Al Collegio “San Giuseppe” la passione e la morte del Cristo come destino universale dell’Umanità

“Crocifissioni”

Fino al 14 aprile

“Guardando Gesù nella sua passione, noi vediamo come in uno specchio le sofferenze dell’umanità e troviamo la risposta divina al mistero del male, del dolore, della morte”: con queste parole Papa Francesco sintetizza nel suo più intimo significato il tema della morte in croce del Cristo Redentore. Passione e morte per la salvezza dell’Uomo, che pure partecipa, nella sua avventura terrena, all’inciampo del dolore, dell’emarginazione, della tortura, della passione e della morte. Su questa linea intende proporsi la riedizione aggiornata della mostra “Crocifissioni” nuovamente ospitata, in periodo quaresimale – dopo lo stop imposto nel marzo del 2020 dalla pandemia – nelle sale espositive del Collegio “San Giuseppe” di Torino, oggi certamente fra i più importanti centri di promozione culturale cittadina.

Curata da Fratel Alfredo Centra (direttore dell’Istituto lasalliano), da Francesco De Caria e da Donatella Taverna, la rassegna si articola in oltre sessanta opere, a firma di una buona quarantina di artisti. Dipinti, sculture, disegni e grafiche, in cui “si vuole proporre all’attenzione del pubblico – sottolinea De Caria – il triste fenomeno presente in ogni società, in ogni epoca, in ogni cultura, della sopraffazione del fratello sul fratello, del potere violento, della politica deviata”. E Dio sa quanto oggi, più che mai, il nostro mondo affoghi nella barbarie vigliaccamente generata da simili situazioni. Non dunque “Crocifissione”, ma “Crocifissioni”.

Cui partecipa l’intera umanità. E la Chiesa. Come, in mostra, ammonisce “La Chiesa Cattolica” seconda variante di quattro imponenti dipinti (dalla fervida lezione rinascimentale) realizzati dal torinese Ottavio Mazzonis (Torino, 1921 – 2010) fra il ’90 e il ‘98. Appeso alla Croce non il corpo del Cristo, ma solo il freddo “sudario”, a simboleggiare il “calvario” della Chiesa odierna, e intorno il dolore senza fine di Maria e discepoli. Dolore in cui si fa luce intensa il grande disco lunare, monito di attesa Risurrezione, proposto dal disegno “Nel buio la luce” di Carla Parsani Motti, mentre dolore assoluto senza fine resta quel Cristo “lanciato in una dimensione di profondità atemporale, in cui la Maddalena è ridotta ad un volto rovesciato indietro” del “Jesu, dimitte nobis” di Luigi Rigorini.

Così come passione terrena affondata nella storia è anche l’orrore dei lager nazisti (mirabile l’“Arbeit macht frei!” dell’alessandrino Franco Pieri) e dei gulag sovietici, non meno che dell’ignobile genocidio armeno. E qui come non pensare all’immagine ormai divenuta iconica del ligneo “Cristo Salvatore” della Cattedrale armena di Leopoli, nascosto nei giorni scorsi in un bunker per sfuggire alla meschina brutalità della guerra russo-ucraina? Sul tema, troviamo in mostra anche una bellissima “Croce armena” di Isidoro Cottino, con bracci fioriti in oro su un fondo di un intenso azzurro lapislazzuli e il Cristo dalla figura quasi astratta in una tela di sacco dorata. E ancora i dettagli. Gli oggetti del martirio.

Singolari i “Chiodi”, tracciati con lievissimo segno da Eugenio Gabanino che si associano per dolorosa intensità espressiva al bronzeo “Crocifisso” di Adriano Alloati (Torino, 1909 – 1975). Senza la figura del Cristo anche le tre croci, simili ai primissimi “patibula” del IV secolo posti in lontananza su un atipico Golgota (“Luogo del cranio”) da Pippo Leocata e sorvegliati dai suoi indefiniti guerrieri dell’antica etnea Adranon, sua città natale. Svariati gli stilemi. Estremamente eterogenee le impostazioni narrative.

Di nome in nome, fra i molti artisti presenti in mostra ricordiamone ancora alcuni: da Guido Bertello a Stefano Borelli a Pietro Canonica alla Luisa Porporato, accanto a Laura Maestri a Jean-Louis Mattana e a Renzo Igne. Originale la visionaria leggenda del “pettirosso” di Nick Edel e la complessa narrazione di Rosanna Campra. E poi, il tradimento, preludio al martirio, nel cupo “Bacio di Giuda” di Giovanni Taverna e ancora il dolore estremo negli inchiostri di Giacomo Soffiantino, nell’uccello trafitto di Sandro Lobalzo come nei rami e spine di Franco Sassi e nelle pagine famigliari di Michele Tomalino Serra, fino all’immagine in acquaforte di Lucia Caprioglio del mandylion (il panno con cui la Veronica asciugò il volto di Gesù grondante sangue e sudore) e allo straniante surrealismo di Vito Oliva, di Giorgio Viotto e di Sergio Saccomandi.”Gesù sarà in agonia – ricorda Fratel Alfredo, citando Pascal – fino alla fine del mondo: non bisogna dormire fino a quel momento”. Saggio monito. Di innegabile, drammatica attualità.

Gianni Milani

 

“Crocifissioni”

Collegio San Giuseppe, via San Francesco da Paola 23, Torino; tel. 011/8123250 o www.collegiosangiuseppe.it

Fino al 14 aprile

Orari: dal lun. al ven. 10,30/12 e 16/18; sab. 10,30/12

Nelle foto

–       Ottavio Mazzonis: “La Chiesa Cattolica”, seconda variante

–       Luigi Rigorini: “Jesu, dimitte nobis”

–       Isidoro Cottino: “Croce armena”

–       Pippo Leocata: “La lancia 1”

–       Adriano Alloati: “Crocifisso”

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