Era da un po’ che non mi capitava di essere in anticipo.
Forse una giornata con meno impegni del solito, oppure qualche ingorgo meglio gestito per le strade, magari l’inaspettata puntualità dei trasporti pubblici, fatto sta che mi sono ritrovata a Porta Nuova quasi un’ora prima del previsto.
Ho subito pensato ad un articolo letto in precedenza riguardo all’esposizione “The World of Banksy – The immersive experience”, dedicata allo “street artist “più famoso al mondo: come non approfittarne?
Cerco la Sala degli Stemmi, spazio che rientra nel più ampio progetto di rinnovamento che coinvolge anche il piano superiore della stazione, dedicato all’area “lounge”.
Mi divincolo tra la folla che si muove in maniera vettoriale, il ritmo generale è sostenuto, chi controlla ancora una volta il tabellone degli orari, chi è appena sceso dal treno e non vede l’ora di uscire all’aria aperta; vi sono anche delle scolaresche, mi fermo a guardare i piccoli delle elementari che addentano bramosi il proprio panino, mentre le maestre li osservano attente, in piedi, vicine al pianoforte.
Gli altri passanti non notano quella scena, passano oltre indifferenti, così come si fa con i bisognosi sotto i portici o con “i tipi loschi” vicino ai binari.
Le medesime cose che ignoriamo sono quelle che giudichiamo con più fervore.
Mi ridesto dai pensieri, scanso un paio di passanti che altrimenti mi avrebbero investita, con la loro valigia trolley rumorosa e lo sguardo fisso di chi deve compiere un’impresa impossibile da cui dipende la salvezza dell’umanità. Arrivo finalmente a destinazione, e mi accingo a intraprendere il percorso espositivo.
Un tappeto rosso a terra e delle cordicelle dorate mi indicano l’ingresso, nonostante la pienezza di Porta Nuova, non c’è nessuno in coda.
Le opere esposte non sono originali, si tratta di copie e riproposizioni di “murales” realizzzati da giovani “street artists”: assolutamente nessun problema, poiché siamo ben lontani dall’ideologia di Foucault, secondo cui “l’autore/artista” si erge su un piedistallo di intuizione creativa che lo eleva in un rapporto gerarchico con la gente comune”, al contrario, all’epoca attuale della riproducibilità dell’opera d’arte, “vince” il pensiero barthesiano: con Banksy ci troviamo di fronte “alla morte stessa” dell’ “autore/artista”.
Di tutt’altro spessore è la figura che rappresenta l’artista britannico, egli è uno sciamano che incarna la coscienza collettiva archetipica del “clan”, le sue opere sono la materializzazione dei nostri dubbi, dei nostri pensieri, quando guardiamo i suoi lavori in realtà ci troviamo a fronteggiare le nostre stesse domande, senza tuttavia trovare risposte. L’arte di Bansky offre spunti di riflessione senza compromessi, attraverso semplici e diretti “stencil” egli annulla le differenze di classe e di “status” sociali, pone gli spettatori tutti sullo stesso piano, ci rende individui pensanti, membri di una medesima società.
I suoi graffiti sono ironici, intelligenti, immediati, talvolta giudicati eccessivi e accusati di minare l’etica e l’estetica di icone culturali e personaggi così “eroici” da divenire “cliché” ( “Kissing Copper” o “Mother Theresa”). Personalmente non condivido tale chiave di lettura, solamente non siamo abituati ad una “terapia d’urto dello spettatore”, non trovo Bansky poco rispettoso, anche perché egli stesso è ben consapevole del suo ruolo nella psiche culturale, al contrario è un artista attento e brillante, e il cinismo delle sue parole deve spingerci a rifiutare l’atteggiamento tipico dei “buoni borghesi” –parafrasando De Andrè-.
