Rubrica settimanale a cura di Laura Goria
Edith Bruck “Il pane perduto” -La nave di Teseo- euro 16,00
Non bisogna mai smettere di ricordare l’orrore dello sterminio degli ebrei, soprattutto oggi che xenofobia e razzismo tendono ad rialzare la testa. E’ questo il valore aggiunto delle pagine autobiografiche in cui la scrittrice ungherese Edith Bruck -nata nel 1931, ultima di 6 fratelli di una modesta famiglia ebrea- nel 1944, poco più che una bambina sprofonda nell’inferno della persecuzione.
Dapprima sperimenta l’ostracismo riservato alla sua stirpe: lei bravissima a scuola è relegata al fondo della classe con altre 2 allieve ebree. Ma è solo l’anticamera dell’atrocità che irrompe con i gendarmi nella sua casa: arrivano e li portano via tutti con la forza, per caricarli sui treni della morte.
E’ l’inizio di un viaggio crudele in cui sono ammassati come bestiame e destinati ai campi di concentramento.
Lei è piccola, spaventata e non sa a cosa sta andando incontro. Dopo 4 giorni il treno frena bruscamente e ad accoglierli ci sono cani feroci e nazisti spietati che operano la prima selezione. Loro non lo sanno, ma la differenza tra essere ammassati a destra o a sinistra sancisce l’immediata morte nelle camere a gas o l’indicibile orrore delle baracche, con fame, freddo, pidocchi, malattia e morte.
Quello che segue è il racconto di una bambina che, separata dai genitori (struggente la scoperta del destino della madre nel campo in cui si cammina sulla cenere eruttata dai camini dei forni crematori), si ritrova a tentare di sopravvivere insieme alla sorella Judit.
Vengono spostate in vari inferni, tra le tappe ci sono Anschwitz, Dacauh e Bergen-Belsen, la macabra toponomastica dello sterminio. Riescono a sopravvivere ma si porteranno sempre dentro il ricordo degli stenti, delle pile di cadaveri che sono state obbligate a trascinare nella piramide umana del Todzelt, ovvero la tenda della morte e dell’infamia nazista.
Quando vengono liberate sprofondano nello spaesamento, nella disperazione e nel senso di abbandono. Ritrovano due sorelle, ma l’accoglienza non è quella sperata. Dilaniante è il senso di estraneità rispetto agli altri ebrei che non hanno conosciuto la mostruosità dei lager; è impossibile che capiscano quello che hanno vissuto Edith e Judit. Va meglio con il fratello che era stato internato col padre e che, come loro, ha attraversato la tragedia.
Judit cercherà il futuro in Israele, mentre Edith realizza di voler scrivere. E’ la genesi della sua lunga e straordinaria carriera di scrittrice di romanzi, poesie e traduzioni, grande testimone della Shoah.
Ed eleggerà l’Italia come paese di adozione, accanto all’uomo della sua vita, il regista Nelo Risi, scomparso nel 2015, col quale aveva costruito un lungo sodalizio artistico oltre che sentimentale.
Susan Allott “Una vita migliore” -HarperCollins- euro 18,00
E’ strepitoso l’esordio letterario della scrittrice inglese Susan Allot, che ha vissuto e lavorato negli anni 90 in Australia, salvo poi avvertire la nostalgia di casa e tornare in patria dove ha incontrato e sposato un australiano. Ora vivono a Londra con i loro figli, ma il paese dei canguri le è rimasto nel cuore.
Questo romanzo noir è in qualche modo un omaggio a quella terra e affronta temi corposi come i rapporti matrimoniali, tradimenti, derive di disperazione, alcolismo e violenza domestica, nostalgia per la patria di origine e l’argomento scottante dei bambini aborigeni sottratti arbitrariamente alle loro famiglie.
Una vergogna a lungo taciuta che riguarda la “stolen generation” (la generazione rubata), ovvero i bambini isolani dello Stretto di Torres allontanati con l’inganno e la forza dai genitori, in ottemperanza alla spietata legge dei governi federali australiani in vigore dal 1869 al 1970.
