In vista della Giornata mondiale dell’Amazzonia, che si celebra il 5 settembre, volontarie e volontari di Greenpeace si sono mobilitati anche a Torino in Piazza Carignano, come in molte altre città d’Italia, in difesa della foresta pluviale più importante del Pianeta.
Ai passanti è stato proposto un quiz per sondare la loro conoscenza sulle cause degli incendi e della deforestazione che mettono in pericolo l’Amazzonia. Dalle risposte è emerso come, spesso, i torinesi non siano pienamente consapevoli che gli incendi in Amazzonia sono legati anche ai nostri consumi. Eppure, ogni due secondi, nel mondo un’area di foresta grande come un campo da calcio viene rasa al suolo, soprattutto allo scopo di produrre soia per mangimi e per fare spazio a pascoli di bovini. Ciò accade in particolare in Sudamerica, dove gli incendi sono spesso dolosi. Nell’Amazzonia brasiliana, fra gennaio e luglio di quest’anno sono stati dati alle fiamme oltre ottomila chilometri quadrati.
“La grave perdita di biodiversità va di pari passo con le violazioni dei diritti umani.
Per oltre una settimana a Brasilia seimila persone appartenenti a numerosi Popoli Indigeni del Brasile hanno deciso di attendere insieme l’esito del giudizio della Corte suprema federale brasiliana sul futuro delle terre indigene protette del Paese. Mentre l’Amazzonia brucia, coloro che da sempre sono i custodi della foresta vengono cacciati dalle loro terre”, spiega Martina Borghi, responsabile campagna foreste di Greenpeace Italia.
La distruzione delle foreste è una minaccia per tutti. Ad esempio, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) avverte che il rischio di epidemie aumenta quando gli equilibri naturali sono alterati dalla deforestazione, perché si moltiplicano le occasioni di entrare in contatto con virus e batteri patogeni che dagli animali possono trasmettersi agli esseri umani compiendo un salto di specie (spillover). Insomma, ciò che mangiamo sta facendo ammalare il nostro Pianeta, ma minaccia anche la nostra salute.
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