“I più grandi crimini del mondo non sono commessi da persone che infrangono le regole, ma da persone che seguono le regole. Perché le persone che obbediscono agli ordini lanciano bombe e massacrano villaggi. Per prevenire crimini gravi, è nostro sacro dovere non fare ciò che ci viene comandato di fare, questa è l’unica certezza.” ( Banksy, “Wall and Piece”, p.50)
Non è il primo a scagliarsi contro la razionalità che porta alla distruzione, i Dada di Henri Cartier Bresson combattevano la logica che aveva lasciato alla gente gli orrori della guerra, essi sostenevano che “l’unica via di salvezza era il rifiuto della logica per abbracciare l’anarchia e l’irrazionalità”. Con Banksy non si arriva a tanto, l’irrazionale che egli rappresenta non è altro che la realtà dei fatti raffigurata spoglia di perbenismo e talvolta mutuata in metafora – i “ratti” ripresi da Blek le Rat non sono altro che raffigurazioni animalesche dell’ “uomo comune”. – Ho trovato del Dada in questa mostra, ma ovviamente nel significato profondo insito nelle opere proposte, non nell’estetica delle raffigurazioni: qui le figure sono vivide e pulsanti, protagoniste di un contemporaneo “realismo sociale” che si staglia sulle pareti e si riflette nel nostro sguardo, le creazioni di Banksy fissano lo spettatore e –attraverso un’ironica pena del contrappasso – lo mettono spalle al muro, lo rendono impotente e incapace di discostarsi.
L’intera opera dell’autore britannico può essere osservata da più punti di vista: in “continuum” con la nascita della Street Art, come emblema di un filone artistico che tutt’ora stenta ad essere riconosciuto come arte a tutti gli effetti e come mezzo di diffusione di notizie attuali, le sue raffigurazioni infatti compaiono all’improvviso e si diffondono con la stessa rapidità di un messaggio su internet.
Le origini dell’operato di Banksy vanno ricercate a Bristol, dove intorno agli anni Ottanta compaiono le prime tracce di questa specifica espressione artistica, tipica di giovani esponenti appartenenti alla media e bassa classe urbana. Nel medesimo luogo si forma il “Barton Youth Club”, noto come sorta di “rifugio per delinquenti”, si tratta di un gruppo di giovani che fanno riferimento a John Nation. Quest’ultimo rimane affascinato dai numerosi e colorati “murales” di Amsterdam, osservati durante un viaggio di lavoro; il suo interesse presto si tramuta in “reportage” fotografico, poi decide di condividere la sua scoperta con i giovani del Club, mostrando loro le medesime immagini scattate di suo pugno. Dell’originario gruppo di artisti di Bristol fanno parte, tra i tanti, 3D, Zboys, SP27, Mr Jago e lo stesso Bansky.
All’inizio i membri della compagnia utilizzano la medesima tecnica, sia per concretizzare le opere, sia per apporre le loro firme ( il “tagging”): il colore viene spruzzato sui muri o sui supporti attraverso un “aerosol”.
È proprio Banksy ad allontanarsi dalla consuetudine, differenziandosi per l’utilizzo degli “stensil”, strumenti che andranno a caratterizzare i suoi elaborati.
Mentre ci si avvicina alla mostra, non solo vanno tenute in considerazione tutte le riflessioni di cui sopra, ma in più non va dimenticata l’antica lezione duchampiana, che ha in effetti cambiato – e stravolto- la storia dell’arte: con i suoi “ready-made”, il sommo artista Dada abolisce qualsiasi significato o valore alla manualità dell’artista, l’artista, non è più colui che sa fare cose con le proprie mani, ma colui che sa proporre nuovi significati alle cose, anche per quelle già esistenti.
Come si suol dire, cari lettori, me la sono proprio goduta questa esposizione.
Oltrepassato il tappeto rosso, mi addentro nel percorso segnato dalle pareti appositamente erette per ospitare “murales” a grandezza naturale e copie incorniciate; predispongo il giusto stato d’animo, ossia quello di osservare la realtà con i suoi contrasti, con le sue ironie e con la follia crudele tipica della specie umana.
