Il Carnevale torinese: una tradizione colorata e ostinata

Viva i coriandoli di Carnevale, / bombe di carta che non fan male!/ Van per le strade in gaia compagnia /i guerrieri dell’allegria: /si sparano in faccia risate /scacciapensieri, /si fanno prigionieri /con le stelle filanti colorate. /Non servono infermieri / perché i feriti guariscono/ con una caramella. /Guida l’assalto, a passo di tarantella, /il generale in capo Pulcinella./ Cessata la battaglia, tutti a nanna. /Sul guanciale /spicca come una medaglia/ un coriandolo di Carnevale. (Gianni Rodari)

Sarebbe il tempo delle maschere, dei coriandoli per terra, degli scherzi e della baldoria dilagante. “Sarebbe”, perché è difficile entrare a pieno nello spirito festaiolo in questo preciso periodo storico: gli strascichi della pandemia ancora non si affievoliscono, la promessa del termine dello stato d’emergenza non ci risolleva il morale, soprattutto ora che televisioni e giornali ci parlano costantemente di una guerra troppo vera e troppo vicina.
L’altro giorno ero in centro e nonostante tutto, per fortuna, mi è capitato di vedere molti bambini travestiti, correvano sguaiatamente sotto i portici di via Po, infastidivano i passanti più lenti, mentre i genitori tentavano di riacchiapparli. Immagini bellissime, cari lettori, scene che mi hanno fatto sorridere e sperare davvero in qualcosa di migliore. Mi spiace per l’ovvietà melensa, eppure sono loro quelli su cui dobbiamo puntare, quelli così piccoli che ancora non dipendono dai cellulari e dai social, quelli che ancora guardano il mondo come fosse un’enorme giostra, fregandosene dei grandi benpensanti che gli dicono che un qualcosa non si fa perché sconveniente.
Mi ha stupito veder entrare quegli stessi bambini a curiosare nella piccola esposizione a cui anch’io ho partecipato: “Il carnevale degli artisti”, adibita presso il Chiostro della S.S. Annunziata in via Po 45, partecipano all’esposizione numerosi autori torinesi facenti parte di due storiche associazioni del territorio, i Vanchigliesi e il Circolo degli Artisti.
In questa particolare occasione sono esposti al pubblico diverse rielaborazioni personali del tema del Carnevale, maschere dietro cui si scorgono vivaci occhi azzurri, altre invece, segnate dall’inquietudine di orbite vuote, sculture, dipinti e fotografie che rendono tangibili i diversi approcci ad una delle feste più antiche di sempre.
Mi è piaciuto osservare i “piccirilli” sgranare gli occhi davanti a tutti quei colori, osservavano e giudicavano con fermezza le opere che più li colpivano, li ho ascoltati in sacrale silenzio mentre additavano la mia fotografia e concordavano nell’indicarla come “inquietante”.

È giusto, cari lettori, che a dispetto di tutto si continui a festeggiare. È giusto intestardirsi nell’organizzare piacevoli occasioni di festa e condividere il tempo, mantenendoci solidali in momenti così assurdi e difficili. La stessa Torino, la cui Mole ha preso in queste sere i colori della pace per manifestare contro lo scontro bellico russo-ucraino, offre varie attività da svolgere in compagnia in questo breve periodo carnevalesco. Sono diverse le mostre degne di nota, tra cui mi sento di raccomandare “The World of Banksy”, adibita a Porta Nuova, l’esposizione dedicata ai ritratti fatti a Frida Kahlo a Stupinigi, dove è ancora visionabile “ANIMALS”, la raccolta fotografica del celeberrimo Steve McCurry, e ancora vi consiglio “Vivian Maier-Inedita”, presso Palazzo Chiablese.
Non è un caso che mi soffermi sulle manifestazioni artistiche, poiché “la cultura condanna chi impedisce con la violenza il dialogo nel segno della pace” – affermazione tratta dal commento di solidarietà rispetto agli artisti russi che coraggiosamente non hanno voluto esporre alla Biennale di Venezia. –
Davanti a certe situazioni abbiamo tutti le mani legate, spesso le decisioni prese “dalle alte sfere” risultano a noi, popolino inerte, davvero intangibili. Vi è però qualcosa che possiamo fare, rimanere attenti e curiosi pensatori, accrescere il nostro bagaglio culturale, continuare a mantenere la mente attiva, affinché quel “logos”, che gli antichi tenevano in così alta considerazione, sempre ci guidi nella scelta tra il bene e l’orrore. Troviamo dunque la forza di sorridere e, perché no, di indossare al volo qualcuna di queste maschere di Carnevale.
La tradizione della festa è antica e ricolma di simbologie pagane legate al risveglio della natura.
Dal punto di vista etimologico, l’interpretazione più accreditata vuole che la parola derivi dal latino “carnem levare”, ossia “eliminare la carne”, termine connesso all’ingordigia del banchetto che si tiene l’ultimo giorno di festa, il così detto “Martedì grasso”, giusto prima del periodo della Quaresima, segnato dall’astinenza e dal digiuno.
Altre ipotesi pongono l’accento sulle attività di festa, per cui secondo alcuni l’origine del nome della festa deriverebbe da “ carnualia”, “giochi campagnoli” o dalla locuzione “carrus navalis”, cioé “nave su ruote”, espressione che indicava i primigeni carri carnevaleschi, tipici dei cortei pagani.

