L’angolo della Poesia di Gian Giacomo Della Porta: Marco Isidori

Navigazione fluviale, giovane Orinoco verde, per Marion D’Amburgo che possiede lo sguardo del dio/ da Poesie militari, Marco Isidori, 1985

Navi eventuali sciolgono la monta dei piani nuvolosi che s’organizzava sottraendo

alla guerra principale l’acuminato blu proprietario della punta di lancia arrotata

degli affluenti del fiume brillante e conica meraviglia sul troncone degli armati di luce propria

conseguentemente vestiti col mantello capace d’includere il traino basato sul misfatto solvente

che trabocchettò la scarpa bianca sulla pellicola consistente di sangue perlato.

Il cielo schianterà completa la bocca perciò abbandonando alla prevalenza della gravità

bianco l’urlo e bianca la naufragata biancacoda densa sovraintendente

alla generazione subacquea degli organi riproduttori assegnati ai mammiferi mondiali

dei mondi estremi e se ce n’è d’oceanica totale la classe convenuta al quadrato bagno iniziale

prima che la geometria fosse e fosse attaccata dal branco presente dei lupi verbanti,

la folla nasce di questi giganti, e vive da un seme d’inchiostro bic nero che l’arbitro vero non è,

per adesso.

Se il numero di molte vette di parola che dicono verdi le sfogliate pinne delle verdesche

a centinaia allineate nel progetto  di un mio vivo traghetto gettato tramite la doma del corpo

di quei pesci messo fissato fisso e irretito dalla ferrea trama dei versi che s’agganciano

alla criniera dei fratelli maggiori lanciati in carriere che spolverano il mondo, s’indovina,

è perché l’esatto confine del numero che gela il sangue e la sua dolce insipienza si trasforma

in gastronomia, si può tracciare senza tema d’orrore alcuno; ce ne telegrafa l’inaudita potenza

numerosa l’abaco celeste con la bella calma a disposizione dei grandi pallottolieri quando

li facciamo postini muti che bisogna far lavorare tanto e tutta tagliata la lingua alla canzone

sentirla egualmente in maestà sterminata la musica loro calarsi sul naso museruolato

degli squali giù per il filo ferrato teso ancora dalla bocca delle parole alla mia

che ancora scia rossa il sentiero di guerra aperto dallo scarponcino meraviglioso chiodato

sì e sì risuonante di tempestose lacrime sì fiume nel fiume divino sì che la porpora reticolata

sfoderi il suo viola la ripiena e d’amore fornito d’un’accordatura micidiale che intrecciar

possa l’oro universo del verso poetico nella corda sufficiente per il cappio del sole.

L’elica ammazza la luce e i brandelli superstiti eccoli in fuga franare alle rive di fieno

della foresta e il suono suo di rotore fatto pieno rotante tondo suono ecco si spinge sul pelo

della corrente arcionata d’abisso e già che si tiene la notte, lei, sulla groppa intrisa

mette anche la spugna del lunario gradinato nel docile smeraldo delle sponde artificiali

figlie d’un etimo schiacciante e implacato e goffo e rauco smagliatore di verità qualsiasi

nella smagliante mafia delle stelle.

Nottetempo è sbalordito dalla febbre e invaso dal nero colore che sta ripassando

la parte del notturno tropicale mal fatta perché giù di corda son le vocali e già in disaccordo

con quel suo baule d’inchiostro fabbricato apposta per tingere il semplice caso corrente:

cioè che il racconto della notte a queste latitudini, altro non deve essere

se non è lo spessore della pioggia bianca fino alla dannazione di doverlo in qualche modo

stanare sto bianco colore dal respiro della perla nera madre perla finta e, lacerate le insegne

dell’ordine naturale, permettendogli l’affronto supremo allo stato, quello dei cieli compreso,

composto all’ora dal trionfante assortimento dei fondali utili a prospettare per la grande foresta

l’alba con una sola ala, l’alba ripetente che non può diventar giorno pieno, volante,

né bene dormire sull’oceano neppure, se il verde congegno dell’oceano perlato,

che le farebbe e presto raggiungere la luce conclusiva, appare nel corso orizzontale

di questo navigare, come nel Romanzo, l’acquaverde maiolicata della piscina grande, appare.

Le foreste centroamericane avvenivano.

***

Marco Isidori è poeta, attore, fondatore della  Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa, compagnia teatrale tra le più originali e note del panorama artistico internazionale.

Poesia, musica e teatro si fondono perfettamente nell’opera di Isidori, eccellente nella sua personalissima riscrittura dei grandi testi classici, nei quali le parole diventano musica e la musica si fa verbo fino a diventare una sorta di ponte emotivo che collega il pubblico al vivo palco.

il testo che qui vi ho proposto in forma leggermente ridotta, che conserva comunque il suo originale spirito e consegna al lettore un grande esempio della poetica di Isidori,  “Navigazione fluviale, giovane Orinoco verde, per Marion D’Amburgo che possiede lo sguardo del dio”, fu portato in scena a Palazzo campana nella primavera del 1989. Condivido e cito il commento contenuto nel libro curato da Davide Barbato “I teatri della Marcido Marcidorjis e Famosa Mimosa” (Editoria e Spettacolo, collana Paesamenti): “…due poesie che molto distano nei cataloghi ufficiali, ma solidali invece e bene, nell’attore che su di esse, veicolo e anche passaggio, tenterà di scovare una traccia della propria necessità, esile. Un telaio di luce acquatica permette al poema dedicato a Marion D’Amburgo di torcersi e gonfiare fino alle proporzioni dell’epica, conservando al carattere suo di congegno barocco, la forza di attingere la sensibilità prismatica che lo riempie da uno spettro speciale, inteso come speciale della specie”.

Per quanto mi riguarda, so che ogni immagine, ogni verso che porti in sè la scelta meticolosa e curata della parola, finalizzata all’esaltazione della bellezza e del sentimento, è poesia. La forma stilistica, la ricchezza di contenuti che diventano una firma inconfondibile dell’opera di Isidori, mostrano un talento affinato e complesso che merita una lettura e una rilettura.

Gian Giacomo Della Porta

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