Tutti i lavori che vedo mi colpiscono, tutti meriterebbero una lunga e attenta riflessione, ma il tempo scorre spietato, mi riservo di ritornare su ciò che più mi coinvolge al termine del percorso, come spesso faccio alle mostre che visito.
Tra le varie riproduzioni scelgo su quali risoffermarmi: in primis“Laugh now”, evidente riferimento ad un “cult” del cinema per i coscritti della generazione di Bansky, “Planet of Apes”, l’opera ci spinge a riflettere sul tema dell’oppressione. Le scimmie, nostri predecessori secondo la teoria evoluzionistica di Darwin, vengono esposte negli zoo e sottoposte a orribili esperimenti, è questo il rispetto che mostriamo ai nostri antichi antenati? È davvero quella umana la specie più evoluta?
In “Sales ends” l’autore invita a esaminare l’attuale società dei consumi. Diverse figure velate, riferibili all’iconografia religiosa, si disperano e pregano davanti ad una scritta pubblicitaria: “Lo sconto finisce oggi”, con questo gesto drammatico le astanti rappresentano lo zelo con cui le società contemporanee riconoscono i prodotti di consumo. Sempre alla stessa tematica appartiene “Christ with shopping”, attacco clamoroso non solo al consumismo in generale, ma, nello specifico, al Natale, festa cristiana volta all’esaltazione della pace e degli affetti, ora tramutata in occasione di isteria consumistica di massa.
Ancora una volta l’iconografia religiosa viene usata per riflettere sulla scomoda e terrificante realtà dei fatti: “Toxic Mary” è una serigrafia in cui la Vergine sfama il Bambino con una bottiglietta di rifiuti tossici, con questa peculiare e terrificante Sacra Rappresentazione Banksy denuncia i conflitti bellici combattuti per ovvi motivi economici, nascosti da motivazioni religiose sfocianti nel fanatismo.
Di particolare impatto è “Napalm (cant’t beat that feeling)”, realizzata con olio ed emulsione su tela; impossibile non riconoscere la ripresa della celeberrima fotografia di Kim Phuc, scattata durante la guerra del Vietnam. La bambina al centro dell’opera di Banksy – e centrale anche nella foto di Phuc- è tenuta per mano da due conosciutissime icone culturali. Topolino e Ronald McDonald avanzano imperterriti, sorridono mentre la vittima si dispera e quasi inavvertitamente si fanno beffe del disastro della guerra. I due personaggi ci distraggono, attirano la nostra attenzione e dirigono la simpatia dell’osservatore dalla vittima all’oppressore.
Non vi accompagnerò, cari lettori, opera dopo opera, commentando ogni singola raffigurazione, al contrario, spero con queste indicazioni di avervi incuriosito e di avervi fornito una generale chiave di lettura per approcciarvi ad un genere artistico così peculiare come quello della Street Art.
Tuttavia sarebbe ingiusto terminare tale pezzo senza menzionare una delle immagini più iconiche di Banksy : “Girl with balloon”.
Il lavoro è stato scoperto sul muro della scalinata della South Bank di Londra nel 2002; l’elemento chiave dell’elaborato è la speranza, che si erge vittoriosa nonostante le cupe e avverse condizioni di vita degli individui. Bansky volutamente utilizza ambienti sporchi e trascurati per rappresentare gli attuali tempi difficili, ma al contempo egli sottolinea come la felicità sopravviva imperterrita alla sofferenza.
L’amore predicato dall’anonimo streeet artist è il palloncino rosso sangue che vola leggero nel vento, non sappiamo se la bambina lo ha perso, non sappiamo se una qualche folata lo sta portando verso la manina tesa ad afferrarlo, sappiamo però che esso rappresenta un bisogno umano fondamentale, motivo per cui esso merita e deve essere coltivato.
Non vi sono risposte che si possano trarre dalle opere di Banksy , solo sollecitazioni a migliorare noi stessi, in nome di un’umanità che sia degna di portare questo nome.
ALESSIA CAGNOTTO
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