“Happy days”, i Marcido tornano nel deserto di Beckett

Sino a domenica 8 maggio, al teatro Marcidofilm di corso Brescia 4

 

Uno spettacolo-simbolo di una storia teatrale costruita solidamente e con intelligenza negli anni, la ”necessità” di una ripresa a venticinque anni dal debutto (poi un terreno sondato in altri modi, con altri titoli), il successo e l’affermazione di una straordinaria quanto viscerale e appassionata Maria Luisa Abate (titolare della pièce, l’altra sera, in una delle repliche, confermatasi – se ancora ce ne fosse bisogno – tale ancora una volta, oggi ad alternarsi con Paolo Oricco), l’ideazione del Grande Girello – e la scommessa vinta da Daniela Dal Cin, ad un passo dal premio Ubu nel ’97 per la migliore scenografia: con la ripresa del 2006 s’inaugurava alla Promotrice torinese l’esposizione del lavoro della scenografa -, a sostituire il monticello di sabbia beckettiano e oggi ridimensionato per il palcoscenico della sala Marcidofilm! (il Grande Girello o la Grande Gogna?, strutture ferrose e cinghie in bella vista).

Sino a domenica 8 maggio l’esistenza e il lavoro dei Marcido Marcidorjs rincontrano “Giorni felici”, “Happy days in Marcido’s field” nella riscrittura drammaturgica da parte di Marco Isidori, e la tragedia di Winnie, ogni cosa prosciugata, rimandata ad altri spazi, una spensieratezza iniziale che coltiva una debole vena di speranza, le allucinazioni e il tempo passato, le dolcezze e il sarcasmo e lo strazio, niente progressiva discesa agli inferi, niente più oggetti di una vita, l’ombrellino o la borsa da cui estrarre spazzolino dentifricio specchio rossetto cappellino il flacone di un medicinale, più nulla: oggi una straripante parrucca grigia, un corsetto di rose rosse, un corpo bistrato, soltanto la voce, la sua ultima voce, al centro del deserto, in mezzo alla landa della vita. Anche Willie non c’è più, non è più Willie, oggi al suo posto tre esseri, tre presenze, nudi, sguscianti e striscianti, con il desiderio di colpire e di abbracciare, di farsi parte e di allontanarsi, i validissimi Valentina Battistone, Ottavia della Porta e Alessio Arbustini, “baratro vivente nonché recitante nonché danzante”, elenca l’Isidori, a rendere con centellinata precisione il processo di “suono” e di “senso”.

Isidori gioca di scomposizione, s’impadronisce del testo e se ne allontana con immediatezza, in un gioco perfetto d’incastri, di prospettive diverse, di angolazioni che ti obbligano a vedere e a sentire con sentimenti nuovi, forse anche nella difficoltà dell’assurdo, ma ancora convincenti, veri, afferrabili; costruisce la propria sfaccettatura scenica innanzitutto sonoramente, alterna e scuote, frantuma le voci e le ricompone, l’innalza sul coro o le incanala negli anfratti lasciati liberi dalla protagonista. È un gioco di vibrazioni, di sensazioni fitte di colori diversi, di spasmi che animano e attraggono. È il processo dei Marcido che continua a convincere, ad afferrare lo spettatore, ad impadronirsi di lui. Ci sono ogni sera gli stessi mezzi, la stessa sfida, lo stesso studio attento e, io credo, unico, quali erano quelli di venticinque anni fa. E il pubblico applaude certo non solo la fatica, il pubblico che ritorna, come quello che scopre, nuovo, giovane, incuriosito, animato, teatralmente focalizzato: ogni sera.

 

Elio Rabbione

 

Nelle immagini: Maria Luisa Abate come Winnie, con la presenza del Coro nel “Grande Girello” inventato da Daniela Dal Cin, in un momento di “Happy days in Marcido’s field” nell’edizione del debutto, nel 1997; e Paolo Oricco che oggi si alterna a lei nel ruolo principale.

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