IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
Quando, dopo la laurea, i miei rapporti con Alessandro Galante Garrone mio indimenticabile docente di Storia del Risorgimento e per tanti anni mia stella polare, divennero meno formali -anche se la nostra frequentazione risaliva al 1968 quando nacque il Centro Pannunzio e alla comune amicizia con Mario Soldati e con Leo Valiani-ci capitò a cena al “Cambio“, in occasione del conferimento a Spadolini nel 1982 del Premio “Pannunzio” di cui Galante Garrone tesse’ le lodi, di parlare di un argomento molto speciale.
Il Maestro, rivolgendosi all’ex allievo, in modo sorprendente, mi disse più o meno queste parole : io colsi in te un amore per il Risorgimento che in un giovane d’oggi appare inspiegabile ed è molto raro e che fa quasi pensare a quello dei miei due zii, i fratelli Garrone. Io lo ritenni un grande complimento che ascoltò anche Spadolini e quando parlai il 20 settembre dello scorso anno a Palazzo Carignano (dove tanti anni fa presentammo insieme “Fiori rossi al Martinetto” di Valdo Fusi) per i centocinquant’anni della Breccia di Porta Pia, parlai di innamorati del Risorgimento rivolgendomi al pubblico presente. Non ritenni di ricordare quell’episodio lontano, ma quella espressione veniva dal ricordo di uno straordinario evento: il presidente del Consiglio repubblicano che dopo aver parlato al museo del Risorgimento, si siede al tavolo del ristorante al posto dove era solito pranzare Cavour per ricevere il Premio Pannunzio appena istituito da Mario Soldati e da chi scrive.
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Ma quelle parole di Sandro (così volle che lo chiamassi e fu per me un grande onore) mi sono tornate alla mente quando sua figlia, la storica dell’arte Giovanna Galante Garrone, mi invitò a visitare la mostra inaugurata a Vercelli a metà giugno “DA UNA VITA ALL’ALTRA. I fratelli Garrone: eredità di affetti e di ideali dal fronte della Grande Guerra”, che rimarrà aperta fino al 31 ottobre al Museo Leone. Solo in questi giorni sono stato a visitare la bella mostra realizzata dal Museo Leone – vero fiore all’occhiello della cultura non solo vercellese -, che si è rivelata molto curata nell’allestimento e va dato atto dell’ottimo lavoro dei due curatori Chiara Maraghini Garrone (che tra l’altro che ha catalogato il ricco fondo di lettere dei due fratelli)e Luca Brusotto direttore del Museo. Essa rientra in un progetto di più ampio respiro: “ I fratelli Garrone e il loro epistolario: testimonianza di un percorso di libertà e giustizia“, sostenuto dalla Struttura di missione per la valorizzazione degli anniversari nazionali e della dimensione partecipativa delle nuove generazioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Non si può descrivere la mostra storico fotografica dedicata a questi due giovani patrioti, che sull’onda degli ideali risorgimentali partirono volontari nella Grande Guerra che sentirono come quarta guerra per l’ indipendenza e che si immolarono Insieme il 14 dicembre del 1917 durante la battaglia del Col della Berretta che segnava la ripresa dell’Esercito italiano dopo Caporetto. Giuseppe ( Pinotto) ed Eugenio( Neno ) Garrone furono due personaggi davvero straordinari che si possono considerare come gli ultimi giovani del Risorgimento italiano che si compirà con Trento e Trieste italiane.Ottennero la Medaglia d’oro al Valor Militare alla memoria con motivazioni che vanno ben oltre le parole spesso retoriche usate nel linguaggio militare.
Giuseppe, nato il 10 novembre 1886 era un giovane magistrato, Eugenio ,nato il 19 ottobre 1888, era un funzionario del Ministero della Pubblica Istruzione .Erano molto diversi tra loro, il primo legato ad un atteggiamento molto razionale, il secondo emotivamente romantico.