Secondo alcune stime ha coinvolto almeno 100.000 piccoli aborigeni. L’idea era quella di fornire loro un futuro migliore; venivano affidati alle missioni religiose che avrebbero dovuto educarli secondo “lo stile di vita bianco”. Ma in realtà, molti finivano in un buco nero.
Su tutto poi imperversano segreti accuratamente custoditi e la misteriosa scomparsa da 30 anni di una delle protagoniste, della quale non è stato ritrovato neanche il corpo.
Al centro ci sono due coppie che abitano vicine in un tranquillo sobborgo di Sydney, fatto di villette e giardini curati affacciati sul mare e destinati ad aumentare di valore negli anni.
Nel 1967 lì comprano casa gli immigrati inglesi Joe e Louisa con la loro bambina di 4 anni, Isla; e la coppia formata da Mandy e Steve, che di mestiere fa il poliziotto. Agli inizi sembrano giovani, belli e spensierati; ma sotto la superficie albergano inquietudini e insoddisfazione.
Louisa è attanagliata dalla nostalgia di Londra, Joe non la capisce e lei a un certo punto decide per uno strappo doloroso che getta il marito nella disperazione.
Le cose non vanno meglio per l’altra coppia con la quale fanno amicizia. Mandy che fa un po’da baby sitter a Isla, è terrorizzata dalla prospettiva di una gravidanza. Cosa che invece renderebbe felice Steve, il quale a sua volta è dilaniato dal suo lavoro “sporco”; perché è lui che ha lo sgradevole compito di strappare dalle loro famiglie i piccoli aborigeni per relegarli in case di accoglienza ed assistenza minorile.
La storia corre di pagina in pagina su due piani temporali diversi: nel 1967 quando improvvisamente si perdono le tracce di Mandy e poi nel 1997 quando Isla Green, 35enne in lotta contro l’alcolismo e residente a Londra, torna in Australia perché il padre è accusato di essere stato l’ultimo a vedere Mandy ed è il principale sospettato.
Isla deve confrontarsi con il passato, e continui colpi di scena vi indicheranno la strada verso la soluzione del mistero.
Linn Ullmann “Gli inquieti” -Guanda- euro 20,00
Ingmar Bergman, nato nel 1918 e morto nel 2007, è stato uno dei registi più geniali e famosi a livello mondiale del 900: autore di opere di profonda introspezione psicologica, sommo maestro nel raccontare drammi interiori, angosce e senso della morte. Sceneggiatore, drammaturgo, scrittore e produttore cinematografico svedese ha lasciato all’umanità pellicole della caratura de “Il settimo sigillo”, “Il posto delle fragole”, “Scene da un matrimonio” ed altre perle della storia del cinema.
Linn Ullman è la figlia del regista e dell’attrice Liv Ullmann, che ebbe ruoli importanti in alcuni film di Bergman e nella sua vita privata. Si innamorarono sul set nel 1964 e dalla loro relazione nacque nel 1966 la loro unica figlia.
Liv capitò tra un matrimonio e l’altro. Per stare con lei, il regista lasciò la sua quarta moglie; i due vissero insieme ma non si sposarono mai e le loro strade presero tangenziali diverse quando Linn aveva 5 anni. La bambina crebbe con la madre, attrice tra le più intense e talentuose della sua epoca, sempre in viaggio tra Europa e America, tra un set e l’altro. Una madre «capace di piegare una sbarra di ferro con uno sguardo» facendo sentire la figlia compresa e amata.
Oggi Linn è un’affermata scrittrice e questo libro è il suo portentoso tributo al padre.
Quasi 400 pagine che ci portano dentro la vita incredibile del genio, dalla vita sentimentale parecchio intensa: sposato 5 volte ebbe in tutto 9 figli da 6 donne diverse.
Un’ incredibile famiglia allargata in cui la prole legò allegramente, soprattutto durante le spensierate vacanze sulla piccola isola svedese di Fårö nel Mar Baltico. Lì, nel villaggio di Hammars, il regista costruì una casa in pietra, con vista sul mare, che negli anni ampliò sempre e solo orizzontalmente, nido del via vai dei numerosi figli.
E’ lì che Bergman scelse di ritirarsi nel tempo del declino, fino alla sua morte a 89 anni il 30 luglio del 2007.
