanto interessante, non credo sia il caso di affrontare ora.
Proseguiamo dunque.
Il termine “Halloween” – in irlandese “Hallow E’en” – deriva dalla forma contratta “All Hallows’ Eve”, dove l’arcaico “hallow” significa “santo”; la festa è dunque traducibile come “Vigilia di tutti i santi”. L’importanza della ricorrenza è sottolineata dalla parola “eve”, presente nella denominazione completa di altre rilevanti giornate, come ad esempio “New Year’s Eve”, o “Christmas Eve”.
Ancora una volta possiamo affermare che le parole hanno una loro importanza, così come l’etimologia, che, anche in questo caso, fornisce l’occasione di ponderare riguardo alla vera simbologia delle cose.Le antiche popolazioni, per lo più costituite da comunità di pastori e allevatori, erano solite scandire tempo e abitudini assecondando l’andamento delle stagioni: l’estate finisce, i campi smettono di dare iloro frutti e gli animali devono rintanarsi per sopravvivere all’inverno. È tale passaggio a segnare l’inizio di un nuovo ciclo. Questo importante momento veniva denominato “Samhain”, dal gaelico “samhuinn” ( da cui deriva l’espressione “summer end”) e cadeva il primo di novembre. In Irlanda tale ricorrenza prende poi il nome di “Festa del sole”, un’occasione per ringraziare gli dei e propiziare le loro benevolenza in vista delle difficoltà invernali, gli uomini esorcizzavano l’arrivo del gelo accendendo grandi fuochi e danzando intorno a essi.Gli antichi hanno dunque una concezione ciclica del tempo, scandita da festività che segnano il passaggio da una stagione ad un’altra; nello specifico, i popoli anglofoni scandivano così il loro calendario: Samhain (31 ottobre), Lughnasadh (1 agosto), Beltane (30 aprile o 1 maggio), Imbolc (1-2 febbraio), Yule (21 dicembre), Ostara (21 marzo), Litha (21 giugno) e Mabon (21 settembre).Il mondo è magico agli occhi degli uomini arcaici, tutto sottostà al volere delle divinità, creature talvolta capricciose che governano le stagioni e gli agenti atmosferici.Le credenze si concretizzano in feste e rituali, abitudini che ben si radicano nel tempo, sono tradizioni solide su cui il Cristianesimo non riesce a imporsi. La soluzione è dunque quella di sovrapporre nuovi significati e contenuti alle abitudini del passato. Halloween non fa eccezione.
La celtica “Vigilia di tutti i Santi”, potrebbe avere diversi aspetti in comune con la nostra giornata di “Ognissanti”: in entrambi i casi si tratta di ricorrenze dedicate al ricordo dei defunti, in cui la tematica della mancanza dei cari si accosta metaforicamente a ciò che sta avvenendo in natura: il mondo inaridisce e la terra, anche se momentaneamente, muore.
Eppure si festeggia. Perché proprio là dove riposano i nostri affetti, già si trova in nuce il germoglio che spunterà a primavera: non tutto è perduto, il prossimo ciclo porterà nuova vita, così mentre ricordiamo l’amore provato per chi non c’è più, ci prepariamo ad accogliere le future nascite. I Celti credevano inoltre che proprio nella notte del 31 ottobre gli spiriiti dei morti potessero lasciare la loro terra, “Tir nan Oge”, luogo di eterna giovinezza e felicità, per aggirarsi in mezzo ai vivi. È un momento particolare, durante il quale spettri e uomini si ritrovano fianco a fianco e le leggi del tempo e dello spazio si dissolvono. Si unisce allora la paura dell’Aldilà con l’allegria dell’arrivo del nuovo anno, una miscela di stati d’animo che porta gli uomini a radunarsi nei boschi, attorno ai fuochi sacri, sacrificando animali per compiacere le anime dei defunti e gli dei onnipresenti. In tali occasioni nascono due importanti consuetudini che si sono protratte fino ai nostri giorni – seppur con le debite differenze – l’abitudine di mascherarsi, per spaventale gli spiriti malevoli, e quella di intagliare ortaggi a mo’ di lanterne, per rendere meno buia quella notte così peculiare.
Le nostre attuali zucche erano in origine cipolle e rape, così come testimonia anche la leggenda di “Jack-o’-lantern”. Si tratta della mitica vicenda di un fabbro irlandese, astuto, avaro e dedito allo smodato uso di alcolici, il quale, una volta deceduto, venne cacciato sia dal Paradiso che dall’Inferno, e costretto a viaggiare in eterno, alla ricerca di un luogo in cui riposarsi. Secondo il racconto, l’uomo ormai dannato si era lamentato con il Diavolo dell’eccessivo buio del suo cammino, così il re degli Inferi gli lanciò un tizzone ardente per aiutarlo ad illuminare il suo pellegrinaggio. Il fabbro, non riuscendo a tenere la pietra infuocata in mano, scavò una rapa, e dentro vi inserì il tizzone. Ed è così che lo spirito di Jack vaga per sempre, ricurvo nel suo dolore, con solo una rapa intagliata per farsi luce nella notte più spaventosa dell’anno.
Secondo la tradizione irlandese vi è un altro modo per invitare gli spiriti a proseguire oltre senza fare dispetti ai vivi, si preparavano dei cibi gustosi e si lasciavano fuori dall’uscio insieme ad un grosso bicchiere di latte, in modo che i defunti potessero rifocillarsi in tranquillità. Pare ormai evidente che dietro le moderne maschere di gomma si celi molto altro. I costumi dei personaggi horror nascondono ancestrali tradizioni, le cui caratteristiche generali ricorrono negli usi di diversi paesi, accomunando varie parti del mondo.
Anche in Italia vi sono festività assimilabili a quella di Halloween, come per esempio la secolare tradizione del “Coccalu di muortu”, tipica di Serra San Bruno, in Calabria. In questa occasione i ragazzini intagliano delle zucche, gironzolano per le strade del paese e bussano alla porta delle persone chiedendo: “Mi lu pagati lu coccalu?” A Massafra, in provincia di Taranto, gli anziani raccontano che proprio la notte del 31 di ottobre l’“aneme du priatorie” (le anime del Purgatorio) escono dal cimitero per celebrare la Messa dei Morti. Un’altra usanza locale vuole che, in specifici periodi dell’anno, venga lasciato un posto a tavola appositamente per le anime di chi non c’è più, con tanto di posate e tovagliolo. Secondo le credenze locali le anime ritornano ai loro luoghi di sepoltura la notte dell’Epifania. In Piemonte diverse sono le usanze di origine precristiana che ancora sopravvivono. La stessa notte di Ognissanti è considerata magica; si consiglia di non uscire dopo il tramontare del sole, per evitare il rischio di incontrare i defunti che si riuniscono in processione. Un’abitudine tipica del Monferrato vuole che, proprio nella notte del 31 ottobre, si dorma da un lato solo del letto, così da lasciare l’altra parte libera per lo spirito di un parente. Molte ancora sono le ricorrenze che andrebbero citate, ma vi ruberei troppo tempo e non è ciò che intendo fare. Soprattutto ora che potrebbero venire a bussarvi alla porta. Chi sarà? Un innocente bambino voglioso di dolcetti o uno spirito errante in cerca di un po’ di ristoro?
Alessia Cagnotto
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