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Le loro vite vengono ricostruite attraverso la mostra che espone le splendide fotografie che i due volontari scattarono al fronte. La loro famiglia vercellese era imbevuta di forti ideali patriottici che erano vivi in quasi tutte le famiglie piemontesi che avevano vissuto da vicino il Risorgimento. Io ebbi due zii partiti volontari e caduti già nel 1915 e mio nonno, amico di Cesare Battisti e di Damiano Chiesa, che parti’ anche lui per un fronte ,quello albanese, in cui si moriva più di malaria che a causa dei combattimenti ,mi parlava spesso della Grande Guerra. L’interventismo non fu solo quello di Gabriele D’Annunzio e dell’ex socialista Mussolini ,ma ebbe anche un volto risorgimentale e democratico e liberale con Salvemini, Calamandrei, Parri, Bissolati, Omodeo ed altri. Un altro mio congiunto, il deputato liberale Marcello Soleri , giolittiano e quindi non favorevole all’intervento in guerra, indosso ‘ la divisa di alpino e parti’ per il fronte dove venne ferito e decorato di Medaglia d’Argento. Mentre visitavo la mostra mi tornavano in mente i miei ricordi famigliari che sicuramente sono la causa prima che mi portò sempre a sentirmi patriota anche se non sono confrontabili con quelli delle famiglie Garrone e Galante .Ricordo che una delle mie prime letture già al liceo fu “Difesa del Risorgimento“ di Adolfo Omodeo , un vademecum ideale che mi ha accompagnato nella mia vita di studioso. La prima a farmi conoscere da vicino – al di là di mio nonno – i due “ dioscuri” fu Virginia Galante Garrone che ripubblico ‘ nel 1974 da Garzanti “ Giuseppe ed Eugenio Garrone, lettere e diari di guerra” con un ampio saggio del fratello Sandro. Nel catalogo risalta un lucido saggio del magistrato e storico Paolo Borgna ,il biografo di Sandro Galante Garrone che, prima di dedicarsi all’insegnamento universitario ,fu anche lui magistrato. Borgna affronta un tema scottante . Il patriottismo che portò i due fratelli a manifestare per l’intervento nel maggio 1915 e a decidere di partire per il fronte ,dove avrebbe condotto i due giovani se fossero sopravvissuti alla guerra? Il fascismo cercò di annetterseli e il busto di Pinotto inaugurato nel 1936 dal Guardasigilli fascista Solmi nel Palazzo di Giustizia di Roma fu un omaggio ad un magistrato eroico ,ma anche un tentativo di strumentalizzarne il ricordo.
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Cosa avrebbero fatto i fratelli Garrone di fronte alla ostilità violenta dei socialisti nei confronti dei reduci negli anni del dopoguerra italiano quando si giunse quasi alla guerra civile tra fascisti e socialisti? Cosa avrebbero fatto di fronte alla Marcia su Roma a cui si opposero anche uomini come Carlo Delcroix? Cosa avrebbero fatto di fronte al delitto Matteotti? E’ legittimo pensare secondo Borgna – e io concordo con lui – che il delitto Matteotti avrebbe rappresentato un campanello d’allarme decisivo anche se un uomo come Benedetto Croce dovette attendere il 1925 per una scelta antifascista decisa con il manifesto degli intellettuali di risposta a quello di Gentile. Furono anni travagliati e confusi che portarono molti a sottovalutare Mussolini. Ernesto Rossi, ad esempio, che si fece anni di galera per antifascismo, fu collaboratore del “ Popolo d’Italia” il quotidiano diretto dal futuro duce. Borgna si spinge ad immaginare i due fratelli dopo l’8 settembre 1943 , a “dirigere la lotta contro il tedesco invasore“. E anche qui convengo con lui ,anche se ritengo difficile pensarli sulle posizioni che caratterizzarono i nipoti Sandro e Carlo, i quali furono impegnati in “ Giustizia e libertà”. Molto opportunamente Borgna evidenzia come sarebbe errato appropriarsi dell’eredità dei due fratelli in senso diametralmente opposto a quello del ministro fascista Solmi .
Ipotizzare cosa avrebbero fatto sarebbe un’operazione storicamente scorretta. Ma credo che non sarebbero rimasti nella zona grigia . Tra l’altro molti resistenti scelsero di andare in montagna per fedeltà al giuramento prestato come il maggiore degli Alpini Enrico Martini Mauri che aveva combattuto eroicamente ad El Alamein. In questa lunga riflessione non ho accennato all’aspetto umano dei due fratelli ,alla nobiltà dei loro sentimenti, al loro attaccamento alla famiglia ,al fatto che Pinotto muore tra le braccia dell’altro fratello che lo veglia tutta la notte. Un episodio che fa pensare agli eroi antichi. Andrebbe anche sottolineato il loro modo umanamente molto significativo di trattare i propri soldati condividendone le sofferenze e i disagi ,un qualcosa di diametralmente opposto al rigorismo cieco di Cadorna. L’atrocità della guerra di posizione li aveva resi consapevoli della violenza estrema di un conflitto mondiale che stravolse la storia .Eugenio scrisse nel 1917 ai genitori :” Perché si devono odiare a tal punto gli uomini. Perché ?” Una domanda che ci porta a pensare che il nefasto mito guerrafondaio del fascismo avrebbe trovato i due fratelli schierati dall’altra parte perché la loro idea di Nazione ,per dirla con Chabod, era nutrita di una profonda umanità che si coglie in tutte le loro lettere. Io li immagino giovanissimi lettori del “Cuore“ di De Amicis che contribuì a formare intere generazioni di giovani che si ritrovarono nelle trincee della Grande Guerra.
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