Quando ero piccola, la sera del 5 gennaio, lasciavamo una tazza di tè adornata di biscotti vicino alla finestra; ricordo il davanzale su cui posavamo la bevanda fumante e il tinello minuto da cui, all’ora di cena, il vapore della pasta scolata appannava i vetri della cucina; rammento che giocavo a disegnare faccine sorridenti con le dita, e al di là dei tratti creati dai polpastrelli spiavo la collina sorvegliata da Superga.
Uno dei nostri rituali familiari: la mamma prendeva dalla credenza – la stessa in cui si trovava il piattino per il Topolino dei denti – una chicchera del servizio “bello”, una di quelle in porcellana, decorata con fiorellini e rifinita in oro, la riempiva con la bevanda incandescente e poi sistemava il tutto vicino alla finestra. È per me un ricordo senza odori né suoni, una pura immagine nitida e immobile, una di quelle cose che mi torneranno immutate alla mente ogni qual volta riaffiori il ricordo.
Chissà in quanti perseverano in questa abitudine tutta italiana?
Chissà quante vetrate caserecce rifletteranno le sagome di infusi e biscotti nella notte tra il 5 e il 6 di gennaio?
Mi è sempre piaciuta la ricorrenza dell’Epifania, ancora oggi appendo simpatiche befane alle maniglie delle porte di casa, anche se è ormai da un po’ che mi dimentico di preparare la colazione notturna per la vecchina. D’altronde crescere significa anche questo, mettere in secondo piano tutte quelle piccole cose che un tempo erano tanto importanti.
Questa volta però vorrei contribuire anche io ad alleviare il viaggio della Signora che ci porta via le feste, scrivendo questo pezzo sulla sua storia, nella speranza di allietare voi, cari lettori, e magari anche lei, chissà che, mentre sorseggia un the su qualche davanzale, tirando fuori da una tascona rattoppata un inaspettato tablet, si metta a leggere queste mie parole.
E intanto che mi accingo a chiacchierare con voi, la nostra bella Torino si organizza per offrirci un 6 gennaio ancora di festa; èpossibile approfittare del momento di “relax” passeggiando per il centro, adocchiando qualche saldo anticipato, oppure andando a teatro o al cinema, o ancora ci si può giovare dell’occasione per visitare qualche museo. Se posso, vi consiglierei caldamente la visione di “Diabolik”, pellicola dei Manetti Bros con Luca Marinelli, Miriam Leone e Valerio Mastandrea; un film che si presta ad occupare il post-serata, discorrendo sul tema della maschera – ogni personaggio ne indossa una – sul rapporto inscindibile tra la sinuosa e spietata Eva e il protagonista, sul gioco psicologico che li tiene legati e collegati in una continua sfida, in cui entrambi perdono e contemporaneamente credono di vincere.
Se invece non amate il genere del cinefumetto vi inviterei a visitare due mostre: “Kakemono. Cinque secoli di pittura giapponese” adibita presso il MAO – Museo d’Arte Orientale o quella dedicata alle imponenti sculture di Fabio Viale, ai Musei Reali. La prima èun’esposizione di preziosi dipinti e oggetti giapponesi, provenienti dalla Collezione Claudio Perino, puntuale conoscitore dell’arte orientale e uno dei principali mecenati del MAO; il secondo allestimento invece è incentrato su un dialogo costante, tra spazio e pubblico, tra antico e contemporaneo, tra architettura e luogo urbano, l’arte di Viale infatti unisce patrimonio culturale e gesto creativo e spiazza lo spettatore, ponendolo di fronte ad una rivisitazione odierna di qualcosa che per noi tutti è “intoccabile”.
È tuttavia innegabile che l’atmosfera, qualsiasi attività si decida di intraprendere, è ormai malinconica e nostalgica. Il Natale, quella che per i più è la festa più attesa dell’anno, è ormai passato, e la bella stagione pare ancora più lontana di quanto non sia in realtà.
La nebbia e l’umidità non ci aiutano, cari concittadini, ma questa èTorino e questo è il momento di farci forza e resistere fino allo sbocciare delle prime gemme.
Torniamo dunque a noi e al proposito che mi sono data: un breve racconto della festa dell’Epifania e delle origini della vecchietta che elargisce carbone e dolcetti.
Prima di tutto è opportuno sottolineare che l’Epifania è una festa italiana pressoché sconosciuta nel resto del mondo. In molte regioni, ancora oggi, si eseguono nel giorno del 6 gennaio rituali con caratteristiche simili a quelli del Carnevale, in cui il Maligno viene scacciato dai campi grazie al fracasso di pentoloni fortemente battuti, o vengono accesi fuochi imponenti o ancora si costruiscono fantocci a forma di vecchia che poi devono essere arsi nella notte seguente.