I primi usi del vocabolo risalgono al finire del XIII secolo e si trovano in alcuni testi del giullare Matazone da Caligano o in quelli del novelliere Giovanni Sercambi.
Ciò che colpisce è che tra le varie festività, il Carnevale è quella che ha meglio conservato i suoi antichi tratti precristiani, non solo, tale occasione è anche rimasta estranea al calendario scandito dalle feste religiose.
Il “clou” dei festeggiamenti si svolge proprio il “Martedì grasso”, giorno che precede il “Mercoledì delle ceneri”, indicato anche come “cinerum”. È il mercoledì che precede la prima domenica della Quaresima, considerata nelle Chiese cattoliche di rito romano e in molte Chiese protestanti, come periodo liturgico “forte”, a carattere battesimale e penitenziale in preparazione della Pasqua cristiana. L’elemento centrale della ricorrenza è la maschera, oggetto peculiare, dietro al quale si celano figure arcaiche, come “l’uomo selvatico” o l’ “orso”, animale simbolo della vita agreste e collegato ai ritmi naturali: esso va in letargo d’inverno, mentre l’attività dei campi è sospesa, e si risveglia in primavera, quando la natura rinasce e si possono consumare le scorte di cibo senza il timore che il freddo duri più del dovuto. L’antropologo Piercarlo Grimaldi si sofferma ad approfondire l’importanza della maschera-orso, sottolineando che “l’orso è una figura pagana, incorporata in molti carnevali tradizionali. Spesso appare come essere selvaggio che si finge aggressivo e viene poi domato, magari da una fanciulla, segno del suo passaggio dall’animalità all’umanità”.
Sono tuttavia innumerevoli le tipologie di maschere utilizzate a Carnevale, così come sono assai diversificati i personaggi a cui si fa riferimento per travestirsi e interpretare, almeno per un giorno, una parte diversa dall’essere se stessi. In tal senso, a Venezia soprattutto, in tempi ormai lontani, era solito che gli uomini si camuffassero da donne, tra i costumi più utilizzati vi era il tipo della Gnaga, la popolana beffarda a sua volta mascherata da gatta.

