Una regia pubblica per dare efficacia al lavoro cruciale che le Fondazioni fanno nella cultura a Torino. Una regia necessaria per rilanciare il ruolo internazionale della città dopo il decennio di stanca seguito al boom olimpico del decennio 1997-2007.
Non si può parlare di cultura a Torino senza parlare di fondazioni. “Ci sono fondazioni di tipo diversissimo- specifica Verri-. Le fondazioni di origine bancaria hanno svolto un grandissimo ruolo di supplenza prima e di protagonista poi. Ci sono le fondazioni culturali specifiche e fondazioni che nascono da parte dei privati per mettere a sistema depositi, redditi e passioni di un certo tipo”. Tuttavia, “in questi ultimi anni è mancata totalmente una regia. Credo che tra i primi compiti della prossima amministrazione ci sarà quello di chiamare tutte queste fondazioni, fare un punto della situazione su quali sono le attività che hanno svolto fino ad ora e concertare quelle del futuro. Prendiamo, per esempio, la programmazione della Compagnia di San Paolo per i prossimi 5 anni: è un programma interessantissimo, ma non deve essere semplicemente concepito come qualcosa che i soggetti culturali studiano per avere dei fondi, deve essere condiviso dal punto di vista socio-culturale”.
Insomma, mancando “una regia pubblica forte, sia a livello comunale che regionale”, succede che “ciascuno va anche molto bene per conto suo, ma la città non si riconosce”. E quindi “per quanto queste cose funzionino non si sente più quell’orgoglio che c’era dieci anni fa. Perché? Perchè non c’è una vera condivisione, non c’è un luogo in cui tutti insieme si presenta cosa si vuole fare e dal quale si esce con un menù condiviso, che tutti conoscono”.
La proposta forte di Verri sulle fondazioni impatta sul lungo e faticoso dibattito sulla cultura come nuova grande vocazione di Torino. “E io credo che abbia funzionato benissimo per circa
dieci anni”, dice Verri. “La cultura ha avuto uno sviluppo enorme tra il 1997 e il 2007. Per arrivare al 2008, l’anno in cui la città era diventata la prima capitale mondiale del design, battendo la concorrenza perfino di Milano”. E poi? “Diversi fattori concreti. Come la crisi economica del 2008 ha acuito il debito provocato dalle infrastrutture parallele alle Olimpiadi.
Il debito della città non è dovuto alle Olimpiadi, ma alla scelta di trasformare la città in maniera potente in quella occasione. E poi la decisione di seguire un modello produttivo automobilistico datato”. Così, prosegue Verri, “C’è stato un momento di stop tra il 2009 e il 2019. Oggi è il momento di ripartire con un’idea di cultura molto diversa”.
Che dire di quanto fatto dall’amministrazione uscente? “Purtroppo, nell’ultimo quinquennio, ci si è messi in testa che tutta una serie di azioni che erano state avviate nei primi anni 2000 non andavano bene. Poi però verso la fine le posizioni si sono ribaltate: con l’appellarsi ai grandi eventi come unico modo per parlare ai cittadini e renderli soddisfatti di vivere in città. La legislatura Appendino si è aperta con un no secco a un certo modello olimpico e si è conclusa con un sì deciso alle Atp Finals come momento di visibilità della città”.
Quanto alle elezioni imminenti, Verri è in una lista che appoggia Lo Russo, ma Paolo Damilano viene dalla presidenza della Film Commission, una istituzione culturale con una buona fama. Non potrebbe essere l’uomo giusto per occuparsi di cultura?
“Penso che tutti e due i candidati principali abbiano un’ottima conoscenza di quale sia la programmazione culturale che in questo momento c’è in città. Ma credo che la compagine guidata da Stefano Lo Russo abbia le idee un po’ più chiare di come gestirla, perché ha delle competenze amministrative molto più forti e molto più specifiche”.
Ma soprattutto Lo Russo ha dalla sua parte “una tradizione di soggetti e di persone con una forte capacità di innovare. Dove innovare significa anche essere aperti alle nuove suggestioni del mondo. Questa innovazione deve passare soprattutto da una presenza di cittadini italiani di seconda e di terza generazione che devono essere più protagonisti”.
Dall’altra parte, fatta salva “la stima che ho per Paolo Damilano”, invece “la compagine che lui rappresenta dal punto di vista politico, specialmente a livello nazionale, porta avanti una forma di chiusura al futuro”. Insomma, sintetizza, “Dal punto di vista culturale i due candidati sono in una certa misura entrambi preparati, ma gli schieramenti di cui fanno parte fa sì che uno uno sia aperto e inclusivo e l’altro tenda alla chiusura e a un ulteriore ripiegamento della città su se stessa”. Mentre, aggiunge, “noi dobbiamo mettere in moto un meccanismo per avere più cittadini nuovi possibile. Perché abbiamo una città che sta invecchiando rapidamente e quindi dobbiamo fare produzioni e contenuti culturali adatti a questi nuovi giovani che arriveranno dal resto del mondo. Dobbiamo far sì che Torino sia leader di una
visione nuova della società. E che la cultura sia un modello fondante di questo nuovo modello sociale”.
La Torino che immagina Verri deve “far partecipare più gente giovane possibile. E creare un palinsesto più comprensibile e più fruibile. Le iniziative piccole o piccolissime sono state tante, ma trovo che spesso ci fosse più attenzione a chi voleva produrre che al pubblico. Siamo ancora a dei modelli culturali tradizionali e non c’è stato un significativo cambiamento. A livello internazionale negli ultimi dieci anni si sono viste delle trasformazioni nei modelli
culturali, mentre Torino è rimasta un po’ ferma”.
Ma quali sarebbero gli interventi prioritari in fatto di politica culturale? Verri dice di “mettere nell’agenda della dieta culturale anche il tema della scienza e dell’innovazione tecnologica”. E poi soprattutto “lavorare in maniera diffusa e non concentrare gli eventi culturali in pochi posti tradizionali. Bisogna, come nell’esperienza recente che ho fatto a Matera, co-creare insieme ai cittadini. Che divengano protagonisti di contenuti insieme agli artisti, agli scienziati, agli operatori dei media”.
L’obbiettivo è “che i cittadini possano usare meglio il patrimonio culturale della città per capire che vivere a Torino è una condizione di vantaggio competitive rispetto ad altre città non soltanto italiane, ma del mondo. Tutti devono essere in condizione di partecipare ad attività che facciano riflettere sul perché si sta al mondo, dove sta andando il mondo e che ruolo ciascuno di noi ha dentro esso. Queste cose le dice soltanto la cultura, per questo non deve essere più un settore separato ma permeare tutta la vita pubblica”.
E, aggiunge il manager culturale, “deve essere anche la base per trovare nuovi posti di lavoro, perché non si ha lavoro senza una base di conoscenza molto forte”. Verri fa un esempio: “Io adesso sono fuori dalla Tech Week alle Ogr. Chi non ha tutta una serie di competenze entra dentro questo spazio meraviglioso, dove si presenta il meglio di quello che sarà il lavoro del futuro, e non capisce niente, perchè non ha le basi culturali. Il nostro compito è dare più cultura diffusa e varia, non soltanto umanistica”.
«Agenzia DIRE»