Il nome della protagonista della festa deriva dalla corruzione lessicale del greco “epifáneia” “manifestazione”, attraverso “bifania” e “befania”, fino all’attuale “befana”.
Dell’anziana figura folclorica la caratteristica principale è quella del consegnare regali ai bambini, qualità che la collega ai personaggi di Babbo Natale e San Nicola, ma anche alla tradizione romana dei Saturnalia, festività in cui si scambiavano le “strenne”, ossia i “doni augurali”, dal latino “strena”, “regalo di buon augurio”.
Si tratta di una ricorrenza dalle origini antiche, le cui radici affondano, così come per il Natale, nelle usanze precristiane e popolari, a cui poi nel tempo si aggiungono elementi folcloristici e credenze religiose. È necessario fare riferimento ai riti pagani risalenti ai secoli X- VI a.C., diffusi soprattutto nelle aree germaniche e austriache, ma similari a rituali tipici delle popolazioni che vivevano, nello stesso periodo, nella penisola italica. Sono celebrazioni legate ai cicli stagionali, al propiziare gli dei per i raccolti e all’auspicio di una florida rinascita di Madre Natura; abitudini che si ritrovano poi nell’uso romano, quando, tra il solstizio d’inverno e il “Sol Invictus”, venivano indetti banchetti e feste per esorcizzare, in compagnia di amici e parenti, la comune paura causata dalle notti più lunghe dell’anno. Si tratta di dodici notti durante le quali era comune credenza che figure femminili si librassero sui campi coltivati per favorire la fertilità dei nuovi raccolti. Ed è da qui che viene il mito della “figura volante”.
Vi sono diverse ipotesi su chi fossero queste signore notturne, secondo alcuni si tratta di Diana, dea lunare, legata alla caccia e alla vegetazione, secondo altri invece è Sàtia, dea della sazietà, mentre secondo altri ancora è Abùndia, dea dell’abbondanza.
È doveroso approfondire il discorso sulla personificazione femminile della natura invernale, evidente nella tradizione nordica del centro e del nord Europa. In queste zone si diffonde il culto di Perchta, “La splendente”, anche nota come “Signora delle bestie” e guardiana del mondo animale. Secondo la mitologia è cugina di Holda, e come lei compare sulla terra nel periodo compreso tra Natale e l’Epifania; Perchta può assumere due forme, la prima come bella e nivea fanciulla, la seconda come vecchia, rugosa, gobbuta e dal naso adunco, con capelli bianchi scompigliati e completamente vestita di stracci. Quale versione abbia riscosso più fortuna è evidente. In ogni caso Perchta è benevola, cammina con le scarpe usurate sui campi per dodici notti consecutive, rendendo propizio il raccolto, il suo errare termina in concomitanza con la nostra Epifania.
Perchta o Berchta, visita le case dei villaggi e si compiace nel trovarle in ordine e ben rassettate, al contrario non apprezza la pigrizia e disdegna le abitazioni poco pulite; protegge i bambini e le filatrici e, secondo il comune credo, è solita farsi vedere da chi, il 6 gennaio, lavora il fuso, a codeste persone regala arcolai e conocchie vuote, incitando le fanciulle a tessere in modo impeccabile: chi fosse riuscita nell’intento avrebbe ricevuto numerosi doni, chi invece avesse ingarbugliato il filo sarebbe stata vittima di dispetti da parte della Dea. Berchta è anche “Signora del Corteo delle Fate”, di cui fanno parte folletti, streghe, fate e animali, tra cui spicca una grande oca zoppa, vi sono poi anime di bambini e oggetti magici, soprattutto scarpe che camminano da sole.
Altre figure convergono e si sovrappongono a Perchta. La dea Holda o Holla e Frigg, Madre Divina anche conosciuta come “Colei che viene prima di tutti gli altri”.
Holla, dagli occhi luminosi, è la “Signora dell’Inverno”, custode del focolare, protettrice della casa, degli animali domestici e della filatura. Solitamente ha l’aspetto di un’anziana signora, dal volto rugoso e dai capelli canuti; è solita scendere nei campi innevati nelle notti vicine al solstizio d’inverno, benedice il terreno e si assicura che la terra sia fertile per le prossime semine. La dea ha al suo seguito altre divinitàfemminili che cavalcano con lei in groppa a grossi gatti, inoltre fanno parte della sua schiera le anime dei bambini non nati o morti nei primi anni d’età. Holla – come Perchta – visita le case, entra dal camino edelargisce doni e fortuna nelle dimore in cui trova pulizia, ordine e armonia, al contrario maledice le abitazioni sporche e disordinate.