Si assiste in tale occasione all’inversione sociale dei ruoli, attraverso la realizzazione – seppur temporanea – di un “mondo alla rovescia”, in cui vi è l’abolizione dei rapporti gerarchici e delle autorità. È dunque “un rito legato alla rigenerazione della comunità”, citando sempre Grimaldi, è un’occasione che diventa riequilibrazione sociale e che si conclude con la speranza di purificarsi dai peccati passati, attraverso il rogo del fantoccio. Il pupazzo appositamente creato diveniva protagonista di un farsesco processo, ad esso erano imputati i mali e le colpe, i vizi pubblici e quelli privati, la sua condanna segnava il termine della festa, nonché l’inizio di una nuova fiducia verso un tempo migliore.
Le origini del Carnevale si possono ricercare nei Saturnalia, festa romana dedicata al dio Saturno, che si svolgeva tra il 17 e il 23 dicembre. Secondo quanto riportato dagli studiosi, si tratta di giorni vissuti all’insegna dell’allegria, dello stare insieme, del condividere lauti banchetti e nel farsi simpatici scherzi vicendevolmente. Durante i vari convivi è eletto il “Rex Saturnaliorum”, figura a cui tutt’oggi è associato il “re del carnevale”, ossia una burlesca autorità che è il protagonista assoluto della celebrazione. Anche il rovesciamento sociale è elemento importante dei Saturnalia, altra motivazione che lega il nostro Carnevale all’antica festività.
Nel mondo romano vi erano anche le celebrazioni in onore della dea Iside, durante le quali presenziavano cortei di uomini mascherati, come ben esplica Lucio Apuleio, il quale, nell’XI libro delle Metamorfosi, racconta di un tale, rinominato Mamurio Veturio, coperto di pelli di capra, portato in processione e continuamente preso a bacchettate.
Anche le feste dionisiache greche presentano caratteri comuni, come il temporaneo scioglimento dagli obblighi sociali in favore dello scherzo, della dissolutezza e di un vero e proprio rovesciamento dell’ordine costituito.

A Babilonia, invece, durante le “antesterie”, si assisteva al passaggio di un carro che avrebbe dovuto restaurare il cosmo dopo il ritorno del caos primordiale. Le festività si svolgevano dopo l’equinozio di primavera, in tali giornate veniva attualizzato il mitico processo di formazione dell’Universo, descritto attraverso l’antico scontro tra Marduk, il dio salvatore, e il drago Tiamat. Secondo le fonti, la celebrazione prevedeva lo svolgimento di una processione in cui veniva rappresentata la morte e la resurrezione del Salvatore Marduk, allegoria delle forze del caos in antitesi con la creazione dell’Universo.
La festa del Carnevale si inquadra così all’interno di un ciclo dinamico che vede la libera circolazione degli spiriti tra cielo, terra e inferi. Quella che ci appare come una semplice mascherata ha in realtà una profonda dimensione metafisica che riguarda l’uomo e il suo destino. In primavera, in concomitanza con il risvegliarsi della natura che manifesta le sue prime energie, il Carnevale apre un passaggio per le anime, che dall’Aldilà possono riversarsi nel mondo dei vivi. Tali spiriti, affinché non diventino pericolosi, vanno onorati, attraverso il prestito di corpi provvisori: le maschere.
Tali oggetti assumono anche significato apotropaico, poiché chi le indossa assume le caratteristiche sovrannaturali dell’essere rappresentato.
L’usanza carnevalesca sopravvive al tempo, anche durante il Medioevo è un’abitudine popolare che pare non voler essere dimenticata; la Chiesa, non riuscendo ad estirpare un’usanza così radicata, cerca di porvi dei limiti, viene così istituita la Quaresima, che trasla avanti nell’anno il rito delle maschere. Il Carnevale diviene quel tempo circoscritto di abbuffate ed eccessi in netta contrapposizione con il tempo del digiuno e della penitenza. Agli ultimi giorni di festa, prima che la baldoria termini e che inizino i quaranta giorni di costrizione, si collega la Pasqua, altra festività “mobile”. Per quel che riguarda l’inizio della festa, dipende dalle tradizioni locali: il 26 dicembre (l’Epifania), il 17 gennaio (giorno di S. Antonio abate), il 2 febbraio (la Candelora).
Ogni località ha la propria tradizione da portare avanti, si pensi al celeberrimo Carnevale di Venezia, ai carri fiorati di Acireale o ancora alla “Battaglia delle arance” di Ivrea.
Torino è legata alle figure di Gianduja e Giacometta, maschere della tradizione piemontese originarie della Commedia dell’Arte. Il primo è un bonaccione borghese sabaudo, amante del buon cibo e del buon vino, la seconda è la sua fedele innamorata e compagna.
Fino a qualche tempo fa non era insolito incontrare la bonaria coppia in giro per il capoluogo, ma adesso sembra essere tutto più complicato, il ridere pare faticoso e dopo tutte le mascherine che ancora indossiamo, metterne una diversa quasi non appare divertente.
Eppure “the show must go on”, cari lettori, come cantava il mitico Freddie Mercury, non è tempo di arrendersi.

Alessia Cagnotto

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