Zuppetta alla Bakunin o patate Van Gogh? Le ricette anarchiche di Rava

S’intitola “Ricette (anarchiche) tra lago d’Orta, Maggiore e oltre” l’originalissimo libro di Giorgio Rava, edito da Tararà.

Chi conosce il poliedrico artista omegnese sa bene quanto ami scrivere, dipingere e  disegnare,  assecondando il suo spirito anarchico. Una creatività dimostrata anche nell’amore per la cucina che pratica ad “eccellenti livelli”, come confermava Alberto Gozzi, già docente di sala all’Alberghiero di Stresa e sovrintendente alle attività dei settori tavola e cucina al Quirinale con i presidenti della Repubblica Scalfaro, Ciampi e Napolitano, scomparso a 83 anni nel marzo di quest’anno, nell’introduzione del volume e delle 122 ricette presentate ai lettori. Giorgio Rava, intellettuale a tutto tondo, con passione e curiosità ha reinventato le ricette  della sua cucina “anarchica”. E’ lui stesso a spiegare le ragioni di questo rapporto amoroso dalle lontane radici. “Tra i ricordi della primissima infanzia vi sono i profumi della cucina delle mie nonne, quella paterna e quella materna, l’una lombarda (il suo risotto con lo zafferano), l’altra romagnola (la pasta fatta in casa e i cappelletti); poi quella di mia madre romagnola cha ha sposato un piemontese, ma di quel Piemonte “alto”, sembra addirittura walser, che aveva in sé la cocciutaggine e la ruvida dolcezza del pane di segale delle genti venute dalla Valle del Goms”. Una cucina “bastarda” , o meglio “anarchica” da cui Giorgio Rava ha tratto il  suo Dna culinario, aggiungendo alle memorie famigliari  la  sua personale propensione  alla baldoria, alle disfide con gli amici ai fornelli, ai piatti sperimentali alla cui base spesso sta il suo orto “cui attendo con le cognizioni di mio padre e di un diploma di Perito Agrario su un terra magra di montagna”. Quando insegnava lettere consigliava ai suoi alunni di prestare attenzione allo stretto e potente legame tra palato e letteratura: dagli etilici vapori de L’Assommoir di Zola  alla fame del Riccetto della Vita violenta di Pasolini, o a quella della famiglia dei Braida de La malora di Fenoglio, ma anche il Manifesto della Cucina Futurista e il risotto alla milanese di Carlo Emilio Gadda. Del resto, e sono parole sue “ la vita è un minestrone o una bouillabaisse; noi ne siamo i cuochi e  sta a noi condirla, farla più o meno saporita, trovarne i giusti ingredienti”. Alberto Gozzi scriveva che le ricette di Rava sono “veramente anarchiche, libere da ogni espressione di regole fondamentali, come ad esempio le grammature degli ingredienti”. Da una Guerra di Piero a base di Bettelmatt a una Catalana con tanto di omaggio a Orwell, da una salsiccia Candelora a una pasta con il formaggio erborinato del Mottarone si passa alle maliziose ostriche alla Chateau d’If del conte di Montecristo. Che dire poi dei tanti piatti a base di pesce di lago e di mare, alla pietanza dedicata alla rivolta dei marinai russi di Kronštadt contro il potere sovietico per un socialismo libertario, alle patate Van Gogh e alla zuppetta alla Bakunin per finire con il dolce Morte al Kaiser in onore di Guglielmo Oberdan, patriota irridentista triestino? Il libro di Giorgio Rava si legge con un certo languore. Per la  sua capacità affabulatoria, certamente, ma anche per l’induzione a provare le delizie che propone in chiave, appunto, “anarchica”.

Marco Travaglini

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