Infine vi è Frigg, nella cui figura confluiscono diversi aspetti di Holla e Berchta. È la madre di tutte le divinità, gli spiriti e le creature naturali; la dea protegge l’agricoltura e il bestiame, nonché il focolare delle case, veglia sui bambini e sulle madri. Tutto è dedicato a lei che ha creato il mondo, ma in particolare a Frigg è cara la filatura, poiché, secondo la leggenda, è lei la prima delle tessitrici. Le donne che lavorano bene il filo e portano avanti il lavoro con amore e dedizione saranno ricompensate, al contrario, chi esegue la tessitura in malomodo sarà severamente punito. Medesimo destino attende chi tiene in ordine la casa e chi al invece la trascura.
Da queste leggende si evincono alcuni caratteri tipici della nostra Befana: l’aggirarsi di notte, precisamente in quelle vicine al solstizio, il poter volare, il portare doni e l’essere di buon auspicio per chi in un qualche modo se lo è meritato.
La simpatica vecchina però ha con sé altri elementi simbolici che la rendono immediatamente riconoscibile.
Il fazzolettone la distingue dalle streghe anglosassoni, essa infatti non indossa nessun cappello a punta, ma una pezzóla di stoffa pesante, annodata in modo vistoso sotto il mento.
Vola su una scopa, simbolo di pulizia, purificazione e rinascita; la tradizione vuole che cavalchi l’oggetto “al contrario” rispetto alle altre streghe, tenendo le ramaglie davanti a sé.
La “vera” Befana tiene i doni in sacchi di iuta slabbrati e antichi quanto lei, talmente deformati da parere dei calzettoni enormi; dentro si trovano dolciumi e leccornie per i bambini buoni e carbone e aglio per chi invece è stato un po’ troppo monello. Il dettaglio del carbone èquel che rimane degli antichi rituali dei falò propiziatori, è simbolo del rinnovamento stagionale e ricorda anche i fantocci bruciati durante le celebrazioni.
A partire dal IV secolo d.C. la Chiesa di Roma inizia a condannare pubblicamente i riti e le credenze pagane, sottolineandone l’influenza satanica; le abitudini però, come sappiamo, sono assai radicate nei comportamenti del popolo e difficili a scomparire, ne consegue un’ovvia sovrapposizione di nuovi concetti su antiche cerimonie e una complessa miscelanza di credenze che nascondono sotto un velo cattolico elementi pagani intelligentemente occultati. La figura femminile che vaga nella notte per risvegliare la natura si tramuta in una strega, brutta e spesso spaventosa, ma comunque non maligna.
Ulteriore tentativo di cristianizzare la giornata del 6 gennaio sta nell’associare la figura della Befana ai Magi. Si racconta che, una notte, i sacerdoti incontrarono una vecchina, alla quale chiesero indicazioni per proseguire nella giusta via che li doveva condurre da Gesù; pare che la donna non solo non li aiutò, ma rifiutò l’invito degli uomini che la spronavano a proseguire con loro il viaggio. Secondo la leggenda, l’anziana si sarebbe poi pentita e avrebbe iniziato a pellegrinare per la terra, consegnando doni ai bambini che incontrava sul suo cammino, nel tentativo di espiare la propria colpa.
Nel 1928 è introdotta la festività della “Befana fascista”, giornata in cui vengono distribuiti regali ai ragazzini più poveri; dopo la caduta di Mussolini tale festività continua ad essere in vigore nella sola Repubblica Sociale Italiana.
Nel periodo più recente la Befana entra nel calendario legale inserendosi all’interno dell’anno gregoriano; a livello liturgico termina così il Tempo Liturgico forte, o natalizio, e comincia quello Ordinario, ed è per questo che si recita: “Epifania, tutte le feste porta via”.
Quello che apprezzo di tale giornata è il fatto che si continui a festeggiarla. È una delle poche usanze rimaste intatte, nonostante l’influsso della globalizzazione e la generale ondata di appiattimento delle culture, in nome di un “politically correct” che di corretto – a mio parere – non ha granché.
Altro aspetto che mi affascina è il concetto che persevera nelle diverse tradizioni e che sopravvive al tempo: la figura ingobbita ricoperta di stracci è metafora dell’anno “vecchio”, vissuto e consumato, è la secca natura invernale che volge al termine e ci lascia la possibilità di sperare nel periodo a venire.
La Befana è la Dea Anziana ormai pronta ad essere bruciata come un ramo secco, per far sì che dalle ceneri rinasca la Natura sotto la luna nuova, prima di perire però la donna distribuisce doni da piantare affinché nascano e crescano l’anno successivo.
È dunque il momento dei buoni propositi, quali sono i vostri?
Alessia Cagnotto
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