Quando è alla soglie degli 80 anni, e avverte che la memoria sta scemando, Ingmar Bergam è alla figlia più piccola, Linn, che affida il racconto della sua vita, tutto metodicamente registrato e trascritto dalla scrittrice. Nel libro, a metà strada tra opera autobiografica e biografia romanzata, l’autrice mischia ricordi personalissimi alle parole del padre; a volte stentate o sconclusionate, soprattutto quando la memoria stava per arrendersi all’impietoso incedere degli anni.
E’ soffuso di affetto figliale il ritratto di un genio che nella vita privata ha pasticciato tra amori, tradimenti e tratti da Peter Pan; salvo poi venire schiantato dal dolore per la morte dell’ultima moglie, Ingrid, consumata dal cancro.
Emergono anche le debolezze di un padre “monumento”: forte, impeccabile, capace di pensare e creare in grande, ma anche con qualche mania, come la fissazione per la puntualità.
C’è poi l’ultimo tratto di stentata vita del regista, sempre più debole, depresso e relegato alla sedia a rotelle; accudito da uno stuolo di donne governate con piglio dittatoriale da Cecilia, che manda avanti la casa, protegge ogni istante il malato e spesso sgrida anche Linn perché disturba “Pappa” desideroso di pace e silenzio.
Ingmar Bergam fa i conti con l’avvicinarsi di quella morte di cui erano intrisi i suoi film. E fu regista fino all’ultimo, dando le disposizioni da seguire rigorosamente alla sua morte. Pianificò puntigliosamente ogni frame del suo funerale, scrisse e modificò il testamento, decise il luogo in cui voleva essere sepolto e diede anche disposizioni per esumare la salma di Ingrid e farla riposare accanto a lui.
Se poi volete leggere altre opere di Linn Ulmann vi consiglio il romanzo “Prima che tu dorma”
-Mondadori-
Anche qui l’autrice racconta la storia di una famiglia norvegese attraverso le vicende di tre generazioni. Voce narrante è quella di Karin che una sera racconta una storia al nipotino Sander, figlio della sorella Julie.
E’ l’avvio di ricordi e pensieri che imbastiscono i rapporti della sua famiglia.
Più che una saga familiare è la narrazione delle tante difficoltà e differenze caratteriali che possono rendere difficile la convivenza tra le pareti domestiche e non solo. Linn Ulmann scava a fondo nell’animo dei personaggi e ci regala un romanzo che, per tematica e modo di affrontare questioni e sentimenti profondissimi, ci rimanda a famosi film del padre, come “Scene da un matrimonio” o “Fanny e Alexander”
A partire dal nonno emigrato in America negli anni 30 e il suo matrimonio con la nonna June; poi la madre Anni, irresistibile ma infelice e alcolizzata, con punte di pazzia. Dotata di una bellezza mozzafiato, ma anche egocentrica e decisamente balzana.
Vivere con lei è difficile se non impossibile, tant’è che il marito abbandona la famiglia quando Karin è ancora piccola; ma continua il legame forte con le figlie -suoi “cuori gemelli”- anche se in modo sporadico.
Poi c’è la sorella maggiore Julie che ha paura dei sentimenti e si relega in un matrimonio stentato, nella falsa speranza di trovarvi la sicurezza che va cercando.
Non manca anche una zia sui generis: è l’ultraottantenne Selma (sorella minore della nonna June), perennemente arrabbiata con la vita e con tutti quelli che le capitano a tiro, a partire dai parenti. Fuma 40 sigarette al giorno, beve come una spugna e sembra che a tenerla in vita sia un’ insondabile e profondissima ira. Tanto per darvi un’idea del personaggio, quando morì la sorella June, lei festeggiò con una bottiglia di cognac. Le due si detestavano dopo un episodio sgradevole capitato quando erano giovani e vivevano ancora in America.
Karin scava nei complessi rapporti di amore ed affetto della sua famiglia, intrecciando ricordi e fantasia; ma parla anche molto di se stessa, dei suoi sogni e delle aspettative deluse, della sua irrequietezza e le difficoltà nel costruire legami solidi.